Un uomo giustifica il mancato invio dell'assegno di mantenimento con le dimissioni dal posto di lavoro. Per i Giudici detto comportamento è irragionevole. Respinto il ricorso per Cassazione.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 18 marzo – 22 aprile 2014, n. 17623
Presidente Agrò – Relatore Villoni
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza sopra indicata la Corte d'Appello di Salerno confermava quella emessa dal Tribunale di Sala Consilina in data 16/08/2008, così ribadendo la condanna di S.G. alla pena di due mesi di reclusione ed € 200,00 di multa per il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare (art. 570, commi 1 e 2 cod. pen.) in danno della moglie separata R.A. e del figlio minore F., con condanna al risarcimento dei danni e rifusione delle spese processuali in favore della parte civile costituita.
Rispondendo alle doglianze formulate con i motivi d'appello, la Corte territoriale respingeva la tesi dell'insussistenza dei reato per impossibilità dell'imputato a far fronte ai suoi impegni familiari in quanto privo di redditi, osservando che egli si era licenziato fin dal mese dì ottobre 2004 dall'azienda agricola dove prestava lavoro senza alcun plausibile motivo.
2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, deducendo tre motivi: a) violazione di legge in relazione all'art. 570 cod. pen. poiché la Corte non ha tenuto conto della insussistenza dello stato di bisogno del soggetto beneficiato, percettore di reddito da lavoro e proprietario di beni immobili; b) vizio di motivazione derivate dalla conferma delle statuizioni del giudice di prime cure ma in assenza di valutazione dello specifico motivo di impugnazione, quale ora descritto; c) violazione di legge per carenza assoluta di motivazione in ordine al predetto motivo di impugnazione.
Considerato in diritto
3. Il ricorso risulta complessivamente generico, come tale dovendo essere dichiarato inammissibile.
Come si desume dall'atto di impugnazione, a dispetto della loro articolazione anche come vizi di violazione di legge, essi finiscono per rappresentare una generale critica della sentenza d'appello, corredati come sono da citazioni giurisprudenziali in tema di art. 570 cod. pen., nonché da riferimenti a vari istituti penali di carattere generale (artt. 49, comma 2, 115 cod. pen.) ed a precetti di carattere costituzionale.
Esso pone, dunque, sostanzialmente un tema di squisito merito, sostenendo che la penale responsabilità non poteva essere affermata, godendo le parti lese di adeguati mezzi economici, tali da fugare la tesi della sussistenza di un loro stato di bisogno.
Orbene, reputa il collegio che sebbene in maniera sintetica, la Corte territoriale abbia fornito adeguata risposta alle doglianze articolate con l'atto d'appello, respingendo il principale l'argomento difensivo dell'assenza incolpevole di redditi da parte dell'imputato, resosi dunque volontariamente inadempiente all'obbligo di versamento impostogli in sede di separazione personale dalla coniuge R.A., essendosi poco dopo licenziato, senza motivo plausibile alcuno dall'azienda agricola commerciale di famiglia presso cui prestava attività lavorativa.
Non rientra evidentemente nelle competenze della corte di legittimità rivisitare il complessivo compendio probatorio, allorquando ritenga che la motivazione della sentenza impugnata abbia dato sufficiente conto delle ragioni poste a suo sostegno, rispondendo in maniera esplicita o implicita, come nella specie, alle censure difensive.
4. Alla dichiarazione d'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende che si stima equo determinare nella misura di 1.000,00 (mille) Euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
25-04-2014 16:35
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