Sequestro conservativo: per le SS.UU. serve o l’insufficienza patrimoniale o la potenziale dispersione della garanzia.
Corte di Cassazione, sez. Unite Penali, sentenza 25 settembre – 11 dicembre 2014, n. 51660
Presidente/Relatore De Roberto
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza del 31 maggio 2014, il Tribunale di Genova, adito in sede di riesame, confermava l'ordinanza del Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Chiavari che aveva disposto, su istanza di F.D. e A.R. , persone offese costituitesi parti civili nei confronti di Z.G. , il sequestro conservativo fino all'importo di Euro 100.000 dei beni mobili ed immobili e dei crediti dell'imputato, cui erano stati contestati reati concernenti armi ed esplosivi nonché il reato di danneggiamento aggravato, per aver commissionato al coindagato B. di procurarsi un ingente quantitativo di esplosivo allo scopo di far esplodere l'autovettura del F. , ufficiale di polizia giudiziaria e cognato dello Z. , arrecando gravissimi danni morali e materiali allo stesso F. ed alla sua famiglia.
Rilevava il giudice del riesame, quanto al periculum in mora, contestato dallo Z. , che esso può derivare sia da una situazione che faccia apparire fondato un futuro depauperamento del patrimonio del debitore sia da una situazione oggettiva e cioè dalla inadeguata consistenza del patrimonio del debitore in relazione all'entità del debito. E ciò perché l'art. 316 cod. proc. pen., diversamente dalla previsione dell'art. 671 cod. proc. civ., richiama la mancanza delle garanzie delle obbligazioni, oltre che la possibilità di una dispersione delle garanzie stesse; così postulando, quale condizione per accedere alla richiesta di tale misura cautelare l'inadeguatezza delle garanzie patrimoniali rispetto all'obbligazione, in modo che debba venir ad esserne evitata la diminuzione.
Osservava ancora il Tribunale che l'imputato, pensionato, aveva una modesta capacità reddituale e l'immobile sequestrato costituiva l'unico cespite di sua proprietà in grado di rappresentare la garanzia per l'adempimento delle obbligazioni, tenuto anche conto della gravità dei fatti addebitati e della pluralità delle persone offese.
2. Ricorre per cassazione Z.G. con atto sottoscritto dal suo difensore, avv. Fabio Maggiorelli, deducendo violazione dell'art. 316 cod. proc. pen. nonché mancanza e manifesta illogicità della motivazione con riferimento al ritenuto periculum in mora.
Il ricorrente segnala, più in particolare, come la giurisprudenza più recente (di cui espone una breve silloge) sia orientata verso la linea interpretativa in base alla quale per assentire il sequestro conservativo non è sufficiente, come ritenuto dal giudice a quo, la mera incapienza patrimoniale, occorrendo, in ogni caso, il pericolo di dispersione della garanzia, il rischio, cioè, che la disponibilità del bene possa venir meno per effetto di condotte di impoverimento, la cui incidenza può essere amplificata dalla modestia della consistenza patrimoniale del debitore.
Il ricorrente addebita inoltre all'ordinanza impugnata di essere silente sul punto relativo alla entità del credito, comprensivo di interessi e spese, senza specificare le modalità di determinazione di detto importo, nonostante le critiche prospettate negli atti difensivi e, per di più, attestandosi su affermazioni non argomentate quanto al danno non patrimoniale.
3. Il ricorso, assegnato alla Prima Sezione penale, è stato rimesso, ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen., alle Sezioni Unite per la risoluzione del contrasto giurisprudenziale circa la nozione di periculum in mora quale presupposto per disporre il sequestro conservativo, fermo restando il principio che le finalità perseguite dall'art. 316 cod. proc. pen. si incentrano nell'immobilizzazione del patrimonio dell'obbligato allo scopo di attuare così la piena e concreta tutela del danneggiato dal reato per il soddisfacimento del suo credito risarcitorio.
Dopo aver premesso che la contestazione da parte del ricorrente dell'entità della somma il cui pagamento la misura cautelare è destinata a garantire è formulata in termini assolutamente generici, che ne impediscono la delibazione in sede di legittimità, l'ordinanza di rimessione osserva che, mentre, secondo una prima linea di tendenza il periculum in mora va valutato oltre che con riguardo all'entità del credito anche con riferimento ad una situazione, almeno potenziale, desunta da elementi certi ed univoci, di depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in ulteriore relazione con la composizione del patrimonio stesso, con la capacità reddituale e con l'atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo, una seconda linea di tendenza, facendo leva sulla ratio dell'istituto e sulla formulazione letterale della norma, sostiene che il periculum in mora, quale presupposto per disporre il sequestro conservativo, può essere ravvisato, oltre che in presenza di una situazione che faccia ritenere fondato un futuro depauperamento del debitore, anche quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del suo patrimonio in rapporto all'entità del credito e indipendentemente da un depauperamento allo stesso ascrivibile; non mancandosi in talune decisioni di segnalare come il rischio che la disponibilità del bene in capo al debitore possa annullarsi per effetto di condotte di impoverimento, può risultare amplificato dalla modestia della consistenza patrimoniale del debitore.
4. Il Primo Presidente, con decreto in data 23 maggio 2014, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissandone la trattazione per l'odierna udienza in camera di consiglio.
Considerato in diritto
1. Il quesito rimesso al vaglio delle Sezioni Unite concerne la nozione di periculum in mora ai fini della concessione del sequestro conservativo. E, più in particolare, se per assentire la misura cautelare reale di cui all'art. 316 e segg. cod. proc. pen., sia richiesta una situazione che faccia ritenere la futura dispersione del patrimonio del debitore ovvero sia sufficiente una oggettiva inadeguatezza della garanzia patrimoniale in rapporto all'entità del credito.
2. Appare utile ricordare che il sequestro conservativo (esclusivamente su beni mobili), considerato (al pari dell'ipoteca legale) dagli artt. 189, 190 e 192 cod. pen. (espressamente abrogati dall'art. 218 d.lgs. 28 luglio 1989, n. 271) e dall'art. 622 cod. proc. pen. 1930, un mezzo di garanzia patrimoniale per l'esecuzione, è divenuto nel sistema del codice del 1988 una misura cautelare reale che - è di rilievo precisarlo - si profila, con le necessarie differenziazioni derivanti dalla tipologia procedimentale entro cui la pretesa viene fatta valere, come modulo pressoché analogo al sequestro conservativo civile, sia per la funzione ad esso assegnata dalla legge, e cioè impedire la disponibilità anche giuridica della cosa rendendone inefficace l'eventuale alienazione sia per l'identità dello strumento di esecuzione, vale a dire, il pignoramento.
L'art. 316 cod. proc. pen., dedicato ai “Presupposti ed effetti del provvedimento”, definisce tali presupposti, tanto che essi si riferiscano all'iniziativa del pubblico ministero (legittimato a chiedere il sequestro conservativo al fine di garanzia per il pagamento della pena pecuniaria, delle spese del procedimento e di ogni altra somma dovuta all'erario dello Stato) tanto che essi si riferiscano all'iniziativa della parte civile (legittimata a chiedere il sequestro conservativo al fine di garanzia per le obbligazioni civili derivanti da reato), nel solo c.d. periculum in mora, vale a dire nel “fondato motivo di ritenere che manchino o si disperdano le predette garanzie”, che diviene così elemento necessitato della fattispecie costitutiva del potere di disporre il sequestro conservativo penale.
La richiesta ora rammentata può proporsi in ogni stato e grado del processo di merito e, dunque (a differenza di quanto si verifica in tema di sequestro conservativo richiesto nel procedimento civile), prescinde dal fumus delicti (che è insito nella fase in cui il provvedimento può essere richiesto). Per effetto del sequestro assentito (e qui è da ravvisare un effetto esclusivo del sequestro conservativo penale) i crediti sopra indicati si considerano privilegiati rispetto ad ogni altro credito non privilegiato di data anteriore ai crediti sorti posteriormente, salvi, in ogni caso, i privilegi stabiliti a garanzia del pagamento dei tributi.
3. Nonostante la (almeno apparente) chiarezza della disposizione di apertura dell'art. 316 cod. proc. pen. (“Quando si ha fondato motivo di ritenere che manchino o si disperdano le garanzie del credito”, condizione, l'una riferentesi a una situazione "statica", l'altra ad una situazione "dinamica"), l'ordinanza di rimessione ha segnalato l'esistenza, nella giurisprudenza di legittimità, di un contrasto interpretativo in ordine alla ricorrenza del presupposto, il cui apprezzamento - va precisato - non deve essere determinato come prognosi funzionale all'esecuzione forzata, ma va individuato sulla base di un pregiudizio attuale, che è potenzialmente orientato verso il futuro, per il rischio che all'esito del processo la garanzia del credito non possa trovare soddisfazione con il patrimonio del debitore.
Per una prima linea di tendenza, il periculum in mora va valutato, oltre che con riguardo all'entità del credito, anche con riferimento ad una situazione, almeno potenziale, desunta da elementi certi ed univoci, di depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in ulteriore relazione con la composizione del patrimonio stesso, con la capacità reddituale e con l'atteggiamento in concreto assunto dal debitore medesimo; una diversa linea interpretativa ritiene, invece, che anche quando sussista una condizione oggettiva di inadeguata consistenza del patrimonio del debitore in rapporto all'entità del credito, e indipendentemente da un depauperamento allo stesso ascrivibile, è ravvisabile il periculum in mora.
4. È necessario altresì precisare come le linee interpretative ora ricordate devono comunque essere modulate considerando le diverse fattispecie, di volta in volta sottoposte all'esame della Corte di cassazione, che, per taluni versi, comprovano l'esistenza di un sincretismo interpretativo talora con scelte ermeneutiche direttamente collegate alla specifica situazione di fatto; con in più il rilievo che di frequente i principi di diritto di volta in volta enunciati appaiono più che la soluzione necessitata del caso sottoposto al vaglio di legittimità, la descrizione delle coordinate che, sullo schema delineato dall'art. 316 cod. proc. pen., delimitano i presupposti per l'adozione del provvedimento richiesto.
Il rilievo appare indispensabile per pervenire ad un rigoroso risultato ermeneutico, che diviene tale solo nel caso in cui sia possibile individuare le effettive linee di tendenza ricavabili dagli enunciati giurisprudenziali; le cui posizioni di contrasto - è opportuno subito riconoscerlo - paiono enfatizzate dalla stessa ordinanza di rimessione, considerando che il principio di diritto nei singoli casi affermato dalle decisioni indicate per comprovare il conflitto interpretativo è sempre riferibile ad una situazione di fatto scrutinata in base ai concreti presupposti posti a base del provvedimento che dispone la misura o che ritiene insussistente il presupposto per la sua adozione tanto da pronunciare un provvedimento negativo. Del resto - come si vedrà fra poco - le condizioni perché venga in essere il presupposto sono in modo così chiaro indicate dal
legislatore, nella "mancanza", intesa come insufficienza o inadeguatezza del patrimonio del debitore, o nella "dispersione", per effetto di cause tanto di ordine oggettivo (ad esempio, la deperibilità del bene, una situazione forse, con maggior rigore, accostabile alla prima) quanto di ordine soggettivo, dipendenti cioè dal contegno del debitore il cui patrimonio corra il rischio di dissolversi, pure se non necessariamente al deliberato fine di sottrarlo alla garanzia per l'obbligazione ex delicto.
5. La giurisprudenza che sembra condividere la tesi, per così dire, "restrittiva" solo di rado pare dare una giustificazione alle sue prese di posizione che trascenda dalla situazione di fatto contrassegnata dal sicuro rapporto di rispondenza del patrimonio rispetto al credito ex delicto, secondo il modello normativo ricavabile in via generale dall'art. 2740 cod. civ. (una norma - è utile ribadirlo - riferibile ad ogni tipologia di obbligazione, da qualsivoglia fonte provenga). Talune decisioni si limitano ad affermare che la valutazione del rischio potenziale di perdita delle garanzie del credito deve essere ancorata a concreti e specifici elementi che riguardano l'entità del credito (un dato che, va detto per inciso, appare pacifico pressoché in tutte le decisioni di legittimità e che diviene dirimente anche al fine di determinare l'altro termine del raffronto) ed il bene oggetto di sequestro, subito inserendo la situazione di possibile depauperamento del patrimonio del debitore, da porsi in relazione con la composizione del patrimonio stesso, con la capacità reddituale e con l'atteggiamento assunto dal debitore medesimo (Sez. 1, n. 2128 del 02/04/1996, Fedele, Rv. 209599). Tanto che la soluzione appare talmente scontata da non poter essere messa neppure in discussione; e la decisione del giudice di merito viene annullata perché non fa cenno alcuno alla situazione patrimoniale dell'imputato ed al suo comportamento in concreto assunto (una proposizione, quella ora ricordata, che lascerebbe intendere che la situazione patrimoniale costituisca il presupposto di base per verificare il periculum). La stessa metodologia pare emergere da altra decisione che - a parte le considerazioni circa la dispersione del patrimonio - sembra ritenere esponenziale la circostanza che il valore dell'immobile - al quale insistentemente il soggetto destinatario del sequestro fa riferimento - non sia ritenuto insufficiente; precisandosi, ma con l'utilizzo di un criterio sussidiario, che non erano stati addotti elementi concreti per indurre a ritenere atti di diposizione del patrimonio. Anche qui, pare che l'atto di dispersione risulti, in fondo, emarginato dalla mancata risposta da parte del giudice di merito sulla effettiva consistenza del patrimonio del debitore (Sez. 4, n. Ili del 26/10/ 2005, Pampo, Rv. 232624). Non sfugge ad una simile linea di tendenza, un'altra decisione, la quale, ribadito che, ai fini del periculum in mora, debba aversi riguardo all'entità del credito, alla natura del bene oggetto del sequestro e alla situazione del debitore, finisce per riconoscere, utilizzando la medesima linea interpretativa, che con il periculum in mora nel caso di mancanza delle garanzie la legge si riferisce sia a circostanze indipendenti dalla volontà del debitore e, quindi, dal suo comportamento (garanzie che "manchino") sia a vicende più strettamente addebitabili alla persona ed all'attività di quest'ultimo (garanzie che "si disperdano") (Sez. 4, n. 44809 del 22/10/ 2013, Gianferrini, Rv. 256768).
In altre pronunce, pur affermandosi la necessità del pericolo di dispersione, si assegna natura esponenziale alla consistenza patrimoniale del debitore valutata in relazione all'entità del credito, in un caso in cui il patrimonio del debitore risultava costituito unicamente da una somma in deposito vincolato su conto corrente, agevolmente soggetto al pericolo concreto di dispersione (Sez. 2, n. 12907 del 14/02/2007, Borra, Rv. 236387). Ancora, con opportuno richiamo alla giurisprudenza civile, una decisione della Quinta Sezione, dopo aver premesso che l'art. 316 cod. proc. pen. affida la legittimità dell'esercizio del potere cautelare ad una prognosi di perdita della garanzia, rappresentata dal patrimonio dell'imputato-debitore, indicando elementi sintomatici del fondato timore di perdere la garanzia stessa (ad es., la consistenza patrimoniale anche sotto il profilo quantitativo in rapporto al valore del credito, nonché manifestazioni di scorrettezza e slealtà patrimoniali), ha affermato, però, perentoriamente, che anche quando le garanzie per le obbligazioni civili appaiano ab initio del tutto insufficienti o addirittura mancanti, in relazione alla consistenza ed alla situazione patrimoniale dell'imputato, pure a prescindere dal concreto pericolo di dispersione, sussiste il periculum (Sez. 5, n. 14254 del 20/02/2008, Tonna, n.m.; Sez. 5, n. 7481 del 27/01/2012, A., Rv. 249607). Sulla stessa linea, premesso che l'art. 316 cod. proc. pen. richiede, ai fini del sequestro conservativo, un unico requisito che riecheggia quello richiesto dall'art. 671 cod. proc. civ., si precisa che, nonostante l'apparente contrasto interpretativo, la giurisprudenza ha individuato il periculum in mora in un negativo giudizio prognostico che faccia ritenere che le garanzie (presenti al momento della decisione sul sequestro) possano in futuro venire a mancare o essere disperse, con ciò la legge riferendosi sia ad eventi indipendenti dalla volontà e, quindi, dal comportamento del debitore (nel caso in cui le garanzie manchino) sia a comportamenti ascrivibili al debitore (garanzie che si disperdano) profilandosi le due situazioni come profondamente diversificate (Sez. 2, n. 6973 del 26/01/2011, Grossi, Rv. 249663), tanto da considerarle - almeno dal contesto della decisione - come, di norma, non sovrapponibili.
6. Dall'esame delle decisioni sopra ricordate, emerge allora che il contrasto giurisprudenziale - nonostante l'esistenza di talune decisioni che affermano l'imprescindibilità del pericolo di dispersione quale presupposto necessario del sequestro conservativo penale (così, Sez. 4, n. 707 del 17/05/1994, Corti, Rv. 198682) - sia più apparente che reale.
Così o si è in presenza di fattispecie in cui il principio di diritto resta ampiamente condizionato da una concreta situazione di fatto che non esclude l'operatività del solo primo presupposto (Sez. 4, n. 2128 del 02/04/1996, Rv 204414), o è pure l'entità del credito a rendere illegittima la cautela (Sez. 5, n. 13284 del 02/02/2011, Rv. 250209, Frustaci), ovvero ci si trova di fronte ad una situazione nella quale la cumulabilità tra i due presupposti non è affatto riconosciuta, venendo in considerazione, per giunta in sede di rinvio, il solo pericolo di dispersione (Sez. 6, n. 20923 del 15/03/2012, Lombardi, Rv. 252685). Tanto che pressoché tutte le pronunce della Corte risultando conformi alla linea interpretativa nel senso che è presente il periculum in mora, non solo quando si disperdano ma anche quando manchino le garanzie delle obbligazioni nascenti da reato (Sez. 2, n. 12907 del 2007, Borra, cit.). Al principio secondo cui il periculum in mora può essere ravvisato sia in elementi oggettivi concernenti la capacità patrimoniale del debitore in rapporto all'entità del credito sia in elementi soggettivi, rappresentati dal comportamento del debitore (Sez. 5, n. 14254 del 2008, Tonna, cit.; Sez. 5, n. 7481 del 2011, A., cit.; Sez. 2, n. 6973 del 2011, Grossi, cit.; Sez. 6, n. 248819 del 26/11/2010, Cesaroni, Rv 24819; Sez. 6, n. 26486 del 6/05/2010, Barbieri, Rv. 247999), risulta, dunque, essere attestata, in base ad un vaglio più approfondito rigorosamente riferito alle effettive situazioni di fatto, la giurisprudenza di legittimità. Tutto ciò, peraltro, secondo l'univoca lettera dell'art. 316 cod. proc. pen. e la finalità di garanzia del credito posta a base dalla legge, che non può realizzarsi prescindendo anche da una situazione statica che renda impossibile, in base alla situazione di fatto esistente al momento della cautela, la realizzazione del credito all'esito del giudizio.
Può dirsi, quindi, come rilevato da autorevole dottrina, che le garanzie mancano quando sussista la certezza, allo stato, dell'attuale inettitudine del patrimonio del debitore a far fronte interamente all'obbligazione nel suo ammontare presumibilmente accertato; si disperdono, quando l'atteggiamento assunto dal debitore è tale da far desumere l'eventualità di un depauperamento di un patrimonio attualmente sufficiente ad assicurare la garanzia a causa di un comportamento del debitore idoneo a non adempiere l'obbligazione. I due eventi, come chiaramente espresso dall'art. 316, con la formula disgiuntiva rilevano (o possono rilevare) autonomamente.
7. La linea interpretativa sopra ricordata appare del tutto conforme, del resto, a quella seguita dalla giurisprudenza civile nell'interpretazione dell'art. 671 cod. proc. civ., in base al quale il giudice, su istanza del creditore che ha fondato timore di perdere le garanzie del credito, può autorizzare il sequestro conservativo di beni mobili o immobili del debitore o delle cose a lui dovute, nei limiti in cui la legge ne consente il pignoramento. Le Sezioni civili di questa Corte hanno sempre ritenuto che l'espressione "perdere la garanzia" vada intesa nel senso che, nel convalidare il sequestro conservativo, il giudice di merito può fare riferimento a criteri oggettivi, rappresentati dalla capacità patrimoniale in relazione all'entità del credito, o a criteri soggettivi rappresentati dal comportamento del debitore, il quale lasci fondatamente temere atti di depauperamento del patrimonio; con l'unico obbligo di motivare adeguatamente il suo convincimento. È sufficiente richiamare al proposito Sez. 3 civ., n. 2081 del 31/2/2002, Rv. 552250, e, nello stesso senso, Sez. 3 civ., n. 2139 del 26/2/1998, Rv. 513090, la quale, premesso che, nel confermare il provvedimento di sequestro conservativo il giudice del merito può fare riferimento alternativamente o a criteri oggettivi (rappresentati dalla capacità patrimoniale del debitore in relazione alla entità del credito), o a comportamenti del debitore (il quale il quale lasci fondatamente ritenere atti di depauperamento del patrimonio), non essendo necessario che tali elementi siano simultaneamente compresenti, conclude che correttamente la sentenza impugnata ha ritenuto sufficiente per la convalida del sequestro la mancanza nel patrimonio del debitore di altri beni oltre l'immobile venduto (analogamente, ex plurimis, Sez. 3 civ., n. 3563 del 16/04/1996, Rv. 497062; Sez. 3 civ., n. 6460 del 17/07/1996, Rv. 498604).
L'indirizzo interpretativo ora ricordato appare sotto certi aspetti davvero dirimente, solo considerando sia la lettera dell'art. 671 cod. proc. civ. sia la ratio che ne è alla base; in un assetto che può dirsi quasi sovrapponibile sia sul piano strutturale (se si eccettui il fumus) sia sul piano funzionale alla disposizione dell'art. 316 cod. proc. pen., e che appare speculare rispetto alla intentici legis che ha trasformato il regime di garanzia patrimoniale (anche per la parte civile) sistemandolo tra le misure cautelari reali.
8. Ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen., deve dunque, essere affermato il seguente principio di diritto: “Al fine di disporre il sequestro conservativo, è necessario e sufficiente che vi sia il fondato motivo di ritenere che manchino le garanzie del credito; vale a dire che il patrimonio del debitore sia attualmente insufficiente per l'adempimento delle obbligazioni di cui all'art. 316, commi 1 e 2, cod. proc pen.".
9. Poste tale premesse, l'ordinanza impugnata appare immune da qualsiasi censura, avendo il giudice a quo, con giudizio di fatto ineccepibile in questa sede, ampiamente argomentato sia in ordine all'entità del credito vantato dalle "numerose" parti civili in conseguenza delle gravi condotte realizzate dallo Z. sia con riferimento alla mancanza di ulteriore garanzia oltre l'immobile sequestrato costituente l'unico cespite di proprietà dell'imputato in grado di rappresentare la garanzia per l'adempimento delle sue obbligazioni.
10. Il ricorso deve, quindi, essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
13-12-2014 00:16
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