Omicidio tentato e prognosi compiuta ex post.
Cass. pen. Sez. I, Sent., (ud. 28-03-2014) 10-04-2014, n. 15978
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GIORDANO Umberto - Presidente -
Dott. NOVIK Adet Ton - rel. Consigliere -
Dott. BONITO Francesco M.S - Consigliere -
Dott. LOCATELLI Giuseppe - Consigliere -
Dott. ROCCHI Giacomo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 2932/2012 CORTE APPELLO di VENEZIA, del 12/04/2013;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 28/03/2014 la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Gialanella Antonio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Venezia con sentenza emessa in seguito al rito abbreviato in data 11 giugno 2012, dichiarava B.A. colpevole di tentato omicidio in danno di S.V. "perchè compiva atti idonei, consistiti nel colpire ripetutamente con un coltello S.V. alla testa e al fianco, diretti in modo non equivoco cagionarne la morte, non riuscendo nell'intento per cause indipendenti dalla sua volontà" e di porto abusivo di coltello, e concesse le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante del nesso teleologia) tra i reati, unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione, lo condannava alla pena di anni cinque di reclusione, oltre sanzioni accessorie. L'imputato veniva condannato al risarcimento dei danni in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio, e alla corresponsione di una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 10.000.
Nel procedere alla ricostruzione dell'episodio, il Tribunale rilevava come la medesima si fondasse esclusivamente sulle dichiarazioni della parte offesa, di cui riconosceva l'attendibilità per aver esposto i fatti in modo logico e non contraddittorio, non risultando che avesse motivi di rancore nei confronti dell'imputato.
S. nella sua denuncia aveva riferito che il 28 settembre 2011, uscendo di casa aveva incrociato B. in sella alla bicicletta, con il cane nel cestino, cui non aveva rivolto la parola.
Questi aveva detto "ecco adesso abbiamo capito di stare zitti, si può? Devi stare zitto altrimenti ti spacco, hai capito?".
Dopodichè, B. gli aveva messo una mano sul collo, dandogli una violenta spinta. S. aveva reagito dandogli a sua volta una spinta che lo aveva fatto cadere dalla bicicletta. Improvvisamente, B. aveva estratto da uno zaino un coltello e gridando "adesso ti ammazzo, questa volta ti ammazzo" lo aveva raggiunto e colpito ripetutamente dall'alto verso il basso, mirando al viso.
L'aggredito aveva cercato di scappare ma era caduto per terra.
Si era rannicchiato sul fianco sinistro e cercato di difendersi dai colpi, che lo avevano raggiunto sul fianco, sulle costole e alla gamba destra. Sua moglie, che dalla finestra aveva visto l'aggressione, aveva chiamato la polizia, nonostante la minaccia di B. di non denunciarlo, altrimenti la prossima volta "ti faccio fuori".
Nel corso della perquisizione di polizia era stato rinvenuto nella borsa detenuta da B. un coltello da cucina in acciaio, con il manico rivestito con nastro adesivo, con lama piegata ed uncinata in punta, macchiato di sangue.
I condomini di B. avevano deposto sulle angherie che questi arrecava a tutti e che avevano determinato 16 interventi di polizia.
B. veniva arrestato e in sede di convalida asseriva di essere stato aggredito da S. e che solo per difendersi lo aveva colpito con un tagliacarte, che portava nello zaino per tagliare pollo, pezzetti dei quali dava al cane.
Nei confronti di B. veniva emessa la misura del divieto di dimora per il reato di tentato omicidio.
La consulenza tecnica medica eseguita per conto del Procuratore della Repubblica attestava che dal referto risultava che la parte offesa aveva riportato "ferita al torace sede antero-ascellare destra superficiale di piccole dimensioni, analoga ferita in sede scapolare destra. Ferita lacero-contusa polso destro con ecchimosi ed algie in sede ossea. Due ferite lacero-contuse coscia destra che necessitano di sutura chirurgica". Le lesioni erano compatibili con un'arma da taglio ed era possibile che le prime fossero state quelle da difesa al braccio destro.
Il consulente rilevava che "la lesione delle strutture presenti nell'emitorace destro (polmone, grossi vasi arteriosi venosi) avrebbe potuto determinare la morte rapida di S.V. per shock emorragico". Evento non verificatosi perchè per circostanze esclusivamente fortuite non erano stati recisi vasi di rilevanti dimensioni.
Sulla base di questo accertamento, con il giudizio ex ante, anche se la vita dello S. non fu mai in pericolo, il giudice ritenne che erano stati compiuti atti idonei a causare la morte del medesimo, non verificatasi per circostanze impreviste.
L'arma usata era idonea a tal fine, e la curvatura che si notava non derivava dalla poca consistenza della lama, ma era la forma propria del coltello, alla stregua di una scimitarra, che ne aumentava la capacità lesiva.
La non equivocità degli atti era desumibile dai distretti vitali attinti.
Il dolo del reato era comprovato dalle frasi di morte pronunciate nel corso dell'aggressione.
La Corte di appello di Venezia con sentenza 12 aprile 2013 confermava la condanna di B.A. e, dichiarate le attenuanti generiche prevalenti sull'aggravante, riduceva la pena ad anni tre e mesi quattro di reclusione. Confermava le statuizioni civili.
La Corte territoriale nel condividere la ricostruzione dei fatti effettuata dal primo giudice rilevava come sulla base degli atti processuali, integralmente utilizzabili nell'ambito del rito prescelto, correttamente era stata ritenuta l'attendibilità della parte offesa S.V., risultata coerente, logica, lineare, scevra da palesi intenti persecutori nei confronti dell'imputato e riscontrata dagli atti di polizia giudiziaria e dai certificati medici.
La Corte di appello riteneva quindi l'idoneità dell'azione, da valutarsi in concreto con giudizio prognostico effettuato ex ante, idonea a porre in pericolo la vita della parte offesa, e sussistente l'elemento psicologico del reato.
L'animus necandi, anche nella forma del dolo alternativo, doveva essere ritenuto sussistente, alla stregua della consulenza medico legale espletata con una corretta tecnica di indagine, atteso che il coltello con punta uncinata e con lama lunga 10 cm, piegatasi per effetto dei colpi inferti, era pienamente in grado di raggiungere qualunque organo viscerale, determinando su questo vaste lesioni per recisione e per distruzione parenchimale.
Le lesioni presenti nell'emitorace destro (polmone e grossi vasi arteriosi venosi) avrebbero potuto determinare la morte dello S. per shock emorragico.
L'aver infetto cinque colpi di coltello, accompagnandoli con le urla "ti ammazzo", "questa volta ti ammazzo", indicavano l'intenzione letifera dell'imputato.
In risposta alla tesi difensiva secondo cui B. si era difeso dall'aggressione di S., eccedendo i limiti della legittima difesa, la Corte di appello rilevava come l'aver questi preso B. per la maglia facendolo cadere a terra, non era idoneo, in relazione alla ben più grave reazione tenuta dall'imputato, a discriminare per legittima difesa la condotta di quest'ultimo.
Nella sentenza impugnata il collegio ha ritenuto irrilevante che l'incontro fosse stato casuale e l'aggressione non premeditata, e che dopo le ferite S. fosse in grado di camminare autonomamente.
Nel ritenere ingiustificato il porto di coltello, la corte ha ritenuto sussistente anche questo reato.
Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione B.A. deducendo due motivi di ricorso e chiedendone l'annullamento.
Con il primo motivo la parte denuncia la mancanza, manifesta illogicità e contraddittorietà della sentenza in ordine alla ritenuta idoneità letifera dell'arma e alla sufficienza delle risultanze probatorie ai fini della sussistenza del fatto.
Con il secondo motivo l'esponente rileva violazione di legge in relazione all'erronea qualificazione giuridica del fatto.
Osserva che avendo la Corte ritenuto che il coltello era composto di materiale non particolarmente robusto, piegato alla base dell'impugnatura, contraddittoriamente era poi giunta ad affermare che fosse idoneo a produrre ferite mortali. La motivazione era anche illogica dal momento che le ferite riportate da S. erano superficiali e guarite in 15 giorni.
La parte considera che la dedotta violazione sussiste pure nell'aver il giudice di secondo grado integralmente fatto propria la consulenza del pubblico ministero, omettendo di valutare le diverse ipotesi fornite dal consulente di parte che aveva adeguatamente argomentato circa la inidoneità delle ferite a mettere in pericolo la vita di S..
Una corretta valutazione della prova scientifica avrebbe dovuto indurre i giudici di secondo grado a ravvisare nei fatti il meno grave reato di lesioni dolose.
Motivi della decisione
Il ricorso è infondato. La Corte di appello ha correttamente valutato, fornendo idonea spiegazione, che una lama lunga 10 cm era idonea a cagionare la morte della parte offesa, ove avesse raggiunto un organo viscerale. Posto che il coltello era stato rivolto con forza rilevante verso il torace, il dorso e la radice dell'arto inferiore di destra e dell'arto superiore destro, la circostanza che si fosse piegato non era sufficiente ad eliderne la capacità mortale. Ove il coltello, superando la reazione di difesa della vittima, avesse raggiunto le zone vitali prese di mira, cioè il torace, sede del polmone e di grossi vasi arteriosi venosi, avrebbe potuto determinare uno shock emorragico. Non costituisce poi vizio di motivazione, in grado di inficiare la sentenza d'appello, l'omissione di motivazione su richieste, confortate da consulenza tecnica di parte, tendenti a contrastare le conclusioni del consulente tecnico del pubblico ministero quando la confutazione degli argomenti addotti risulti, per implicito necessario, dalle considerazioni e dalle ragioni esposte nella sentenza per dare conto della soluzione adottata (v. Cass. Sez. 6, Sentenza n. 16682 del 07/07/1989, De Andreiis).
La descrizione della dinamica dell'accaduto, come dettagliata nella sentenza di primo grado, considerata l'integrazione delle due sentenze di merito che sono giunte alla stessa conclusione (doppia conforme), conferma il convincimento del giudice di appello: la parte offesa è stata ben precisa nel ricordare come B. per due volte tirò coltellate dall'alto verso il basso mirando al viso e lo colpì anche sul fianco destro, sulle costole e sulla gamba, non riuscendo nel suo intento solo per le manovre di difesa poste in essere. Che in questa convulsa azione lesiva il coltello, colpendo parti dure del corpo, abbia potuto piegarsi è evenienza ben possibile che nulla ha a che vedere con la sua idoneità ad uccidere, ma al contrario denota la violenza con cui i colpi furono inferti.
In riferimento alle censure circa la qualificazione del fatto come tentato omicidio, e non già (tesi subordinata) come lesioni, si rileva come, in linea con l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, il tentativo di reato presuppone che siano compiuti atti idonei diretti in modo non equivoco a commettere il reato.
L'idoneità degli atti, da valutarsi con una prognosi compiuta "ex post", ma riportandosi alla situazione che si presentava all'imputato al momento dell'azione, sulla base di tutte le conoscenze dell'agente, postula che dalla condotta concretamente tenuta sia astrattamente possibile la realizzazione dell'evento (non realizzato per cause indipendenti dalla volontà dell'agente), in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso particolare (Sez. 1, sent.
n. 32851 del 10/6/2013, Ciancio Cateno).
Il giudizio sull'idoneità degli atti deve, in particolare, stabilire se essi siano adeguati in concreto al raggiungimento dello scopo, tenendo conto dell'insieme delle circostanze di tempo e di luogo dell'azione e delle modalità, con cui l'agente ha operato: solo se l'azione criminosa nella sua capacità causale è insufficiente a produrre l'evento, viene infatti meno ogni possibilità di realizzazione e deve ritenersi inidonea. Il relativo apprezzamento deve svolto in concreto, senza essere condizionato dagli effetti realmente raggiunti, perchè altrimenti l'azione, per non aver conseguito l'evento, sarebbe sempre inidonea nel delitto tentato.
E' quindi irrilevante, e non richiesto dalla norma sul tentativo, che per effetto dell'azione lesiva la parte offesa subisca lesioni gravi, essendo anzi normativamente previsto che il reato sussiste anche se "l'azione non si compie o l'evento non si verifica". A maggior ragione, quindi, il reato è perfettamente realizzato quando l'evento si è verificato, anche se con una intensità minore rispetto a quanto effettivamente voluto.
Ne consegue il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 28 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2014
26-05-2014 14:52
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