Una donna muore per arresto cardiocircolatorio per colpa dei sanitari che avrebbero dovuto impiantarle un presidio in grado di evitarlo, immotivatamente procrastinando l’operazione. Chi risponde?
Tribunale di Reggio Emilia, sez. II Civile, sentenza 27 febbraio 2014, n. 338
Giudice Morlini
Fatto
Promuovendo la presente controversia, A.S. V., A.P. D.F., F.A. D.F. e Laura Maria Assunta D.F., rispettivamente madre e fratelli di N. P. D.F., espongono che la loro congiunta, il 6 agosto 2007, è deceduta per arresto cardiocircolatorio; che tale decesso è riconducibile a colpa medica dei sanitari dell'Arcispedale Santa Maria Nuova, i quali sin dal precedente 23 marzo avrebbero dovuto impiantarle il presidio di devices ICD+CRT, in grado di evitare l'arresto circolatorio poi verificatosi, operazione che invece è stata immotivatamente procrastinata; che lo stesso Arcispedale, conscio della propria responsabilità, già ha autonomamente provveduto a risarcire il danno non patrimoniale sofferto dai figli e dal marito di N. P. D.F., derivante dal di lei decesso, ma ha poi inspiegabilmente rifiutato di risarcire la medesima tipologia di danno riferibile agli attori, come detto a madre e fratelli della defunta.
Sulla base di tale narrativa, evocano in giudizio l'AUSL di Reggio Emilia, chiedendone in via principale la condanna a risarcire il danno non patrimoniale subìto a seguito del decesso della propria congiunta, riconducibile a colpa medica dei sanitari dell'Arcispedale; e in via subordinata, a risarcire il danno derivante dalla perdita di chance di sopravvivenza della propria congiunta, sempre dovuta all'errore medico.
Costituendosi in giudizio, resiste AUSL, sul presupposto dell'assenza di colpa medica e comunque di un rapporto causale tra eventuale colpa medica e decesso.
La causa è istruita con una CTU medico legale affidata al dottor Pieraccini.
Diritto
1) La controversia può essere decisa sulla base della CTU, svolta con motivazione convincente e pienamente condivisibile, neppure contestata ed addirittura condivisa dalle parti, dalla quale il Giudicante non ha motivo di discostarsi in quanto frutto di un iter logico ineccepibile e privo di vizi, condotto in modo accurato ed in continua aderenza ai documenti agli atti ed allo stato di fatto analizzato.
Ha infatti chiarito il perito che è certamente presente un profilo di colpa medica in capo ai sanitari che hanno assistito la signora D.F., atteso che sulla stessa, affetta da cardiomiopatia ipocinetico-dilatativa, avrebbe dovuto “essere impiantato già a seguito delle risultanze clinico-strumentali del novembre 2006 o massimo marzo 2007”, e quindi ben prima del decesso dell'agosto 2007, l'ICD+CRT (cfr. pag. 30-31 perizia).
Ciò detto, deve però osservarsi che la corretta prestazione medica tramite l'impianto del presidio ICD+CRT, non avrebbe né con certezza, né con il criterio del ‘più probabile che non', impedito l'evento morte, e ciò anche in considerazione della molteplicità delle alterazioni aritmiche (cfr. pag. 30 perizia); purtuttavia, la corretta prestazione medica avrebbe “significativamente” ridotto il rischio morte (cfr. pag. 31 perizia).
2) Sulla base delle risultanze della CTU così riassunte, deve essere rigettata la domanda principale degli attori, volta ad ottenere il risarcimento del danno derivante dalla perdita della congiunta, a seguito di colpa medica dei sanitari.
Il problema che si pone è quello della ricostruzione del nesso causale tra fatto omissivo ed evento.
Come noto, nella materia penalistica tale nesso causale sussiste allorquando il comportamento omesso e che avrebbe dovuto essere tenuto, laddove fosse stato effettivamente tenuto, avrebbe, alla stregua del cosiddetto giudizio controfattuale, impedito l'evento con certezza o con un grado di probabilità prossimo alla certezza (per tutte, cfr. la conosciutissima sentenza Franzese, Cass. Sez. Un. 10-7/11/9 del 2002 n. 30328/2002).
Altrettanto noto è che, nell'ambito civilistico, da oramai una decina d'anni si registra invece un orientamento della Cassazione -mutuato dalla sezione lavoro, inizialmente trasposto solo a livello di terza sezione in tema di responsabilità medica, ma poi convalidato anche dalle Sezioni Unite- che apertamente abbandona l'impostazione della sentenza Franzese ed amplia sensibilmente l'area della configurabilità del nesso causale in materia omissiva, riproponendo la categoria delle “serie ed apprezzabili possibilità di evitare il danno”.
In particolare, la Suprema Corte ora differenzia la causalità civile da quella penale, nel senso che nella prima, diversamente che nella seconda, vige il principio del ‘più probabile che non', mentre nel processo penale opera la regola della prova ‘oltre il ragionevole dubbio' (all-or-nothing', secondo la classica dizione anglosassone), stante la diversità dei valori in gioco nei due tipi di processi, ciò che giustifica una differenza negli standard probatori ed il diverso livello di incertezza da assumersi come ragionevolmente accettabile (Cass. civ. nn. 4400/2004, 7997/2005, 1755/2006, 19047/2006, 6129/2007, 9238/2007, 14759/2007, 21619/2007, 15986/2008, 23676/2008, 97/2009, 975/2009, 10285/2009, 10741/2009, 10743/2009, 16123/2010, Cass. n. 22837/2010, Cass. n. 3847/2011, Cass. n. 12686/2011, Cass. n. 21255/2013; Cass. Sez. Un. nn. 576/2008, 577/2008, 581/2008, 582/2008, 584/2008, 27337/2008, 6045/2010).
Parimenti, anche la Corte di Giustizia è indirizzata ad accettare che la causalità non possa che poggiarsi su logiche di tipo probabilistico (Corte Giust. 3/7/2006 cause riunite C-295/04 e C-298/04, nonché Corte Giust. 15/2/2005 causa C-12/03, entrambe in tema di tutela della concorrenza).
Tanto premesso, è facile concludere che neppure in base al più recente orientamento della Cassazione civile sopra descritto, può ritenersi sussistente il nesso causale tra l'inadempimento dei sanitari e l'evento morte, atteso che una corretta esecuzione della prestazione medica, non avrebbe impedito l'evento né con certezza, né alla stregua di un giudizio di maggior probabilità, ma solamente ridotto il rischio dell'evento.
Deriva, pertanto, il rigetto della domanda principale attorea di risarcimento del danno derivante dalla perdita del congiunto.
3) Fondata è invece la domanda risarcitoria subordinata, prospetta sotto il profilo della perdita di chance.
E' noto che la chance, figura da tempo elaborata in altri ordinamenti quali quello francese, nel nostro sistema giuridico è una forma di danno solo recentemente esplorata - la prima sentenza che ne tratta è Cass. Lav. n. 6906/1983 - e ciò nel contesto di un complessivo ampliamento della nozione di danno ingiusto, supportato dall'evoluzione della giurisprudenza costituzionale e di legittimità pur in assenza di modifiche del dato normativo.
In prima approssimazione, la chance può essere definita come occasione favorevole di conseguire un risultato vantaggioso, sotto il profilo dell'incremento di un'utilità o della sua mancata diminuzione, e ovviamente va distinta dalla mera aspettativa di fatto (Cass. n. 4440/2004, Cass. n. 3999/2003, Cass. n. 2667/1993).
Restano discussi, peraltro, la natura del danno da perdita di chance, e conseguentemente i parametri necessari per la sua risarcibilità.
In particolare, per la tesi cosiddetta ontologica, la chance deve intendersi riferita ad un danno emergente comunque attuale e concreto, trattandosi di bene suscettibile di valutazione patrimoniale in sé e per sé: viene così risarcita la perdita della mera opportunità, possibilità ed anche solo speranza, di conseguire un'utilità, con la conseguenza che la probabilità di verificazione dell'utilità incide solo sul quantum risarcitorio, non sull'an.
Ciò è stato sostenuto inizialmente dalla Sezione Lavoro della Cassazione per risarcire i dipendenti illegittimamente esclusi dalla partecipazione ad un concorso interno (tra le più recenti, Cass. n. 5119/2010 e Cass. n. 14820/2007), ma il principio è stato utilizzato anche da diverse sentenze civili (Cass. Sez. Un. n. 1850/2009, Cass. n. 23846/2008 est. Frasca, Cass. n. 17167/2007, Cass. n. 12243/2007, Cass. n. 15522/2006, Cass. n. 1752/2005, Cass. n. 4400/2004 est. Segreto, Cass. n. 18945/2003, Cass. n. 11322/2003).
La qualificazione della chance come danno emergente comporta la divaricazione dal nesso causale: la prova della chance non attiene più al nesso eziologico tra condotta ed evento, ma riguarda la consistenza percentuale di un bene già presente nel patrimonio del soggetto. Quindi, la perdita di chance opera sul danno e non sul nesso causale, che va accertato nella sua interezza: va prima accertato il nesso causale tra lesione e perdita di opportunità favorevole, poi la ragionevole probabilità della verificazione del danno inteso come perdita chance.
E' stato però obiettato che, così facendo, per un verso si compie un escamotage per ammettere la risarcibilità di un danno il cui nesso causale rispetto alla condotta non è certo; per altro verso, si considera un bene suscettibile di valutazione economica ciò che non ha utilità in sé; da ultimo, si cade in contraddizione logica allorquando, per non effettuare risarcimenti futili, si chiede di dimostrare che la possibilità di raggiungere il risultato è seria e non simbolica, ciò che non dovrebbe essere laddove la chance fosse un bene in sé già presente nel patrimonio.
Per tali motivi, una diversa linea ricostruttiva, conosciuta come tesi eziologica, parla di chance in termini di lucro cessante, nel senso che ne ammette la risarcibilità solo quando l'occasione perduta si presentava, se valutata con prognosi postuma, assistita da ‘considerevoli possibilità di successo' o ‘ragionevole probabilità di verificarsi' (in questi termini, Cass. n. 11548/2013, Cass. n. 4793/2013, Cass. n. 11609/2011, Cass. n. 20351/2010, Cass. n. 11353/2010, Cass. n. 1767/2009, Cass. n. 4052/2009, Cass. n. 10111/2008, Cass. n. 23304/2007, Cass. n. 17940/2003, Cass. n. 9598/1998), da scrutinarsi anche in base a presunzioni.
La chance non è infatti vista come una utilità in sé -ed infatti non si può cedere, donare o vendere- ma utile solo in quanto realizzata, e la sua perdita non si distingue dalla perdita del risultato finale auspicato: sostenere che essa costituisce un bene autonomo, vorrebbe dire creare un bene che per il diritto rileva solo se leso.
Quindi, la perdita di chance non costituisce la perdita di un bene patrimoniale, ma soltanto l'annullamento di un presupposto necessario per il conseguimento del bene sperato, ed il danno si identifica con il quantum lucrari potui; la chance è allora un criterio di verifica della sussistenza del legame eziologico tra la condotta impeditiva e la verificazione del danno patito inteso quale perdita del risultato finale, ed assurge quindi a strumento per dimostrare in modo meno rigoroso il nesso causale.
Ciò posto, ritiene questo Giudice come ciascuna di queste due tesi colga una parte di verità, e sia quindi necessario perseguire una tesi intermedia, che vede come lucro cessante il danno futuro derivante dalla definitiva perdita, a causa del comportamento altrui, del bene ultimo avuto di mira; e vede invece come danno emergente la chance in senso stretto, cioè la lesione della possibilità di raggiungere il risultato sperato.
Deve infatti tenersi conto che la domanda per perdita di chance è ontologicamente diversa da quella di risarcimento del danno futuro da mancato raggiungimento del risultato sperato, e la prima nemmeno può essere considerata un minus della seconda, mutando la causa petendi (possibilità di conseguire un risultato nella chance, perdita del risultato nel danno futuro), il petitum (risarcimento commisurato a perdita nella chance, perdita tout court nel danno futuro) e l'onere della prova per la parte (che nella lesione di chances riguarda la perdita di una probabilità non trascurabile di raggiungere il risultato, mentre nel danno futuro riguarda il fatto che, ove fosse stato tenuto il comportamento legittimo, il risultato sarebbe stato raggiunto).
Vi è insomma un doppio binario causale, come è stato acutamente osservato, “due dimensioni di analisi del rapporto causale rilevanti ai fini civilistici: la causalità civile ordinaria, attestata sul versante del ‘più probabile che non', che ha per oggetto il danno per la perdita del bene leso; e la causalità da perdita di chance, attestata sul versante della mera possibilità di conseguimento di un diverso risultato, da intendersi come sacrificio della possibilità di conseguirlo” (Cass. n. 21619/2007, est. Travaglino, che completa il percorso logico iniziato da Cass. n. 4440/2004. Di mera possibilità parla anche Cass. n. 11609/2011): nel primo caso, il risarcimento è integrale con riferimento al bene leso, nel secondo caso è parametrato percentualmente sulla chance persa.
In sintesi, i due aspetti della perdita del bene futuro e della perdita di chance, riguardano due beni giuridici diversi, in relazione a ciascuno dei quali va accertato il nesso causale. Pertanto, occorre verificare il nesso causale tra il fatto e l'evento della perdita del bene futuro inteso come lucro cessante; o il nesso causale tra il fatto e l'evento della perdita di chance (non semplice illusione od aspirazione velleitaria!) come danno emergente.
Questo, tra l'altro, è l'approdo al quale è giunto anche la più attenta giurisprudenza di legittimità, che ha lucidamente distinto tra chance e danno futuro sia in materia di responsabilità medica, differenziando la domanda di risarcimento per diminuzione della speranza di sopravvivenza, dalla domanda di risarcimento per morte (Cass. n. 4400/2004; cfr. anche Cass. n. 23846/2008 circa la ritardata diagnosi comportante la lesione di chance di vivere quantitativamente più a lungo o qualitativamente meglio, nonché di decidere ‘che fare' nel poco tempo che rimane da vivere. In questi termini anche Cass. n. 21245/2012); sia in materia lavoristica, differenziando il danno da mancata partecipazione ad un concorso, dal danno da mancata promozione in esito a tale concorso (Cass. n. 852/2006, Cass. n. 123/2003, Cass. n. 734/2002).
Il risarcimento da lesione di chance, intesa come concreta ed effettiva occasione favorevole di conseguire un determinato bene, presuppone allora l'onere di provare, sia pure presuntivamente o secondo un calcolo di probabilità, la realizzazione in concreto di alcuni presupposti per il raggiungimento del risultato sperato e impedito dalla condotta illecita della quale il danno risarcibile dev'essere conseguenza diretta e immediata (Cass. n. 11353/2010, Cass. n. 5119/2010, Cass. n. 4052/2009, Cass. Sez. Un. n. 1850/2009, Cass. n. 23846/2008, Cass. n. 21544/2008, Cass. n. 16877/2008, Cass. n. 21014/2007, Cass. n. 17176/2007, Cass. n. 14820/2007, Cass. n. 12243/2007, Cass. n. 10840/2007, Cass. n. 238/2007, Cass. n. 21297/2006, Cass. n. 1752/2005, Cass. n. 3999/2003).
Peraltro, “la perdita di chance è risarcibile indipendentemente dalla dimostrazione che la concreta utilizzazione della chance avrebbe presuntivamente o probabilmente determinato la consecuzione del vantaggio, essendo sufficiente anche la sola possibilità di tale consecuzione. L'idoneità della chance a determinare presuntivamente o probabilmente ovvero solo possibilmente la detta conseguenza è, viceversa, rilevante soltanto ai fini della concreta individuazione e quantificazione del danno, da effettuarsi eventualmente in via equitativa, posto che nel primo caso il valore della chance è certamente maggiore che nel secondo e, quindi, lo è il danno per la sua perdita, che, del resto, in presenza di una possibilità potrà anche essere escluso, all'esito di una valutazione in concreto della prossimità della chance rispetto alla consecuzione del risultato e della sua idoneità ad assicurarla” (Cass. n. 23846/2008, est. Frasca; negli stessi termini, Cass. n. 12961/2011, est. Segreto).
4) Quanto sopra offre le coordinate per la soluzione del caso che qui occupa.
Come più sopra argomentato, la signora N. P. D.F. avrebbe avuto una significativa riduzione del rischio morte, se i sanitari avessero correttamente adempiuto alle loro obbligazioni, tempestivamente impiantando il devices ICD+CRT.
Sulla base di quanto più volte sopra ricordato, per un verso gli attori non possono vantare un danno non patrimoniale connesso alla perdita della propria congiunta a seguito dell'omissione medica, non potendosi formulare un giudizio prognostico circa il fatto che la signora, ‘più probabilmente che non', avrebbe evitato il decesso, laddove la prestazione sanitaria fosse stata correttamente resa; tuttavia, vi è però certamente stata, a seguito dell'errore medico, una lesione di chance, nel senso sopra illustrato, di potere evitare il decesso e così ancora convivere con il proprio congiunto.
La quantificazione di tale danno ben può essere fatta “in via equitativa” (cfr. Cass. n. 20808/2010, Cass. n. 23846/2008 e Cass. n. 13241/2006), senza neppure la necessità della richiesta di parte laddove si sia in presenza delle condizioni di cui all'articolo 1226 c.c. (Cass. n. 2706/2004).
In ragione di ciò, tenuto conto di un'età di 47 anni al momento del decesso e di una situazione complessiva resa precaria da “molteplicità delle alterazioni aritmiche” (pag. 30 CTU); considerato che il danno derivante dalla perdita di un congiunto viene compensato, utilizzando l'importo minimo dei parametri cosiddetti del Tribunale di Milano, in € 163.000 per la perdita di un figlio ed in € 23.600 per la perdita di un fratello; evidenziato che la liquidazione del danno da perdita di chance di aspettativa di vita, deve ovviamente essere inferiore a quella minima prevista per il danno della perdita della vita, e ragionevolmente minore della metà di tale danno; per tutte queste ragioni, stimasi equo, ex art. 1226 c.c., individuare il danno non patrimoniale da perdita di chance di potere ancora convivere con un congiunto, in € 60.000 all'attualità per quanto concerne la madre, ed in € 10.000 all'attualità per quanto concerne ciascuno dei tre fratelli.
Pertanto e conclusivamente, la convenuta AUSL deve essere condannata a pagare € 60.000 a A.S. V., ed € 10.00 ciascuno ad A.P. D.F., F.A. D.F., Laura Maria Assunta D.F..
4) Non vi sono motivi per derogare ai principi generali codificati dall'art. 91 c.p.c. in tema di spese di lite, che, liquidate come da dispositivo con riferimento al D.M. n. 140/2012, in ragione della previsione di retroattività posta dal suo articolo 41 ed atteso che l'attività degli avvocati si è esaurita dopo la caducazione delle tariffe il 23/7/2012 (per la retroattività della normativa, cfr. la giurisprudenza consolidata di Cass. Sez. Un. nn. 17405-6/2012, Cass. nn. 18473/2012, 18551/2012, 18920/2012, ritenuta costituzionalmente non illegittima da Corte Cost. Ord. n. 261/2013), sono quindi poste a carico della soccombente parte convenuta ed a favore dei vittoriosi attori, in solido tra loro, tenendo a mente il valore medio per ciascuna delle quattro fasi di studio, di introduzione, istruttoria e decisoria, nell'ambito dello scaglione entro il quale è racchiuso il decisum di causa, non già il disputatum (Cass. Sez. Un. n. 19014/2007, Cass. n. 3996/2010, Cass. n. 226/2011), e disponendo l'aumento di un terzo, ai sensi dell'articolo 1 comma 4, trattandosi di incarico collegiale conferito da quattro attori.
Per gli stessi principi in tema di soccombenza, anche le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con il separato decreto di cui a dispositivo, sono definitivamente poste a carico di parte convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Reggio Emilia in composizione monocratica definitivamente pronunciando, nel contraddittorio tra le parti, ogni diversa istanza disattesa
- condanna AUSL di Reggio Emilia a pagare
• a V. A.S. € 60.000,
• a D.F. A.P. € 10.000,
• a D.F. F.A. € 10.000,
• a D.F. Laura Maria Assunta € 10.000;
- condanna AUSL di Reggio Emilia a rifondere a V. A.S., D.F. A.P., D.F. F.A., D.F. Laura Maria Assunta, in solido tra loro, le spese di lite del presente giudizio, che liquida in € 10.000 per compensi, oltre IVA e CPA come per legge;
- pone definitivamente a carico di AUSL di Reggio Emilia le spese di CTU, già liquidate in corso di causa con separato decreto 18/10/2012.
28-03-2014 15:18
Richiedi una Consulenza