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Sentenza

Il confine applicativo tra estorsione e violenza per far commettere un reato.
Il confine applicativo tra estorsione e violenza per far commettere un reato.
Tribunale del Riesame di Catania, Sezione V Penale, ordinanza 18 dicembre 2014
Presidente/Relatore Currò

Osserva

L'odierno indagato è sottoposto, in forza dell'impugnata ordinanza, alla misura cautelare della custodia in carcere in relazione ai delitti di cui ai capi 4) e 5) della rubrica, vale a dire, rispettivamente concorso nella tentata estorsione aggravata ai danni dei coniugi Russo e concorso nel porto di arma comune da sparo, avendo il primo giudice ritenuto sussistente l'esigenza cautelare di cui all'art. 274, lett. c), c.p.p.
Con ricorso del 5/12/2014 la difesa di Q.M. proponeva riesame ex art. 309 c.p.p. avverso la detta ordinanza.
All'udienza camerale l'indagato ammetteva i fatti contestatigli, ad eccezione del delitto in materia di armi.
11 difensore, in seno alla memoria versata in atti, contestava la qualificazione riservata dal G.I.P. al fatto sub 4), evidenziando come non fosse possibile configurare quale esito del contegno degli indagati alcun profilo di danno in capo alle persone offese. Escludeva, del pari, la riconducibilità del fatto alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 336 c.p., difettando nelle persone offese la richiesta qualifica di pubblico ufficiale, e quella di cui all'art. 611 c.p., essendo tutt'altro che scontata la circostanza per cui i coniugi Russo avessero deposto il vero nel corso del, processo che aveva visto quale imputato il coindagato L.S.. Assumeva, pertanto, la difesa la configurabilità, al più, del delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni, inidoneo a costituire titolo cautelare e, così ridimensionato il quadro indiziario, segnalava coree fosse senz'altro ipotizzabile l'irrogazione della sanzione penale della reclusione non superiore ad armi tre, con le ovvie conseguenze discendenti dal disposto dell'art. 275, comma 2-bis, c.p.p.
Sosteneva, infine, il difensore l'insussistenza delle esigenze cautelaci ritenute dal primo giudice, anche alla luce del ruolo ",subordinato" rivestito dal ricorrente nella vicenda e ferma la sua sostanziale incensuratezza. Lamentava che il primo giudice non aveva adeguatamente spiegato le ragioni che lo avevano comunque indotto ad applicare la più rigorosa delle misure cautelaci.
Chiedeva, pertanto, l'annullamento dell'ordinanza gravata ovvero, in subordine, la sostituzione della misura in. atto applicata con altra meno afflittiva.
Quanto alla ricostruzione dei fatti, in mancanza di puntuali rilievi difensivi, ritiene il Tribunale possibile richiamare integralmente l'ordinanza impugnata e, con essa, la richiesta del Pubblico Ministero.
Emerge dagli atti acquisiti al procedimento. in termini di elevatissima probabilità. il pieno coinvolgimento del Q. negli atti di danneggiamento perpetrati ai danni delle persone offese tutte (vale a dire sia Leone Giuseppe la cui abitazione era fatta oggetto. quale evidente ipotesi di aberralio ictus, dei colpi d'arma da fuoco esplosi in data antecedente e prossima al 5/10/2014, sia i coniugi Russo, cfr. i fatti meglio descritti ai capi 2 e 3), avendo questo offerto la sua piena collaborazione al coindagato L., al fine di esercitare "pressioni" nei confronti dei detti coniugi Russo e così ottenere la ritrattazione della deposizione da questi offerta nel corso del processo che vide quale imputato il detto L.. In tal senso depongono: il contenuto delle s.i.t. delle persone offese, segnatanmente di Spina Angela, coniuge di Russo Umberto Giuseppe; il tenore. a dir poco, univoco delle verifiche sui tabulati delle utenze in uso al L. e al Q. e delle conversazioni intercettate, in relazione alle quali va aggiunto l'ulteriore dato rappresentato dalla loro pressoché certa riconducibilità all'odierno ricorrente, alla luce delle risultanze degli accertamenti tecnico-fonici effettuati dal R.LS. di Messina -cfr. relazione tecnica allegata alla nota pervenuta il 6/12/2014 alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Catania, trasmessa a questo Tribunale-, gli esiti della disamina dei fotogrammi dei filmati carpiti dalla videocamera installata in prossimità dell'abitazione di villeggiatura dei coniugi Russo in relazione all'episodio della collocazione e deflagrazione dell'ordigno esplosivo risalente al 18/10/2014, avuto riguardo all'accertata utilizzazione, nell'occasione, per giungere sul luogo teatro del delitto, del FIAT Doblò di proprietà del ricorrente (cfr. relazione del R.I.S. di Messina del 3/12/2014, trasmessa a questo Tribunale dalla quale emerge come il numero di targa del mezzo utilizzato per la commissione del reato anzidetto contempli, nel medesimo ordine, sei dei sette caratteri alfanumcrici della targa del mezzo di proprietà del ricorrente, laddove il carattere numerico mancante ha consentito al personale della polizia giudiziaria, con le opportune ed agevoli ricerche, di pervenire alla certezza in ordine alla individuazione del veicolo, posto che l'unica targa attribuita ad un veicolo FIAT Doblò, compatibile con quella quasi integralmente accertata, è proprio quella assegnata al mezzo di proprietà del ricorrente).
Le superiori conclusioni, in alcun modo avversate dalla difesa -che, come si dirà da qui a poco. ha concentrato la propria attenzione sulla questione legata alla qualificazione del fatto di cui al capo 4) della rubrica e ai riflessi che la soluzione della questione avrebbero potuto esplicare sul quadro cautelare afferente al Q.­consentono di ritenere senz'altro sussistenti gravi indizi di colpevolezza in capo al ricorrente di entrambi i fatti ascrittigli ai capi 4 e 5.
Nel prendere le mosse dal secondo dei reati contestati, quello in materia di armi., occorre segnalare come la negazione da parte del Q. della commissione del fatto (esplosione di colpi d'arma da fuoco contro l'abitazione di Leone Giuseppe, ritenendo erroneamente l'irmrnobile in questione di proprietà dei coniugi Russo, e quindi il porto dell'arma sino al luogo del delitto di danneggiamento) operata nello scritta depositato all'udienza rimane meramente labiale e appare smentita dalla accertata piena condivisione da parte del detto Q. del disegno criminoso ordito ai danni dei Russo dal L. sin dal suo avvio "operativo" e tale da coinvolgere anche altro soggetto, P.L., che ebbe a materialmente collocare l'ordigno esplosivo nelle prime ore del 18/10/2014 presso l'abitazione dei Russo e, come anticipato, ivi giungendo a bordo del FIAT Doblò di proprietà del Q., previo contatto telefonico intercorso fra i due tra le ore 5:17.43 e le ore 5:17.43, vale a dire circa trenta minuti prima della commissione del fatto. Ritiene; infatti, il Collegio che la partecipazione del Q. anche al fatto descritto al capo 5) della rubrica, trovi fondamento e possa quindi essere affermata in termini di qualificata probabilità nel contenuto della telefonata ricevuta da Spina Angela in data 8/10/2014 (contenuto che la persona offesa riferiva alla polizia giudiziaria. cfr. s,i.t., in atti) nel corso della quale l'anonimo interlocutore, assai probabilmente proprio il Q. che consta avere effettuato, in termini di elevata probabilità, tutte le telefonate alle persone offese;
significativamente, tra l'altro. esclamava: "Angela, hai combinato troppi guai... ti abbiamo avvertito a fucilate. ... ora a tuo figlio Andrea te lo bruciamo vivo, hai otto giorni di tempo e poi te lo bruciamo vivo".
Ritiene; pertanto, il Tribunale sussistenti a carico di Q.M. i gravi indizi di colpevolezza in relazione al delitto meglio descritto al capo sub 5) della rubrica.
Quanto al fatto di cui al capo 4) della rubrica, osserva il Collegio come la qualificazione ritenuta dal primo giudice, in termini di tentata estorsione. non appaia condivisibile, dovendosi il fatto in questione ricondurre alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 611 c.p.
L'elemento oggettivo comune della fattispecie di estorsione e di quella di violenza e minaccia per costringere a commettere un reato è l'uso della violenza o minaccia corre strumento di coartazione dell'altrui volere. Tuttavia, nel delitto di estorsione, l'autore mira a che la vittima compia una condotta "innominata" - ossia generica come quella della fattispecie di violenza privata - che procuri all'autore stesso o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno; invece. nel reato di cui all'ari. 611 c.p.. l'autore mira a che la vittima compia una condotta qualificata da un elemento specializzante, ossia una condotta integrante gli elementi costitutivi di un reato. Ne consegue che il delitto di cui all'art. 611 c.p. è integrato senza la sussistenza del "prof tto" per l'autore e del correlativo "danno" per la vittima, elementi che possono, semmai, riferirsi alla struttura del fatto tipico dello specifico reato-fine, che rappresentando l'obiettivo dell'autore della violenza e della minaccia, la vittima di essa può "strumentalmente" realizzare (cfr. Cass. Sez. II. 22 ottobre 2003 n. 42789, Capalbo, Rv. 227313: nel caso di cui alla pronuncia appena richiamata la Corte consta avere riqualificato l'originaria imputazione di estorsione nell'ipotesi di cui all'ari. 611 c.p. in relazione alla condotta di minaccia grave con l'uso delle armi e di violenza, posta in essere nei confronti di un soggetto per costringerlo ad impossessarsi di numerose schede telefoniche prepagate. sottraendole alla società della quale egli era dipendente).
In altri termini, l'elemento differenziale tra il delitto di estorsione e quello di cui all'art. 611 c.p. risiede nella necessità che la figura delittuosa di cui all'ari. 629 c.p. sia qualificata da un ingiusto profitto, che può anche non essere di natura patrimoniale, con altrui danno: danno che, invece, deve consistere, secondo costante giurisprudenza, in un'effettiva deminutio patrimonii, vale a dire in un nocumento di rilevanza economica;
diversamente se il danno non è qualificabile in tali termini, ricorre la diversa fattispecie di cui all'art. 611 c.p.
Nel caso in esame, la pubblica accusa, con valutazione recepita dal primo giudice, ha inteso rinvenire il detto nocumento negli oneri economici che sarebbero gravate sulle persone offese nell'ipotesi in cui queste si fossero determinate a ritrattare ed altresì nel pregiudizio arrecato all'Erario in conseguenza dell'eventuale ripristino in favore del L. degli emolumenti previdenziali, in ragione della ritrattazione delle persone offese e degli ulteriori e consequenziali provvedimenti dell'autorità competente.
Ritiene il Tribunale che il pericolo per i coniugi Russo di incorrere in oneri economici -per assistenza legale e processuale- in dipendenza della ritrattazione di quanto deposto quali testi nel processo a carico del L. così come il rischio per l'Erario di dovere sottostare agli oneri conseguenti al ripristino del diritto del L. a godere del trattamento pensionistico, per quanto sicuramente involgenti profili di rilevanza patrimoniale, appaiono rivestire carattere non già concreto e attuale, bensì futuro ed ipotetico, venendo così anche a difettare anche la relazione causale tra i detti eventuali nocumenti e l'azione di minaccia c/o violenza.
Del resto, a sostegno della superiore valutazione, vale evidenziare come la Suprema Corte abbia in un non lontano passato ritenuto sussistente il delitto di cui all'art. 611 c.p., e non già quello di cui all'art. 629 c.p., in un'ipotesi in cui il danno era stato prospettato in termini di rilevanza economica ma solo in via indiretta con riferimento all' "eventuale esborso per difesa tecnica in sede di giudizio" (cfr. Cass. Sez. Il, 26 marzo 2010 n. 15302, Rv. 246923. in motivazione).
Si tratta; pertanto. di aspetti, quelli richiamati dal Pubblico Ministero, che non valgono, ad avviso del Collegio, ad integrare l'elemento costitutivo del danno nei termini sopra delineati e richiesti dalla fattispecie delittuosa dell'art. 629 c.p.
Il fatto ascritto al Q. deve, quindi, essere ricondotto alla fattispecie incriminatrice di cui all'art. 611 c.p., ricorrendo della figura delittuosa de qua tutti i presupposti sia in termini di materialità, vale a dire il contegno minaccioso e violento posto in essere dal ricorrente e dagli altri coindagati all'indirizzo delle persone offese, finali sticamnente orientato ad ottenerne la già segnalata ritrattazione, e quindi, volto ad ottenere la commissione di un reato.
Non risultano, del resto, in atti elementi che consentano di dubitare in ordine alla veridicità delle dichiarazioni rese in sede processuale dalle odierne persone offese, emergendo anzi, al contrario, diversamente da quanto labialmente dedotto dalla difesa del Q., plurimi riferimenti documentali (afferenti alla definizione del giudizio penale e del procedimento disciplinare) che depongono per l'opposta conclusione.
AI fine di dar conto della ricostruzione alternativa offerta dal Pubblico Ministero in relazione al reato di cui all'art. 336 c.p., evidenzia il Collegio come il fatto oggetto del capo sub 4) non sia sussumibile nella fattispecie incriminatrice de qua, difettando in capo ai coniugi Russo l'attuale qualifica di pubblici ufficiali (che è indefettibilmente legata alla qualità di testimone, nel caso che occupa. già rivestita, ma non rinvenibile in permanenza sulle predette persone offese).
Sul versante delle esigenze cautelari, deve, innanzitutto, premettere il Collegio che, ai fini della configurabilità ciel pericolo di reiterazione criminosa di cui all'art. 274, lett. e), cpp, richiamato dal primo giudice, gli elementi di cautela al riguardo apprezzabili possono essere tratti non soltanto dal vissuto criminale dell'indagato ma anche dalle specifiche modalità e circostanze del fatto, considerate nella loro oggettività, giacché la valutazione negativa della personalità dell'indagato può desumersi dagli elementi tutti di cui all'art. 133 ep e la condotta tenuta in occasione del reato costituisce un elemento specifico significativo per valutare la personalità dell'agente (cfr., ex plurimis, Cass. Sez. III, 17 dicembre 2013 n. 3661, Tripicchio e altri: Cass. Sez. II, 16 ottobre 2013 n. 51843, Caterino e altri; Cass. Sez. IV. 3 luglio 2007 n. 34271, Cavallari; Cass. Sez. IV, 19 gennaio 2005 n. 11179).
Orbene, a dispetto della sostanziale incensuratezza, il Q.. benché titolare di impresa individuale, operativa, ha mostrato un elevato grado di pericolosità, sottomettendosi, apparentemente in modo "disinteressato", ai voleri del coindagato L., non mostrando alcuna remora a prestarsi a commettere reiterati danneggiamenti, implicanti l'uso di armi e di, sia pur rudimentali (ma anche perciò di incontrollato effetto distruttivo), ordigni esplosivi, accompagnati da, a dir poco. allarmanti minacce telefoniche, sempre provenienti da telefoni pubblici, nei confronti dei coniugi Russo, e non esitando a prospettare loro l'uccisione, peraltro con modalità efferate, del figlio Andrea (si pensi esemplificativamente. oltre a quella già richiamata, alla conversazione del 14/10/2014 nel corso della quale il Q., rivolgendosi a Spina Agela, afferma: "Ascolta, non girare più e non andare dall'avvocato e in caserma, non andare più da nessuna parte, perché domani mattina sono a Pisa... vado a trovare tuo jrglio... Capisci cosa suol dire questo?... allora, sisteniala non ci perdere tempo, hai un altro giorno di tempo ... non ti do più tempo, tu fai mente locale pensa a quello che ti sto dicendo... Ascolta. Vedi che tu, questa settimana, hai avuto l'opportunità di sistemare una cosa e non l'hai voluta sistemare, non ci perdere più tempo, vedi che non ti chiamo più, le prossime notizie le ricevi dal giornale"), corroborando le minacce di particolari veritieri (il fatto che il predetto Andrea risiedesse a Pisa); evidentemente con l'intento di maggiormente incidere sulla libertà di autodeterminazione delle persone offese.
La natura dei contegni minacciosi e violenti ascritti al Q., la loro reiterazione nel tempo, l'implementazione della loro portata intimidatoria, nel rendere recessivo il già evidenziato dato della incensuratezza sostanziale di questo, valgono a sopportare un giudizio prognostico in ordine al pericolo di recidiva ex art. 274; lett. e), c.p.p. senz'altro sfavorevole all'indagato.
Vale evidenziare come la confessione, per quanto parziale. resa dall'indagato (benché dissonante rispetto al contegno da questo tenuto nel corso dell'interrogatorio dinanzi al G.I.F.) appaia assai poco sintomatica di una sua resipiscenza. una volta che si ponga in rilievo cove il ricorrente si sia limitato ad ammettere unicamente i fatti per i quali il compendio indiziario raccolto a suo carico si presenta imponente, mantenendo un rigoroso (sia pur legittimo) riserbo su ulteriori aspetti della vicenda che il prosieguo dell'attività investigativa sta contribuendo a porre in luce (si pensi al coinvolgimento del terzo indagato. P.L.).
Unica misura proporzionata all'entità dei fatti ascritti e adeguata a salvaguardare il pericolo di reiterazione criminosa appare essere la custodia in carcere, avendo il ricorrente mostrato di essere assolutamente privo di alcun freno inibitore che avrebbe dovuto indurlo a non tenere i contegni ascrittigli nei confronti di un'anziana coppia di coniugi. terrorizzandoli e non mancando di porre a repentaglio la pubblica incolumità in conseguenza della tipologia. già sopra segnalata (con uso di armi e di esplosivi), degli atti intimidatori posti in essere. Non solo, ma il ricorrente risulta avere frequentazione quanto meno con Datane Lucio, già sorvegliato speciale e pluripregiudicato per gravi e numerosi reati contro il patrimonio, in materia di armi e di violazione della misura di prevenzione (cfr. certificato del casellario giudiziale, in atti), fermato e sottoposto alla misura della custodia in carcere, in quanto gravemente indiziato di avere concorso con il medesimo Q. e il L. nella commissione dei delitti di cui all'odierno procedimento (cfr, ordinanza resa dal G.I.P. presso il Tribunale di Catania in data 1/12/2014, in atti). Si tratta di circostanza che smentisce l'assunto difensivo dell'essere il ricorrente "lontano anni luce dagli ambienti criminali" e, nel rendere sul punto, poco significativa la produzione documentale (peraltro riferita ad un arco temporale compreso tra il 2007 e il 2011) effettuata dal difensore nel corso dell'udienza camerale con l'intento di dimostrare come il ricorrente usasse definire le proprie pretese attraverso ricorrendo alle vie legali, e vale a far ritenere che l'indagato sia inserito in un circuito criminale di non esiguo spessore. Del resto, ciò appare in linea, sul piano logico, con l'essere stato officiato dal L., già maresciallo dell'Arma, di porre in essere i contegni delittuosi sopra descritti: è improbabile che un soggetto esperto come il coindagato L. affidasse la trattazione dell' "affare" al centro dell'odierno procedimento a soggetto inesperto, sprovveduto o facilmente neutralizzabile dalle persone offese, in prima battuta, ovvero dalle forze dell'ordine.
Quanto detto fa ritenere al Tribunale che il Q., quanto meno allo stato delle acquisizioni, non sia dotato di quel minimo potere di autocontrollo che qualsivoglia misura cautelare diversa da quella della custodia inframuraria impone, nel richiedere a chi vi sia sottoposto di spontaneamente adeguarsi alle prescrizioni dell'autorità, senza che l'eventuale adozione dello strumento elettronico di controllo di cui all'art. 275-bis c.p.p. ponga al riparo dal rischio che egli possa, ove non ristretto in carcere, dare seguito alle terribili minacce poste in essere all'indirizzo dei coniugi Russo.
Evidenzia, da ultimo, il Collegio come, ai fini e agli effetti del disposto di cui all'art. 275, comma 2-bis, c,p.p., sia da ritenere che al Q. all'esito del giudizio venga irrogata la pena della reclusione superiore ad anni tre.
La riqualificazione del fatto ascritto al ricorrente al capo 4) della rubrica quale delitto di cui all'art. 611 c.p. esime il Collegio dallo statuire sulle spese del presente procedimento.

P.Q.M.

Qualificato il fatto ascritto a Q.M. al capo 4) della rubrica quale delitto di cui all'art. 611 c.p.. conferma l'impugnata ordinanza.
Avv. Antonino Sugamele

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