Scontro verbale in uno studio medico: il figlio di un paziente apostrofa il medico come disonesta alla presenza di altri pazienti. Condannato.-
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 maggio – 10 luglio 2014, n. 30518
Presidente Bevere – Relatore Lignola
Ritenuto in fatto
1. Con la sentenza resa in data 18 dicembre 2009, confermata dal Tribunale di Chiavari il 23 marzo 2013, il giudice di pace di Chiavari condannava B.P. alla pena di giustizia per il delitto di ingiuria in danno di C.L., medico di base nell'esercizio della propria attività, dandole della "disonesta" ed accusandola di aver fatto delle "sporcaccionate" in presenza di più pazienti, all'interno dei suo ambulatorio.
2. Contro la sentenza propone ricorso per Cassazione l'imputato, con atto sottoscritto personalmente, affidato a due motivi.
2.1 Con il primo motivo si deduce violazione dell'articolo 606, lettera E, cod. proc. pen., per vizio di motivazione in punto di sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, poiché il giudice d'appello non ha motivato in relazione alla sussistenza della scriminante della provocazione, rappresentata dalla frase dei medico in ordine al diritto all'esenzione dai ticket del padre dell'imputato.
2.2 Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione della decisione di appello, in ordine all'elemento oggettivo e soggettivo del reato, poiché a giudizio del ricorrente l'iniziativa dell'imputato è assistita dall'esercizio del diritto di critica, a fronte della frase della dottoressa riguardante il ticket. L'imputato esclude di aver superato il limite della continenza, poiché la frase pronunciata non si risolve in attacchi alla persona o alle sue capacità professionali in generale; sul punto si deduce omessa motivazione nella sentenza d'appello ed omessa valutazione del contesto in cui la frase è stata pronunciata.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato.
2. Il giudice di appello ha escluso la sussistenza della provocazione, con motivazione congrua e logica, escludendo in punto di fatto la sussistenza dei presupposti dell'esimente. D'altra parte non si vede perché mai l'affermazione del medico in ordine all'esenzione dal ticket avrebbe dovuto determinare quello stato d'ira che induce ad una reazione immediata, non essendo la frase rivolta all'imputato (ma al padre) e non integrando nemmeno un fatto ingiusto, inteso come comportamento lesivo di regole comunemente accettate nella civile convivenza (Sez. 5, n. 21455 del 11/03/2009, Cantatore, Rv. 243506).
2. Quanto poi alla insussistenza del reato, per non essere le parole incriminate dirette ad un attacco alla persona, ma solo rivolte ad esprimere un legittimo diritto di critica, la motivazione dei Tribunale è ampia e convincente, laddove evidenzia che le espressioni sono obiettivamente lesive dell'onore e del decoro della professionista, soprattutto se si considera che furono pronunciate alla presenza di altri pazienti, nell'ambulatorio medico.
2.1 Il ricorrente richiama la giurisprudenza che richiede di valutare la continenza delle espressioni usate, ma poi, con un salto logico, sostiene che l'addebito di scarsa serietà professionale, pur se connotata da indubbia perentorietà e durezza, non si risolve in alcun passaggio in attacchi alla sua persona ed alle sue capacitò professionali in generale.
Egli inoltre propone una spiegazione della espressione in termini di critica alla specifica vicenda descritta ma, oltre a trascurare di indicare, come detto, la soglia oltre la quale una critica espressa con parole inutilmente aggressive, fornisce una ricostruzione che, seppure idonea a dare conto dell'antefatto e del contesto, non si è dimostrata capace di spiegare in qual modo e per quale ragione logica l'attribuzione alla persona fisica della C. di disonestà consisterebbe in una critica alla sola vicenda.
2.2 La giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente enunciato il principio a tenore del quale, in materia di tutela penale dell'onore, al fine di accertare se sia stato leso il bene giuridico tutelato dalla norma occorre fare riferimento ad un criterio di media convenzionale in rapporto alla personalità dell'offeso e dell'offensore, unitamente al contesto nel quale la frase ingiuriosa sia stata esternata e alla coscienza sociale (v. per tutte Sez. 5, n. 21264 del 19/02/2010, Saroli, Rv. 247473).
Proprio alla stregua di tale principio si rivela immune da critica la sentenza impugnata, nella cui motivazione è ben evidenziato il carattere oggettivamente lesivo del decoro e della professionalità della persona offesa, da riconoscersi ad espressioni quali quelle pronunciate.
2.3 Nel linguaggio comune, infatti, l'espressione "disonesto" sta ad indicare l'adozione di scelte o iniziative in violazione di regole comuni e, attribuita ad un professionista nell'esercizio delle funzioni (per giunta pubblico ufficiale, in quanto il medico convenzionato con l'A.S.L. svolge la sua attività per mezzo di poteri pubblicistici di certificazione, che si estrinsecano nella diagnosi e nella correlativa prescrizione di esami e prestazioni alla cui erogazione il cittadino ha diritto presso strutture pubbliche, ovvero presso strutture private convenzionate; Sez. 6, n. 35836 dei 22/02/2007 - dep. 01/10/2007, Manzoni, Rv. 238439), si presta ad essere comunemente recepita come indicativa di comportamenti illeciti, atteso che alla qualifica di medico di base è affidata la cura di pubblici interessi non di rado protetti con norme di rilievo pubblicistico come quelle penali.
2.4 Del resto anche recentemente questa Corte ha ritenuto che l'espressione "disonesto" rientri tra quelle ontologicamente offensive e idonee a ledere l'altrui reputazione (Sez. 5, n. 29734 del 07/05/2010, Sciaulino, non massimata), poiché il senso comune, il "significato sociale" negativo è in re (Sez. 5, n. 28424 del 05/05/2011, Lionte, non massimata; Sez. 5, n. 30065 dell'11/06/2010, Profeti, non massimata).
2.5 Non ha mancato, altresì, il giudice di appello, di rimarcare la totale esorbitanza rispetto all'esercizio del diritto di critica, con statuizione pienamente legittima stante il rilevato sconfinamento delle frasi ingiuriose nell'area della denigrazione e dell'attribuzione alla Corso di un comportamento gravemente inosservante dei propri obblighi professionali.
3. In conclusione il ricorso va rigettato, con le conseguente condanna dell'imputato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l'imputato al pagamento delle spese processuali.
11-07-2014 05:16
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