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Sentenza

Un carabiniere, durante un intervento nel quale era stato segnalato il sequestro di due donne da parte di un uomo, viene raggiunto da un fendente al torace e da una coltellata alla coscia. Estrae l'arma e uccide l'aggressore. Fu legittima difesa.
Un carabiniere, durante un intervento nel quale era stato segnalato il sequestro di due donne da parte di un uomo, viene raggiunto da un fendente al torace e da una coltellata alla coscia. Estrae l'arma e uccide l'aggressore. Fu legittima difesa.
Cassazione penale  sez. I   
Data:
    26/11/2013 ( ud. 26/11/2013 , dep.20/01/2014 ) 
Numero:
    2262

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. CHIEFFI    Severo        -  Presidente   -                     
    Dott. ZAMPETTI   Umberto       -  Consigliere  -                     
    Dott. CAPRIOGLIO Piera M.      -  Consigliere  -                     
    Dott. CASA       Filippo  -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. BONI       Monica        -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                T.B. N. IL (OMISSIS); 
    nei confronti di: 
               Z.G. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza  n.  25/2011 CORTE  ASSISE  APPELLO  di  REGGIO 
    CALABRIA, del 23/04/2012; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 26/11/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. FILIPPO CASA; 
    Udito  il  Procuratore  Generale in persona  del  Dott.  Scardaccione 
    Eduardo Vittorio che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
    Udito il difensore Avv. Naso Pietro. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza emessa in data 1.3.2011, il G.U.P. del Tribunale di Palmi, in esito a giudizio abbreviato, dichiarava Z.G. non punibile in ordine al reato di cui agli artt. 52, 55, 575 in relazione all'art. 589 c.p., per aver egli agito in stato di legittima difesa.

    Il G.U.P. di Palmi ricostruiva gli eventi sulla base della relazione di servizio - integrata dalle successive dichiarazioni rese al PM - di A.F., e dei verbali di s.i.t. rese da L.T. C. e G.M., presenti al fatto, nonchè di C. S. e Co.Gi..

    L'omicidio si era verificato nel corso di un intervento dei Carabinieri Z.G. e A.F., in servizio al Comando Stazione di (OMISSIS), giunti presso il civico (OMISSIS) della locale via (OMISSIS) a seguito di segnalazione dell'avvenuto sequestro di due donne da parte di un uomo, poi identificato in T.A..

    Lo Z., introdottosi all'interno dell'abitazione dalla quale aveva sentito provenire le grida d'aiuto, aveva ingaggiato, alla presenza del collega A. - che, nel mentre, era intento a proteggere G.M., proprietaria dell'appartamento, e la suocera di costei L.T.C. - una colluttazione corpo a corpo con il T., che vibrava, ripetutamente, nella sua direzione, un coltello da cucina.

    Nel corso della colluttazione, dopo aver schivato un primo fendente al torace, che gli lacerò la camicia, essendo stato attinto da una coltellata alla coscia destra, il militare aveva estratto l'arma di ordinanza e aveva sparato, in direzione del T., in rapidissima sequenza, due colpi d'arma da fuoco, uno dei quali aveva raggiunto l'aggressore al fianco destro, cagionandone la morte, come accertato dal medico-legale.

    Esposte ed esaminate le risultanze istruttorie, il Giudice di prime cure addiveniva alla pronuncia di non punibilità dell'imputato, avendo questi agito in stato di legittima difesa, scriminante di cui sussistevano tutti i requisiti prescritti.

    Escludeva il Giudice che lo Z. avesse ecceduto colposamente i limiti della scriminante predetta: la repentina e furente azione aggressiva del T., incontenibile in quanto posta in essere da persona in stato di eccitazione dovuto ad assunzione di cocaina, aveva indotto il militare a servirsi dell'unico mezzo difensivo a sua disposizione, avendo egli valutato come in quel frangente nè la sola forza fisica, nè l'improbabile intervento del collega (occupato a proteggere le donne già rese ostaggio), gli avrebbero potuto consentire di difendersi efficacemente.

    2. Avverso la sentenza del G.U.P. di Palmi proponeva appello ex art. 576 c.p.p. la Parte civile T.B., con richiesta di riforma della decisione e di condanna dello Z., previa affermazione della sua penale responsabilità, al risarcimento di tutti i danni patrimoniali, biologici e morali subiti.

    3. Con sentenza resa in data 23.4.2012, la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria rigettava l'impugnazione, condannando la Parte civile al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione, in favore dell'appellato, delle spese dallo stesso sostenute in quel grado di giudizio.

    I Giudici di secondo grado disattendevano tutti i motivi di gravame, riesaminando pressochè integralmente le evidenze istruttorie valutate dal primo Giudice e condividendo in toto le argomentazioni addotte da quest'ultimo a sostegno della sua decisione.

    Osservava la Corte reggina che la ricostruzione offerta dall'appellante, tesa a dimostrare che la condotta dello Z. avesse integrato un eccesso colposo di legittima difesa, era fondata su taluni dati non solo meramente presuntivi e congetturali - l'assenza, in capo al T., di un intento omicida; l'uso del coltello solo per guadagnare una via di fuga; la concreta possibilità, da parte dei due militari, del previo concerto di una vera e propria strategia operativa di pronta e pedissequa esecuzione - ma anche del tutto contrastanti con le obiettive ed univoche emergenze processuali.

    Il dato probatorio impediva, ad esempio, di poter affermare che il T. avesse impugnato il coltello solo per guadagnare una via di fuga.

    L'arma, infatti, ancor prima dell'intervento dei Carabinieri presso l'appartamento della sig.ra G., era stata usata dal T. per minacciare qualunque persona gli fosse venuta incontro, come accaduto con un bambino di quattro anni, cui l'uomo aveva puntato il coltello alla gola, e, poco dopo, con le due donne che, sotto la minaccia dell'arma, egli aveva sequestrato.

    Non solo, ma, prima che il T. venisse ferito dal colpo di pistola del Carabiniere, aveva già sferrato due coltellate contro di lui, lambendo il torace con la prima, attingendolo alla coscia destra con la seconda.

    Nè era sostenibile la doglianza secondo cui lo Z. non si sarebbe attenuto all'azione previamente concordata "sotto l'egida di una unità operativa previamente concertata".

    Non era credibile che i due militari potessero aver cercato un'intesa che contemplasse anche l'ipotesi, non rappresentabile ex ante, in cui il sequestratore si fosse improvvisamente scagliato contro uno di loro, lo avesse colpito più volte con il coltello e lo avesse ferito.

    Così come non era credibile che, a fronte di tale evenienza, i due militari avessero concertato di non usare le armi, semmai difendendosi solo a mani nude, offrendosi all'aggressione armata del T..

    Questa intesa in realtà non risultava mai essere stata concordata, costituendo una interpretazione del tutto personale rassegnata dall'appellante.

    L'invocata "superiorità numerica" dei Carabinieri e il conseguente affidamento dello Z. nell'intervento del collega, che non avrebbe reso necessario difendersi con la pistola in dotazione, rappresentavano, d'altro canto, una mera prospettazione, puramente teorica e non praticabile, giacchè la stretta sequenza temporale dell'azione aggressiva del T. non concedeva la possibilità di un intervento ausiliatore del collega presente nella stanza, intervento che non si è registrato e non risulta fosse stato neanche accennato, sì che non vi erano alternative per lo Z. fra il reagire o il soccombere.

    Quanto al rilievo contestato al predetto di non aver disarmato il T. a mani nude, come successivamente aveva fatto il collega A., la Corte osservava trattarsi di due situazioni in alcun modo comparabili.

    Nella situazione in cui l' A. era protagonista il T., nel suo tentativo di fuga verso il pianerottolo inferiore, era stato bloccato contro un muro, perciò la sua libertà di movimento era ampiamente limitata, di talchè era stato possibile per il militare sferrargli un pugno sul polso e disarmarlo.

    Tale opportunità lo Z., viceversa, non aveva avuto, giacchè il suo antagonista era libero nei movimenti e, incalzando il militare e sferrando coltellate in continuazione contro di lui, gli aveva impedito di disarmarlo, costringendolo ad arretrare.

    Infondata, inoltre, doveva ritenersi la considerazione secondo cui sarebbe stata assente una volontà omicida nel T..

    Denotavano l'esatto contrario non solo l'iniziale espressione intimidatoria proferita dal predetto brandendo il coltello all'indirizzo dei due Carabinieri appena introdottisi nell'appartamento della G. "Vi ammazzo, andate via ...", ma anche la successiva immediata sequenza di coltellate inferte allo Z., la prima delle quali diretta al torace, sede di organi vitali, e l'ultima all'altezza della testa.

    Infondato, analogamente, doveva ritenersi l'ulteriore addebito ascritto dall'appellante circa l'inoffensivita del "coltello da mensa" impugnato dal T., la cui lama presumibilmente "avrebbe potuto spezzarsi alla resistenza oppostagli da un corpo non molle cui sarebbe stato infetto o ... che avrebbe potuto essere tranquillamente parato utilizzando una delle sedie a modo di scudo".

    Osservava sul punto la Corte che l'inoffensivita era già negata dalla stessa ferita subita dallo Z.; inoltre, la "presumibile" rottura della lama a causa della resistenza opposta da un corpo non molle rappresentava un'ipotesi dubitativa, la cui postulazione non poteva essere posta, nel corso di un'aggressione, a carico dell'aggredito, in specie quando questi fosse già stato attinto da due fendenti, di cui uno aveva causato una lesione dell'integrità fisica.

    Non era, poi, assistito da pregio il profilo della doglianza che limitava l'inoffensivita del coltello al solo "bene vita", atteso che l'art. 52 qualifica come legittima la reazione ad un'offesa a un qualunque diritto, quindi, nella specie, non solo il bene vita, ma anche il bene integrità fisica dello Z..

    Tutte le considerazione esposte rendevano infondata, secondo la Corte, l'ulteriore doglianza sulla insussistenza di proporzionalità tra offesa e difesa, articolata sugli stessi elementi di cui si è in precedenza dato atto (superiorità numerica dei militari in loco, superiorità offensiva delle armi, presunta superiorità tecnica dei carabinieri nella colluttazione e inoffensività per il bene vita del coltello usato dalla vittima).

    4. Avverso la sentenza della Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria ha proposto ricorso, attraverso il suo difensore, la Parte civile T.B..

    4.1. Con il primo motivo, ha dedotto:

    "Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione agli artt. 52 e 55 c.p.. Difetto, contraddittorietà e illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e)".

    Il Giudice d'Appello aveva ritenuto la sussistenza della legittima difesa secondo un'applicazione erronea del principio di proporzionalità, non tenendo in alcuna considerazione la eterogeneità dei beni in conflitto e pervenendo ad una inaccettabile equiparazione, su un piano di valori costituzionali, tra bene vita e bene integrità fisica.

    Illogico l'iter motivazionale seguito per affermare la congruità del mezzo utilizzato per la difesa (pistola): la Corte, pur partendo da un presupposto logico corretto, ossia la minore offensività del coltello rispetto all'offensività dell'arma d'ordinanza del Carabiniere, era giunta ad una conclusione contraddittoria quando, nel ritenere la sussistenza della proporzione fra offesa e difesa, non aveva tenuto in considerazione la diversità dei mezzi, essendo, tra l'altro, un dato acquisito al processo quello dell'inidoneità del coltello a ledere il bene vita.

    I Giudici di secondo grado avevano violato l'art. 52 c.p. anche per aver omesso di valutare l'assenza di un pericolo attuale, inteso come "situazione di pericolo non volontariamente provocato dallo stesso soggetto che invoca l'esimente".

    Nella specie, lo Z. avrebbe potuto scongiurare l'aggressione ai suoi danni semplicemente non ponendosi a contatto con il suo aggressore: errata e apparente doveva considerarsi l'applicazione dell'art. 52 c.p. fornita dalla Corte, atteso che l'attualità del pericolo doveva escludersi in quanto sorta solo successivamente e causata da chi intendeva avvantaggiarsi dell'esimente.

    II superamento colposo dei limiti di operatività della scriminante avrebbe dovuto determinare l'applicazione della sanzione penale a titolo di delitto colposo.

    4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente ha denunciato:

    "Mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione di cui all'art. 606 c.p.p., lett. e). Motivazione apparente".

    La Corte reggina aveva ritenuto inesigibile dall'imputato altro comportamento da quello che portò alla morte dell'aggressore, partendo dal presupposto logico secondo il quale la vicenda si era sviluppata dalle prime fasi, ancor prima dell'intervento dei Carabinieri, in un contesto di assoluta drammaticità e rischiosità per l'incolumità fisica dei soggetti coinvolti, di cui i militari erano stati avvertiti.

    Se così era - prosegue il ricorrente - risultava illogico o contraddittorio ritenere che, con valutazione ex ante - nello sviluppo della vicenda - la reazione del T. fosse stata "repentina, inaspettata, imprevista e imprevedibile". Al contrario, il presupposto logico (situazione pericolosa) avrebbe dovuto condurre gli operanti (per professione avvezzi a dette situazioni) a porre in essere comportamenti tali da portare sia alla liberazione degli ostaggi che a salvaguardare l'incolumità (quanto meno il bene primario vita) dell'aggressore; era altamente probabile, infatti, che un sequestratore, armato di coltello, per guadagnarsi la fuga, potesse far uso della sua arma, per cui gli operanti dovevano essere in grado di prevedere tali evenienze e porvi rimedio, senza uccidere l'aggressore.

    Illogica, dunque, era la valutazione dei Giudici di secondo grado sulla imprevedibilità dell'aggressione e, di conseguenza, illogiche o contraddittorie le ulteriori considerazioni svolte dalla Corte sulla inesigibilità di altro comportamento da parte dell'agente e sulla negatoria del rilievo che lo Z. avesse disatteso la strategia d'intervento concordata con il collega o, comunque, ne avesse colposamente compromesso la completa, e soddisfacente per tutti, conclusione.

    5. In data 7.11.2013 il difensore dello Z. ha presentato articolata memoria di replica ai motivi di impugnazione sviluppati nel ricorso, condividendo integralmente l'iter logico-giuridico seguito dai Giudici dell'Appello e concludendo per il rigetto dell'impugnazione.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    1. Il ricorso è infondato.

    1.1. Il primo motivo - essenzialmente incentrato sui requisiti della scriminante di cui all'art. 52 c.p. - non merita pregio.

    I presupposti essenziali della legittima difesa, come noto, sono costituiti da un'aggressione ingiusta e da una reazione legittima:

    mentre la prima deve concretarsi nel pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un diritto (personale o patrimoniale) tutelato dalla legge, la seconda deve inerire alla necessità di difendersi, alla inevitabilità del pericolo e alla proporzione tra difesa e offesa (v., tra molte: Sez. 4, sentenza n. 16908 del 12/2/2004, Lopez, Rv. 228045).

    La necessità di difendersi si ha quando il soggetto si trova nell'alternativa tra reagire e subire, nel senso che non può sottrarsi al pericolo senza offendere l'aggressore (Sez. 1, Sentenza n. 6811 del 21/4/1994, De Giovanni, Rv. 198115) e che la sua reazione deve essere, nelle circostanze della vicenda apprezzate "ex ante", l'unica possibile, non sostituibile con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto (Sez. 5, Sentenza n. 25653 del 14/5/2008, Diop e altro, Rv. 240447; Sez. 4, Sentenza n. 32282 del 4/7/2006, De Rosa ed altro, Rv. 235181).

    La determinazione volontaria dello stato di pericolo esclude la configurabilità della legittima difesa non per la mancanza del requisito dell'ingiustizia dell'offesa, ma per difetto del requisito della necessità della difesa (Sez. 1, Sentenza n. 2654 del 9/11/2011, dep. 23/1/2012, Minasi, Rv. 251834).

    Affinchè sussista la proporzione fra offesa e difesa, occorre effettuare un confronto valutativo, effettuato con giudizio "ex ante", sia fra i mezzi usati e quelli a disposizione dell'aggredito che fra i beni giuridici in conflitto (Sez. 1, Sentenza n. 45407 del 10/11/2004, Podda, Rv. 230392): ne consegue che il requisito della proporzione viene, comunque, meno nel caso di conflitto fra beni eterogenei, allorchè la consistenza dell'interesse leso sia enormemente più rilevante, sul piano della gerarchia dei valori costituzionali, di quello difeso ed il danno inflitto abbia un'intensità di gran lunga superiore a quella del danno minacciato (oltre a quella citata in precedenza, vedi Sez. 1, Sentenza n. 47117 del 26/11/2009, Carta, Rv. 245884).

    Occorre, peraltro, sempre tenere presente la regola di esperienza per cui, salvo il caso di manifesta sproporzione della reazione, colui che è reiteratamente aggredito reagisce come può, secondo la concitazione del momento, e non è tenuto a calibrare l'intensità della reazione, finalizzata ad indurre la cessazione della avversa condotta lesiva (Sez. 5, Sentenza n. 25608 del 24/2/2011, Faraci, Rv.

    250396).

    Per stabilire se nel commettere il fatto si siano ecceduti colposamente i limiti della legittima difesa, bisogna prima identificare i requisiti comuni alle due figure giuridiche, poi il requisito che le differenzia: accertata la inadeguatezza della reazione difensiva, per l'eccesso nell'uso dei mezzi a disposizione dell'aggredito in un preciso contesto spazio temporale e con valutazione ex ante, occorre procedere ad un'ulteriore differenziazione tra eccesso dovuto ad errore di valutazione ed eccesso consapevole e volontario, dato che solo il primo rientra nello schema dell'eccesso colposo delineato dall'art. 55 c.p., mentre il secondo consiste in una scelta volontaria, la quale certamente comporta il superamento doloso degli schemi della scriminante (Sez. 1, sentenza n. 45425 del 25/10/2005, rv. 233352; Sez. 1, sentenza n. 13370 del 5/3/2013, R., Rv. 255268).

    Alla luce di questi principi, nel caso in esame, la sentenza impugnata, con motivazione esente da evidenti incongruenze o da interne contraddizioni, ha correttamente ravvisato la sussistenza della legittima difesa, siccome integrata dalla compresenza di tutte le sue componenti, e altrettanto correttamente ha escluso l'eccesso colposo, tenuto conto: a) che, prima di essere ferito dal colpo di pistola esploso dal Carabiniere Z., il T. aveva già sferrato due coltellate contro il pubblico ufficiale - lambendo il torace con la prima e attingendolo alla coscia destra con la seconda - e si accingeva a sferrarne una terza in direzione della testa del militare medesimo; b) che la stretta, incalzante, sequenza temporale dell'azione offensiva del T., la cui aggressività era tra l'altro accentuata da recente assunzione di cocaina accertata dal medico legale (un quantitativo di stupefacente gli fu anche trovato indosso), non aveva concesso alcuna possibilità di un concreto, efficace, intervento ausiliatore del collega A. presente nella stanza, il quale A., oltre tutto, era, in quei frangenti, impegnato a tutelare l'incolumità delle due donne occupanti l'appartamento in cui le aveva sequestrate il T.; c) che, pertanto, non vi erano soluzioni alternative per lo Z. fra il reagire, con l'unico mezzo offensivo a sua disposizione (la pistola di ordinanza) o il soccombere all'ennesima coltellata dell'aggressore; d) che, nella situazione concreta, non si poteva parlare di squilibrio degli strumenti utilizzati per la difesa e per l'offesa e di eterogeneità dei beni in conflitto, stante l'innegabile idoneità lesiva di un coltello da cucina in acciaio con lama appuntita della lunghezza di 11 cm come quello brandito dal T. e con il quale quest'ultimo, dopo aver ferito lo Z. alla coscia, si accingeva a colpirlo alla testa, zona, all'evidenza, vitale: deve, invero, rilevarsi che, con l'uso del coltello secondo le modalità e la sequenza descritte, l'offensore ebbe ad aggredire non semplicemente l'integrità fisica del Carabiniere Z. (se non intesa nella sua massima ampiezza coincidente con la vita), quanto la vita del medesimo, di talchè i beni in conflitto tra loro, nella specifica fattispecie esaminata e nel contesto accertato, dovevano ritenersi non eterogenei (vita dell'aggressore, integrità fisica dell'aggredito), ma omogenei (la vita di entrambi), ed il danno inflitto con l'azione difensiva contraddistinto da un'intensità e un'incidenza non superiore a quella del danno minacciato; e) che le modalità reiterate dell'aggressione, preceduta dall'eloquente espressione, accompagnata dal movimento roteante del coltello, rivolta dal T. ai Carabinieri Z. e A.: "Vi ammazzo, andate via ... tanto in galera ci vado a finire lo stesso", escludevano che il soggetto intendesse usare il coltello solo per procurarsi una via di fuga; f) che la sequenza concitata dell'azione spiegava perchè lo Z. non avesse potuto avvicinarsi all'aggressore e disarmarlo a mani nude.

    Del tutto infondata la censura mossa dalla ricorrente a proposito della pretesa omessa valutazione dell'assenza di un pericolo attuale, inteso come "situazione di pericolo non volontariamente provocato dallo stesso soggetto che invoca l'esimente", dal momento che la Corte reggina ha ampiamente e congruamente argomentato in ordine all'iniziativa illegittima posta in essere per primo dal T. (che aveva, dietro la minaccia del coltello, sequestrato due donne in un appartamento), alla successiva aggressione con il coltello perpetrata dal medesimo all'indirizzo dello Z. (dopo che questi, nell'adempimento del dovere di arrestare l'azione del sequestratore, era entrato con il collega A. nell'alloggio) ed alla concreta impossibilità, da parte dell'aggredito, di reagire, peraltro solo dopo essere stato ferito, in modo diverso da quello attuato (dunque, non poteva considerarsi certamente lo Z. il soggetto che aveva volontariamente provocato la situazione di pericolo giustificante l'esimente).

    1.2. Neppure merita pregio la seconda censura.

    La descrizione della situazione precedente l'intervento dei Carabinieri in termini di elevata pericolosità (perchè il T. aveva sequestrato due donne ed era armato di coltello) non si pone in logica contraddizione con la successiva valutazione dell'azione aggressiva del sequestratore come "imprevedibile".

    Si tratta, peraltro, di una valutazione in punto di fatto insindacabile in questa sede, in quanto congruamente argomentata con riferimento al carattere "improvviso" e "repentino" dell'aggressione subita dallo Z., secondo le modalità dalla Corte territoriale dettagliatamente descritte.

    Solo congetturali, infine, le deduzioni svolte a proposito di quanto ci si sarebbe dovuti aspettare dai Carabinieri intervenuti (quindi, dallo Z.), sotto la specie di comportamenti tali da portare sia alla liberazione degli ostaggi che a salvaguardare l'incolumità dell'aggressore.

    2. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
    PQM
    P.Q.M.

    rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 26 novembre 2013.

    Depositato in Cancelleria il 20 gennaio 2014
Avv. Antonino Sugamele

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