Sul divieto di applicazione della custodia in carcere al padre di minori in tenera eta'. Opera solo quando vi sia assoluta impossibilita' di assistere gli stessi minori da parte della madre.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 4 aprile – 28 agosto 2014, n. 36388
Presidente Agrò – Relatore Leo
Ritenuto in fatto e Considerato in diritto
1. È impugnata l'ordinanza del 6/12/2013 con la quale il Tribunale di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell'appello cautelare, ha rigettato l'impugnazione proposta nell'interesse di P.A. contro il provvedimento con il quale, in data 18/07/2013, il Giudice per le indagini preliminari dello stesso Tribunale aveva rigettato una istanza di sostituzione della custodia in carcere con gli arresti domiciliari, proposta a norma dell'art. 275, comma 4, cod. proc. pen.
Il Tribunale, prima di assumere la decisione, ha nominato un perito affinché valutasse se la moglie dei ricorrente si trovasse, per le proprie condizioni di salute, nell'assoluta impossibilità di prestare assistenza ai tre figli minori. Il perito, pur riconoscendo l'attualità di una sindrome ansioso-depressiva reattiva, che impone un sostegno psicologico e farmacologico, ha escluso che la signora in questione non si trovi in grado di assistere i figli. Il giudizio è stato formulato anche con specifico riguardo al figlio minore, V., pure affetto da patologie della cognizione e della locuzione, secondo quanto documentato dalla difesa del ricorrente.
Il perito ha anche affermato l'opportunità di un sostegno alla famiglia dei servizi assistenziali del Comune di residenza. Il Tribunale, in relazione agli argomenti difensivi spesi nell'udienza camerale, ha notato come detto intervento sia stato definito auspicabile e non necessario, di talché non sarebbe affatto dimostrata l'impossibilità per la madre dei ragazzi a prestare loro la dovuta assistenza. Si è aggiunto che la signora in questione è parte di una famiglia numerosissima, dalla quel potrebbe ricevere un utile sostegno.
2. Ricorre il Difensore di A., denunciando vizio di motivazione e violazione di legge in relazione al comma 4 dell'art. 275 cod. proc. pen.
Dopo avere illustrato le patologie che affliggono il bambino più piccolo del ricorrente, si assume che la figura paterna sarebbe irrinunciabile, e che dunque l'assistenza della madre sarebbe comprovatamente insufficiente. Il Tribunale si sarebbe contraddetto, negando la valenza confermativa del riferimento del perito all'intervento dei Servizi sociali. Inoltre, avrebbe violato la logica dell'art. 275, comma 4, riferendosi al concorso nell'opera educativa di familiari diversi da padre, visto appunto che la legge intende supplire all'inidoneità della madre proprio recuperando per il minore la figura paterna.
3. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, perché presentato in base a motivi diversi da quelli previsti dalla legge, ed in particolare perché mira ad ottenere una valutazione in fatto diversa da quella operata dal Giudice di merito. Dalla dichiarazione di inammissibilità consegue la condanna dei ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento di una ulteriore somma in favore della Cassa delle ammende, che la Corte, valutate le circostanze dei caso concreto, stima di quantificare in euro 500,00.
4. Com'è noto il comma 4 dell'art. 275 cod. proc. pen. prevede il divieto di applicazione della custodia in carcere nei confronti del padre di minori in tenera età - in casi nei quali la restrizione sarebbe indispensabile a garanzia serie di esigenze cautelare, sia pure di rilevanza non eccezionale - solo quando si riscontri una impossibilità assoluta per la madre di assistere gli stessi minori. La condizione di «assolutezza» dell'impedimento materno costituisce il perno del bilanciamento tra esigenze di tutela dei minori e necessità di prevenire gravi reati, o attività di inquinamento della prova, od anche la fuga dell'interessato. È ovvio, in particolare, che i danni psicologici e materiali generalmente connessi alla forzata assenza dei padre non possono costituire elemento sul quale fondare una inadeguatezza «strutturale» della madre al compito assistenziale.
Il Tribunale calabrese, opportunamente disponendo una consulenza, ed assecondando le conclusioni del perito, ha stabilito che, pur ricorrendo una situazione umanamente dolorosa, la condizione della moglie del ricorrente non possa qualificarsi nel senso della assoluta impossibilità di accudire i figli, ed in particolare il figlio più piccolo. E la conclusione, contrariamente a quanto assume il Difensore, è stata motivata senza affermazioni illogiche o contraddizioni interne al discorso giustificativo della decisione.
È vero, in particolare, che una recente decisione di questa Corte ha censurato (per il solo difetto di motivazione) un provvedimento di applicazione della custodia carceraria in situazione per qualche verso simile a quella in esame, relativa ad una madre impossibilitata a dare assistenza ad un bambino perché afflitta da precarie condizioni di salute e gravata del compito di provvedere anche alle necessità di altro figlio minorenne, portatore di una grave malattia (Sez. 1, Sentenza n. 4748/14 del 12/12/2013, rv. 258143).
Nella specie tuttavia il Tribunale ha fatto specifico riferimento a fattori «compensativi» comunemente individuati dalla giurisprudenza al fine di valutare se l'impedimento materno debba considerarsi assoluto. Così, in particolare, per l'evocato intervento dei servizi sociali, il quale, lungi dal costituire elemento di contraddizione dei giudizio sfavorevole alle tesi difensive, può ben costituire un supporto tale da escludere il carattere assoluto dell'impedimento ad accudire. Lo stesso vale, mutatis mutandis, avuto riguardo alla presenza di un nucleo familiare esteso e capace di sostenere il compito materno pur in presenza di situazioni difficoltose (Sez. 5, Sentenza n. 27000 del 28/05/2009, rv. 244485; Sez. 1, Sentenza n. 14651 del 04/03/2008, rv. 240029; Sez. 5, Sentenza n. 8636 del 15/02/2008, rv. 239042).
Il Difensore contesta le conclusioni del Tribunale in base ad un assunto giuridicamente errato (l'insostituibilità sul piano psicologico della figura paterna non equivale infatti all'irrilevanza di supporti alternativi), e ad un giudizio di fatto alternativo, che non è spendibile, come osservato in apertura, nella presente sede di legittimità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 500,00 in favore della Cassa delle ammende.
06-09-2014 08:13
Richiedi una Consulenza