Pass invalidi: duplicare equivale a falsificare.-
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 9 maggio – 7 luglio 2014, n. 29582
Presidente Bevere – Relatore Vessichelli
Fatto e diritto
Propone ricorso per cassazione U.F.I., avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova in data 19 aprile 2013, con la quale è stata confermata quella di primo grado, di condanna in ordine al reato di falso in certificazione amministrativa.
Era stato accertato, il 14 ottobre 2007, il possesso, da parte dell'imputato, di una riproduzione di concessione del parcheggio per invalidi, apparentemente rilasciata dal Comune di Molinella.
Deduce la violazione di legge e il vizio della motivazione sulla responsabilità e sul trattamento sanzionatorio.
Osserva il difensore che, nella specie, il permesso non è stato contraffatto ossia creato ex novo ma semplicemente duplicato, oltretutto da parte del soggetto che era l'effettivo titolare dell'originale.
Si trattava, infatti, di un permesso di parcheggio per invalidi e l'autovettura sulla quale era posto era intestata alla moglie dell'imputato la quale risultava, altresì, essere l'accompagnatrice della madre invalida, alla quale il permesso era stato rilasciato. In tale prospettiva, il difensore ritiene che sia errato il proclamato allineamento della Corte d'appello alla sentenza della Cassazione del 14 aprile 2010: in essa, invero, il riferimento è al caso di "costruzione" del documento falso, partendo da un modulo in bianco.
In secondo luogo, il difensore evidenzia la totale lacuna sul nesso di causalità, posto che l'imputato è stato considerato autore del falso solo perché guidava, del tutto estemporaneamente, l'autovettura della moglie la quale, come detto, era sia titolare del permesso, sia proprietario del mezzo.
Infine il difensore lamenta il carattere del tutto immotivato della decisione di non concedere le circostanze attenuanti generiche e di non convertire la pena, nonostante l'incensuratezza dell'imputato e sulla base, altresì, di una incomprensibile, ritenuta gravità del fatto.
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Occorre ribadire, preliminarmente, che il reato contestato, di falsificazione materiale in autorizzazione amministrativa commesso da privato, punisce una condotta di contraffazione che pone in pericolo il bene giuridico della fede pubblica.
Il principale bene tutelato, in altri termini, pur nell'ambito della ormai riconosciuta natura plurioffensiva dei reati di falso, è quello dell'affidamento nella effettiva provenienza della autorizzazione, dalla pubblica autorità che ne appare emittente e il falso documentale lede principalmente l'efficacia probatoria propria di determinati atti o scritture, dando vita ad una apparenza di paternità documentale.
Da qui, la condivisibile affermazione, da parte della giurisprudenza maggioritaria di questa Corte (Sez. 5, Sentenza n. 12589 del 31/10/1995 Ud. (dep. 28/12/1995 ) Rv. 203526), secondo cui integra il reato di cui all'art. 477 cod. pen. la fotocopia di un documento autorizzativo legittimamente detenuto, realizzata con caratteristiche e dimensioni tali da avere l'apparenza dell'originale. Ciò perché neppure al titolare del documento stesso (certificato o autorizzazione) è consentita la riproduzione in maniera da creare un secondo documento che si presenti e sia utilizzato come l'originale.
In altri termini, ciò che la norma intende vietare, e che è da ritenere offensivo concretamente per il bene giuridico come individuato, è il fatto che l'agente - nel caso concreto il privato - formi o faccia formare una esatta riproduzione della autorizzazione amministrativa originaria, su carta dello stesso colore dell'originale e con identiche o del tutto analoghe misure e caratteristiche estetiche, comprese quelle dei dati e del tipo di stampa, tali da indurre in errore, chi ne prenda visione, sulla natura del documento stesso: che non appare e non viene fatto apparire come semplice fotocopia dell'originale ma con la pretesa di tenere luogo in tutto e per tutto dell'originale. Viceversa, la copia fotostatica presentata come tale non avrebbe , di per sè, valore di documento e potrebbe essere produttiva di effetti giuridici solo se autenticata. Una evenienza, quella appena descritta, la cui rilevanza penale è rispettosa del principio di offensività, sol che si pensi che la riproduzione fedele , mediante copia, del documento consente, anche al titolare, di usufruire del permesso in relazione pure a veicoli diversi da quelli originariamente dichiarati.
Nel caso di specie, dunque, il giudice ha ritenuto comprovata proprio la situazione della perfetta riproduzione dell'originale mediante il confezionamento di una copia, esibita - da soggetto oltretutto non titolare dell' autorizzazione autentica - come originale e in grado perciò di porre in pericolo la pubblica fede.
Non coglie pertanto nel segno la critica difensiva, secondo cui la duplicazione sarebbe stata finalizzata semplicemente alla dimostrazione di un diritto preesistente. Al riguardo è da osservare che non solo la finalità perseguita dall'agente è irrilevante con riferimento al reato di falso, che è a dolo generico e non specifico, ma , in più, il rilievo difensivo non è affatto logico laddove pretende di delineare la condotta dell'imputato come quella di colui che intendeva solo documentare un diritto preesistente: invero, il diritto documentato dalla copia contraffatta era quello al parcheggio della autovettura condotta dal prevenuto, in assenza dell'invalido, e quindi del tutto diverso da quello per l'esercizio del quale il permesso originale era stato rilasciato all'invalido stesso.
Sulla contestata riferibilità del falso alla iniziativa dell'imputato (che era solo il guidatore della macchina) il motivo risulta generico e versato in fatto.
In sentenza la motivazione è esaustiva e razionale sul punto, avendo, già il primo giudice, evidenziato le numerose falsità rappresentate dall'imputato, e tra esse quella di avere ricevuto una confidenza dal presunto autore del falso, tal B. Da esse, con motivazione dunque non ulteriormente censurabile, i giudici del merito hanno dedotto la compromissione del prevenuto nel commissionare il permesso contraffatto.
In ordine al denunciato diniego delle attenuanti generiche, la motivazione è, invero, presente in sentenza ed essenzialmente essa attiene al mancato apprezzamento di rilevanti elementi favorevoli, secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità al riguardo. Piuttosto, la critica dei difensore impugnante, circa il fatto che il giudice non avrebbe considerato lo stato di incensuratezza di costui, costituisce una censura in punto di fatto, in contrasto col ragionamento valutativo seguito dal giudice, ragionamento che giustifica anche l'esercizio del potere discrezionale di non accedere alla richiesta di conversione della pena detentiva in pecuniaria.
Invero il giudice ha posto in evidenza come non si versi nel caso di uso di una copia da parte del titolare del documento originale, ma di quello, ben più indicativo di pericolosità, proprio della contraffazione ad opera di soggetto diverso dal titolare del permesso ed anzi maggiormente rimproverabile per avere approfittato di una situazione le cui apparenze erano più facilmente adattabili- per le strette relazioni familiari e una certa promiscuità nell'uso della vettura- agli interessi non protetti del medesimo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
09-07-2014 00:34
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