Politico calabrese promette a due esponenti di spicco della ndrangheta, operante nella zona di Lamezia Terme, poi divenuti collaboratori di giustizia, utilita' economiche consistenti nell’aggiudicazione di appalti di forniture e servizi all’interno di strutture pubbliche in cambio di voti elettorali.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 maggio – 25 settembre 2014, n. 39554
Presidente Giordano – Relatore Sandrini
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza pronunciata il 3.12.2013 il Tribunale di Catanzaro, costituito ai sensi dell'art. 310 cod.proc.pen, ha rigettato l'appello proposto dal pubblico ministero avverso l'ordinanza in data 15.07.2013 con cui il giudice per le indagini preliminari in sede aveva respinto la richiesta di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere nei confronti di A.P. , in relazione al reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 86 T.U. n. 570 del 1960, e 7 legge n. 203 del 1991.
L'applicazione della misura coercitiva era stata chiesta in relazione all'accusa mossa all'A. , già assessore alle politiche ambientali della Regione Calabria e candidato alle elezioni regionali del 2010, di aver promesso a G.G. , C.S. e M.M. , esponenti di primo piano della cosca di ndrangheta G. operante nella zona di (omissis) , nel corso di incontri avvenuti nello studio professionale dell'avv. S.G. (figlio di un medico primario dell'ospedale di (…) amico dell'A. ), utilità economiche consistenti nell'aggiudicazione di appalti di forniture e servizi all'interno di strutture pubbliche, in cambio di voti elettorali.
Il Tribunale, premesso che la vicenda in esame si inseriva nell'ambito della c.d. "operazione (…)", scaturita (anche) dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia C.S. e G.G. , rispettivamente componente del gruppo di fuoco (il primo) e figlio (il secondo) del capo storico della cosca mafiosa, G.F. , soggetti la cui credibilità soggettiva e attendibilità intrinseca erano state ampiamente verificate nel corso delle indagini, rilevava che entrambi i collaboratori avevano riferito, negli interrogatori del 12.06.2012, 6.02.2013 e 3.07.2013 (C. ), e del 4.12.2012, 4.02.2013 e 3.07.2013 (G. ), il contenuto del loro incontro con l'esponente politico catanzarese A.P. , all'epoca candidato alle elezioni regionali calabresi, che erano stati organizzati nel 2010 dall'avv. S. presso il proprio studio legale, ed al quale entrambi avevano preso parte.
Dal contenuto, riassunto nell'ordinanza, dei suddetti interrogatori, integranti autonome chiamate in correità ritenute dal Tribunale costanti, coerenti e specifiche, convergenti nei loro contenuti essenziali, e costituenti l'una idoneo riscontro dell'altra, non erano tuttavia emersi, ad avviso del Tribunale, gravi indizi di colpevolezza a carico dell'A. , in quanto il dominus della vicenda doveva ritenersi l'avv. S. , nella sua qualità di soggetto legato da forti vincoli di cointeressenza con gli esponenti della cosca G. , ma non anche con l'A. , che era amico di suo padre e che poteva ignorare la personalità delinquenziale dei suoi interlocutori, non conoscendo la realtà criminale di (omissis) , tenuto conto che la promessa di futuri vantaggi economici in cambio dell'appoggio elettorale era stata formulata ai due affiliati alla cosca direttamente dall'avv. S. , secondo un comportamento dal quale il C. e il G. si erano limitati a inferire che la promessa provenisse dall'A. e che quest'ultimo fosse a conoscenza del loro radicamento criminale.
2. Ricorre per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Catanzaro, deducendo, ex art. 606 comma 1 lett. b) ed e) cod.proc.pen., violazione di legge e mancanza, contraddittorietà e illogicità della motivazione dell'ordinanza impugnata, di cui chiede l'annullamento.
Il ricorrente lamenta la natura completamente immotivata dell'affermazione con cui il Tribunale aveva escluso che il C. avesse dichiarato che nel corso dell'incontro avvenuto nello studio dell'avv. S. l'A. avesse detto alcunché, entrando in palese contraddizione col tenore letterale delle dichiarazioni del collaboratore e coi contenuti dell'incontro da lui riferiti, e pervenendo a una interpretazione complessiva del dichiarato del C. del tutto svincolata dai suoi contenuti reali; evidenzia che nell'interrogatorio del 6.02.2013 il C. aveva dichiarato che l'avv. S. aveva presentato all'A. lui e il G. come due persone importanti di Lamezia Terme che potevano fargli ottenere diversi voti, e che l'A. si era messo a disposizione dicendo loro di impegnarsi che poi lui sarebbe stato disponibile nei loro confronti nell'ambito delle sue competenze politiche; il senso di tali dichiarazioni era stato confermato dal C. nel successivo interrogatorio del 3.07.2013, laddove il collaboratore, pur non ricordando le parole esatte pronunciate nell'occasione dall'A. , riferiva che questi sicuramente aveva raccomandato loro di impegnarsi per fargli ottenere più voti possibili, promettendo che una volta eletto si sarebbero rivisti tramite l'avv. S. per dare concretezza alla disponibilità manifestata verso le esigenze imprenditoriali dei suoi interlocutori.
A sua volta il G. aveva dichiarato, nell'interrogatorio del 4.12.2012, che l'A. lo aveva contattato tramite l'avv. S. , incontrandolo nello studio di quest'ultimo prima delle elezioni regionali, dove l'indagato gli aveva chiesto di appoggiarlo dicendo che se fosse stato eletto avrebbe procurato a lui e a M.M. lavori all'ospedale di (…); e aveva ribadito anche nel successivo interrogatorio del 3.07.2013 che l'A. si era impegnato a mettersi a disposizione se avesse ottenuto ciò che lui e il C. gli promettevano, e cioè un paio di migliaia di voti a (…), sul punto trovando un riscontro individualizzante nelle dichiarazioni del C. .
L'ordinanza impugnata era dunque affetta da manifesta illogicità nella parte in cui aveva tratto una conclusione che era contraddetta dallo stesso dato letterale delle dichiarazioni dei collaboratori, da cui emergeva la partecipazione attiva dell'A. , in prima persona, alla promessa di favori o altre utilità in cambio del procacciamento di voti da parte del G. e del C. ; sempre dal punto di vista logico, doveva ritenersi inimmaginabile che l'avv. S. potesse farsi garante della promessa di utilità economiche, in cambio dell'appoggio elettorale, nei confronti di personaggi del calibro criminale del C. e del G. , senza un preventivo assenso dell'A. all'assunzione del relativo impegno, unitamente alla certezza dell'effettiva disponibilità di quest'ultimo ad adempiere la promessa, garantita dalla presenza fisica dell'uomo politico all'incontro avvenuto nello studio legale.
Quanto alla sussistenza dell'aggravante di cui all'art. 7 legge n. 203 del 1991, risultava inverosimile che un politico locale, operante da tempo nella realtà socio-economico-culturale calabrese e interessato a ottenere un forte consenso elettorale a (omissis) , ignorasse l'appartenenza alla ndrangheta dei personaggi ai quali si rivolgeva, ciò che bastava a integrare l'elemento soggettivo richiesto per l'estensione della circostanza aggravante all'A. , nella sua qualità di concorrente nel reato di corruzione elettorale.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e deve essere accolto.
2. Dal testo stesso dell'ordinanza impugnata, e in particolare dagli estratti degli interrogatori dei collaboratori di giustizia C.S. e G.G. ivi (testualmente) riportati circa i loro rapporti con l'indagato, emerge in modo evidente la manifesta illogicità e l'intrinseca contraddittorietà della motivazione con cui il Tribunale ha escluso la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a carico dell'A. in ordine al concorso nel reato di corruzione elettorale ascritto ai suoi interlocutori (e all'avv. S. ), rispetto ai contenuti dichiarativi delle propalazioni dei collaboratori quali risultano in modo immediato dalla loro lettura.
Occorre premettere che la credibilità soggettiva e l'attendibilità intrinseca, già positivamente verificate nel più ampio contesto delle indagini concernenti la cosca di ndrangheta operante nel territorio di (omissis) capeggiata da G.F. , delle chiamate in correità effettuate dai due collaboratori di giustizia, e la loro (reciproca) idoneità a costituire Cuna autonomo riscontro dell'altra, non sono in discussione: è lo stesso provvedimento impugnato a dare atto (pagina 10 dell'ordinanza) che, anche in relazione alla specifica vicenda che coinvolge l'A. , le propalazioni accusatorie del C. e del G. risultano "pienamente attendibili sia sul piano oggettivo, perché costanti, coerenti e specifiche, sia su quello soggettivo, non emergendo dagli atti alcun concreto interesse degli stessi a calunniare l'incolpato", e che, risultando "tra loro autonome ma, al contempo, convergenti nel nucleo essenziale della condotta addebitata all'attuale indagato", ciascuna chiamata "può essere ritenuta, rispetto all'altra, come elemento che ne conferma l'attendibilità in termini estrinseci ed individualizzanti (ovvero aventi valore dimostrativo non solo in ordine all'accertamento della verificazione del fatto di reato, ma anche in ordine alla sua attribuzione e riferibilità al soggetto colpito)".
Non sono, altresì, in discussione il fatto e le circostanze materiali dell'incontro, concordemente riferito dai collaboratori di giustizia, avvenuto nel 2010 in vista delle elezioni regionali calabresi, organizzato dall'avv. S. presso il proprio studio ed al quale parteciparono (oltre al legale e al padre dello stesso) tanto il C. e il G. , quanto l'A. , che nell'occasione fu presentato ai primi due dall'avv. S. come candidato alle prossime elezioni in cerca di appoggio elettorale.
Anche il fatto che lo scopo e l'oggetto dell'incontro fossero costituiti dalla messe di voti (mille o duemila, secondo quanto riferito dal G. nell'interrogatorio del 3.07.2013) che i due esponenti della cosca mafiosa erano ritenuti in grado di procacciare all'A. , oltre a costituire l'unica lettura logica possibile dell'evento, emerge in modo palese, costante e puntuale da tutte le dichiarazioni dei collaboratori riportate nell'ordinanza impugnata (alle pagine da 6 a 9).
L'ipotesi che due esponenti di vertice della cosca di ndrangheta dominante a (OMISSIS) si potessero impegnare a fornire un simile, decisivo, appoggio elettorale nella zona dagli stessi controllata, senza la promessa, da parte dell'uomo politico beneficiario, di una corrispettiva utilità economica, una volta eletto, appare - di per sé - difficilmente compatibile con la realtà: è lo stesso provvedimento gravato, peraltro, a riportare - testualmente (alle pagine 7, 8 e 9) - le parole pronunciate nell'occasione dall'indagato, riferite tanto dal C. in entrambi gli interrogatori del 6.02.2013 (“Impegnatevi per i voti che poi io sono qua") e del 3.07.2013 ("spero che mi fate avere quello che...un po' di voti, qua ci sono le carte, poi ci rivediamo, ci sentiamo tramite l'avvocato"), quanto dal G. nel suo interrogatorio del 3.07.2013 (“A. rispose che se otteneva quello che gli stavamo promettendo era a disposizione"), il cui significato in termini di assunzione di un impegno diretto dell'A. nei confronti dei suoi interlocutori non è stato adeguatamente valutato dall'ordinanza impugnata.
La motivazione con cui il Tribunale, valorizzando essenzialmente il contenuto del primo interrogatorio (in data 12.06.2012) del C. , laddove questi non aveva inizialmente attribuito all'A. l'assunzione di un espresso impegno verbale nei suoi riguardi, e sostanzialmente travisando quello dell'ultimo interrogatorio del collaboratore in data 3.07.2013 (ritenuto confermativo delle prime dichiarazioni e non di quelle successive del 6.02.2013, nonostante la lettera inequivoca delle parole, riferite dal C. come pronunciate dall'indagato, più sopra trascritte: "poi ci rivediamo, ci sentiamo tramite l'avvocato"), ha escluso financo l'esistenza di un comportamento concludente dell'A. in ordine all'assunzione dell'illecita promessa elettorale (che avrebbe costituito il frutto di una mera deduzione dei collaboratori basata su quanto loro prospettato dall'avv. S. circa la disponibilità dell'uomo politico), si pone pertanto in aperta e palese contraddizione col contenuto testuale di quanto dichiarato dal C. il 6.02.2013 e il 3.07.2013, e riscontrato in termini specifici e individualizzanti dalle dichiarazioni del G. nell'interrogatorio del 3.07.2013 (“A. rispose che se otteneva quello che gli stavamo promettendo era a disposizione"), senza spiegare in modo coerente e adeguato le ragioni del mancato credito attribuito a contenuti dichiarativi che la stessa ordinanza aveva appena ritenuto (pag. 10) "costanti, coerenti e specifici", e perciò "pienamente attendibili".
Il vizio di motivazione risulta altresì manifesto nella misura in cui il provvedimento impugnato ha omesso completamente di confrontarsi col valore indiziante assegnato dall'accusa allo stesso dato di fatto oggettivo della presenza fisica dell'A. all'incontro appositamente organizzato dall'avv. S. per metterlo in contatto diretto coi due esponenti di vertice della cosca mafiosa, secondo una condotta la cui (unica) lettura logica - prospettata come plausibile dall'accusa - era quella di garantire la serietà e l'effettività, da parte dell'indagato, dell'impegno di mettersi a disposizione dei soggetti presentatigli come persone in grado di procurare molti voti a sostegno della sua elezione.
3. La motivazione dell'ordinanza impugnata è manifestamente illogica, e non congruente alle risultanze della prova dichiarativa ivi riportate, anche nella parte in cui ha escluso la sussistenza di un compendio indiziario in grado di supportare la prova che l'A. conoscesse l'appartenenza mafiosa dei suoi interlocutori e l'area di provenienza dei voti dagli stessi promessi.
Dalle parole testuali dei collaboratori (pagine 7 e 9 dell'ordinanza) emerge che nel corso dell'incontro nel suo studio l'avv. S. presentò all'A. il C. e il G. come "due persone importanti a (…)", e in particolare il G. come "il numero uno" e "il massimo" di Lamezia, rappresentando come la sua "famiglia" fosse in grado di raccogliere voti sul territorio ("a (…) là, nel territorio che gli servivano i voti ce la vedevamo noi come famiglia": interrogatorio G. del 3.07.2013): l'assenza di qualsiasi ulteriore indicazione, qualificante dell'importanza personale attribuita tout court ai due soggetti e del ruolo apicale rivestito dal G. nel territorio lametino, unitamente alla capacità della "famiglia" dello stesso di controllare qualche migliaio di voti, appariva dunque tale da non consentire dubbi sul riferimento di una simile leadership ad un contesto mafioso, con riguardo all'appartenenza alla cosca omonima capeggiata dal padre del G. , elemento la cui mancata conoscenza e rappresentazione da parte di un uomo politico nato e operante in Calabria, e cannato a rappresentare interessi elettori locali, doveva perciò costituire oggetto di specifico approfondimento motivazionale da parte del Tribunale.
Va infine rilevato, con riguardo alla valutazione de, gravi indizi dell'aggravante del fine di agevolare le attività dell'associazione mafiosa, contestata all'indagato ex art. 7 legge n. 203 del 1991, che,a stessa ha natura oggettiva, riguardando una modalità dell'azione, e si trasmette perciò a tutti i concorrenti nel reato con la conseguenza che è sufficiente che il relativo elemento volitivo sussista in capo ad alcuni o anche ad uno soltanto dei correi (Sez. 5 n. 10966 dell'8/11/2012 Rv 255206; Sez. 6 n. 19802 del 22/0V2009, Rv. 244261), in particolare agli esponenti della cosca G. , perché l'aggravante possa applicarsi - secondo il disposto dell'art. 59 cod. pen. - anche al complice che, versando in una situazione di mera ignoranza colpevole, non fosse stato eventualmente consapevole della finalizzazione dell'azione delittuosa ad avvantaggiare il sodalizio criminoso (Sez. 2 n. 51424 del 5/12/2013, Rv. 258581).
4. L'ordinanza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio al Tribunale di Catanzaro per un nuovo esame, che non incorra nei vizi motivazionali sopra censurati, dell'appello del pubblico ministero circa la sussistenza delle condizioni per applicare all'indagato la misura coercitiva attualmente consentita dal titolo del reato.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Catanzaro.
26-09-2014 22:04
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