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Sentenza

No della Cassazione ad elezione di domicilio plurima. La nuova elezione revoca quella precedente.
No della Cassazione ad elezione di domicilio plurima. La nuova elezione revoca quella precedente.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 29 gennaio – 20 febbraio 2014, n. 8085
Presidente Zecca – Relatore Iannello

Ritenuto in fatto

1. A.R. era tratto a giudizio avanti il Tribunale di La Spezia per rispondere dei reati, a lui contestati in parziale concorso con altri imputati, di sequestro di persona a scopo di estorsione (capo A d'imputazione), lesioni volontarie aggravate (capo B), violenza sessuale (capo C), violenza privata (capo D); fatti commessi in La Spezia e in luogo prossimo a Gallarate tra il 17 e il 18 giugno 2003.
Si contestava all'A. di avere:
A) concorso al rapimento di una ragazza abitante nel campo nomadi di La Spezia, condotta, attraverso vari passaggi, fino alla stazione di Gallarate, dove, in considerazione del suo comportamento non collaborativo, delle sue precarie condizioni fisiche e delle investigazioni ormai in atto, veniva rilasciata;
B) al fine di commettere il reato di sequestro di persona, provocato lesioni alla vittima;
C) costretto la vittima a subire toccamenti in zone erogene, finalizzati alla penetrazione, mediante violenza consistita nell'imporle con forza preliminari erotici e nel percuoterla in vario modo e mediante minacce consistite nel prospettarle che, in caso di mancato consenso al rapporto sessuale, l'avrebbe, insieme con altri, costretta a prostituirsi;
D) al fine di indurre la vittima a non sporgere denuncia, commesso un tentativo di violenza privata consistente nel dirle che in caso contrario sarebbero tornati a riprenderla e l'avrebbero fatta pagare.
Con sentenza del 6 dicembre 2007 il Tribunale di La Spezia dichiarava l'A. colpevole dei reati ascritti e, applicata con riferimento al reato di cui al capo A, la circostanza attenuante prevista dall'art. 630, quarto comma, cod. pen., ritenuta prevalente sull'aggravante contestata di cui all'art. 112, n. 1, cod. pen., ritenuta la continuazione tra i reati contestati e la pure contestata recidiva specifica infra quinquennale, lo condannava alla pena di anni 16 di reclusione, così calcolata: pena base anni otto di reclusione per il reato più grave di cui al capo C, elevata ad anni 11 per la recidiva specifica infra quinquennale, quindi elevata per la continuazione: ad anni 15 con riferimento al reato di cui al capo a; ad anni 15 mesi sei al capo B; e infine ad anni 16 con riferimento al capo D).
2. Con sentenza del 12 maggio 2010, la Corte d'appello di Genova riformava parzialmente la sentenza di primo grado, riqualificando il fatto di cui al capo A dell'imputazione come delitto ex art. 605 cod. pen.;
riduceva, conseguentemente, la pena irrogata agli imputati e confermava, nel resto, la pronuncia appellata.
3. Tale sentenza era però annullata, con riferimento alla posizione dell'A. , dalla sezione terza di questa Corte (sentenza n. 2837 del 13/10/2011) essendo stata rilevata la nullità della citazione a giudizio in grado d'appello dell'A. in quanto eseguita ai sensi dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen. presso il suo difensore, senza che risultasse divenuta impossibile la notificazione nel domicilio dichiarato dallo stesso presso il campo nomadi di Villa Cortese in Milano.
4. Con sentenza resa in data 21/2/2013, la Corte d'appello di Genova, pronunciando dunque in sede di rinvio sull'appello proposto da A.R. avverso la sentenza del Tribunale della Spezia, esclusa la recidiva, dichiarava non doversi procedere nei confronti del predetto per i reati di cui ai capi B) e D) dell'imputazione perché estinti per prescrizione e, quindi, riqualificato il fatto di cui al capo A come delitto ex art. 605 cod. pen., riconosciuta l'attenuante della minore gravità per il reato ex art. 609-bis cod. pen. contestato sub lett. C), riduceva la pena irrogata all'imputato, determinandola in anni otto di reclusione, sulla base del seguente calcolo: pena base anni sei di reclusione per il più grave reato di cui al capo A), aumentata fino ad anni otto di reclusione per il reato di violenza sessuale di cui al capo C.
5. Avverso tale decisione, a mezzo del proprio difensore, ha proposto ricorso per cassazione l'imputato sulla base di due motivi:
- violazione di norme in materia di notifiche con riferimento al decreto di citazione nel giudizio di appello;
- mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., in ordine ai criteri di quantificazione della pena.
5.1. Con il primo motivo, il ricorrente, richiamati i motivi che avevano condotto la terza sezione penale di questa Corte ad annullare nei suoi soli confronti la precedente sentenza della Corte d'appello di Genova (n. 708/2009 del 12/5/2010) sostiene che la nuova citazione a giudizio innanzi la Corte ligure, in sede di rinvio, è incorsa nel medesimo vizio essendo avvenuta nuovamente presso lo studio del difensore, Avv. Carlo Biondi, ai sensi dell'art. 161 comma 4 cod. proc. pen., in difetto dei relativi presupposti e comunque irritualmente in favore di uno solo dei due difensori di fiducia.
5.1.1. Al riguardo rammenta anzitutto il ricorrente che egli “nell'ambito del presente procedimento, aveva... eletto domicilio in data 18 giugno 2003 presso il difensore dell'epoca, Avv. Trusso Antonio,...” e che “successivamente... aveva revocato [detto] difensore di fiducia, senza peraltro revocare la precedente elezione di domicilio e altresì domiciliandosi presso il campo Nomadi di (OMISSIS) ”.
Evidenzia inoltre, in punto di fatto, che, nell'intestazione del nuovo atto di citazione a giudizio, si legge che la notifica è avvenuta presso l'Avv. Biondi, quale domiciliatario ex art. 161, comma 4, cod. proc. pen., in quanto il domicilio dichiarato dall'imputato presso (OMISSIS) sarebbe "divenuto inidoneo per dichiarazione del 9.9.2010 dell'Ufficiale Giudiziario UNEP di Milano".
Ciò premesso, rileva che tale ultima attestazione è anteriore alla decisione della Corte di Cassazione che, nel rinviare alla Corte di Appello di Genova, aveva specificato che la notifica all'imputato doveva essere tentata anzitutto nel domicilio eletto o dichiarato dall'imputato: cosa che avrebbe dovuto portare (ex art. 627 comma 3 cod. proc. pen.) a superare ogni considerazione diversa, tanto più se precedente, e a ritentare quindi una nuova notifica al domicilio eletto.
5.1.2. Sotto altro profilo rileva che la dichiarazione del 9.9.2010 dell'Ufficiale Giudiziario, inerente alla notifica dell'estratto contumaciale della prima sentenza d'appello (poi censurata in sede di legittimità), non può giustificare il giudizio di inidoneità del domicilio eletto e/o dichiarato. L'Ufficiale Giudiziario, in tale dichiarazione, infatti, “avrebbe affermato” (così testualmente in ricorso) “che la notifica non sarebbe stata possibile in quanto da informazioni assunte in loco il notificando non sarebbe stato in quel momento presente, essendo sul territorio di Torino, così come anche confermato dai Servizi Sociali del Comune di Villa Cortese”.
Osserva al riguardo il ricorrente che tale indicazione, implicitamente, conferma che all'indirizzo indicato in atti l'imputato era comunque rintracciabile, anche se temporaneamente assente, posto che qualcuno poté fornire informazioni sul suo conto.
5.1.3. Soggiunge che, comunque, prima di procedere ai sensi del quarto comma dell'art. 161 cod. proc. pen., avrebbe dovuto essere disposta la notifica presso l'altro domicilio dichiarato, ovvero presso l'avvocato Trusso, mai revocato, posto che - nel nostro ordinamento - non sussiste alcuna strutturazione gerarchica tra elezione e dichiarazione di domicilio.
5.1.4. In subordine, sostiene che, quand'anche potessero ritenersi sussistenti le condizioni di cui al quarto comma dell'art. 161 cod. proc. pen., essendo l'A. difeso da due difensori di fiducia, la notifica avrebbe dovuto essere eseguita presso entrambi, atteso che la scelta di uno soltanto di essi, presso cui istituire ex lege il luogo di presunzione di conoscenza legale dell'atto, rimarrebbe in caso contrario del tutto arbitraria.
5.2. Con il secondo motivo, il ricorrente deduce che, a fronte del significativo riassetto delle ipotesi d'accusa [discendente dalla riqualificazione del fatto come delitto ex art. 605 cod. pen., dal riconoscimento della circostanza attenuante di cui all'art. 609 bis comma 3 cod. pen. per il delitto di cui al capo c) dell'imputazione, dalla esclusione della recidiva e dalla declaratoria di non doversi procedere per le ulteriori ipotesi di cui ai capi b) e d) della rubrica], la quantificazione della pena in anni otto di reclusione rimane non sorretta da adeguata motivazione.
Rileva in particolare che la Corte di Appello, in sede di rinvio, pur avendo riqualificato il reato di cui al capo c) nell'ipotesi attenuata di cui al terzo comma, e alla luce di ciò avendo ritenuto più grave (in quanto evidentemente superiore nel massimo edittale) il reato di cui all'art. 605 cod. pen., nondimeno, contraddittoriamente, ha ritenuto di infliggere una pena base, pari ad anni sei di reclusione, addirittura superiore a quella che la precedente Corte di Appello aveva indicato, a carico di A. , come pena base per il più grave reato di cui all'art. 609-bis cod. pen., ovvero anni cinque di reclusione.
Sotto altro profilo, rileva inoltre che per il reato ritenuto più grave, ossia il sequestro di persona, è stata inflitta una pena base pari ad anni sei, ossia al doppio di quanto stabilito per i concorrenti nel medesimo delitto (e con le medesime imputazioni sub a), b) e d) della rubrica), che hanno riportato, per il sequestro di persona, una condanna passata in giudicato indicata in anni tre di reclusione, e ciò sulla base di stringate motivazioni del tutto sovrapponibili - ed anzi meno estese, essendo venuto meno qualsiasi riferimento al ruolo predominante dell'A. - a quelle della precedente condanna a carico dei coimputati nel medesimo procedimento.

Considerato in diritto

6. Il primo motivo è infondato.
6.1. Con riferimento al primo profilo di censura, è sufficiente rilevare che la precedente sentenza di questa Corte (Sez. 3, n. 2837 del 13/10/2011 - dep. 24/01/2012) nel rilevare la nullità del decreto di citazione a giudizio avanti la Corte d'appello di Genova ha fatto esclusivo riferimento a elementi di conoscenza risalenti a data anteriore o prossima a quel decreto e, segnatamente, alla relata di notifica dell'estratto contumaciale relativo alla sentenza di primo grado, effettuata il 16 aprile 2008 presso il difensore Avv. Biondi, e, in particolare, all'annotazione in essa contenuta con la quale si dava atto che “la stessa era stata tentata infruttuosamente in (OMISSIS) , luogo - osserva la Corte - evidentemente diverso da quello della elezione di domicilio che è, invece, il campo nomadi di (OMISSIS) ”.
Nessun rilievo invece assume, né poteva assumere allora, la circostanza - successivamente invece valorizzata dalla Corte d'appello di Genova in sede di rinvio - che la notifica dell'estratto contumaciale della prima sentenza d'appello non sia stata potuta notificare presso il domicilio dichiarato del campo nomadi di Villa Cortese per l'assenza in quel luogo e in quella successiva data dell'imputato.
È evidente infatti che, quand'anche tale esito della notifica di un atto successivo dovesse ritenersi tale da giustificare una valutazione di sopravvenuta inidoneità del domicilio dichiarato, si tratterebbe per l'appunto di una valutazione riferibile ad un momento successivo a quello che in quella sede veniva in rilievo (ossia la prima citazione a giudizio avanti la Corte d'appello di Genova), che come tale non potrebbe fondare un giudizio di inidoneità esteso anche, con effetto retroattivo, ad un momento antecedente. Ne discende per converso che, diversamente da quanto postulato dal ricorrente, nessun vincolo processuale ex art. 627, comma 3, cod. proc. pen., può trarsi dalla richiamata sentenza della terza sezione di questa Corte che, nel rilevare la nullità della citazione avanti la corte territoriale dell'A. per il primo giudizio di appello, ovviamente preclude ogni diversa valutazione riferibile a quell'atto e ai dati di conoscenza anteriori o prossimi al suo compimento, ma nessun effetto preclusivo può invece comportare in ordine alla valutazione di fatti e atti successivi.
6.2. Il secondo profilo di censura, con il quale come detto si contesta la ritenuta inidoneità del domicilio dichiarato presso il campo nomadi di Villa Cortese, è inammissibile per difetto del requisito di specificità dettato dall'art. 581, lett. e), cod. proc. pen..
Il ricorrente, infatti, premesso che il giudizio di sopravvenuta inidoneità del domicilio dichiarato è fondato sull'attestazione contenuta nella relata di notifica dell'estratto contumaciale della prima sentenza d'appello, con la quale - come riferisce testualmente il ricorrente – “l'ufficiale giudiziario... avrebbe affermato che la notifica non sarebbe stata possibile in quanto da affermazioni assunte in loco il notificando non sarebbe stato in quel momento presente, essendo sul territorio di Torino, cosi come anche confermato dai Servizi Sociali del Comune di Villa Cortese”, assume che, a fronte di un siffatto accertamento, la valutazione di sopravvenuta inidoneità del domicilio dichiarato sarebbe erronea, dal momento che - si evidenzia testualmente in ricorso – “tale indicazione dell'ufficiale giudiziario..., indirettamente ed implicitamente, conferma semmai che all'indirizzo indicato in atti l'imputato era comunque rintracciabile, anche se temporaneamente assente, posto che qualcuno poté fornire informazioni sul suo conto”.
Il difetto del requisito di specificità del motivo discende dall'uso del condizionale nel verbo che sorregge l'esposizione delle ragioni in fatto del motivo medesimo ("l'ufficiale giudiziario, in tale dichiarazione, avrebbe affermato...").
Una siffatta struttura grammaticale della frase rende infatti la descrizione dell'elemento su cui è fondata la critica meramente ipotetica e dubitativa e ben lontana pertanto dall'esprimere quei caratteri di certezza e precisione nei quali, secondo pacifica giurisprudenza, si concreta il requisito di "indicazione specifica... degli elementi di fatto" prescritto dalla citata norma. Tanto più tale carenza di specificità è apprezzabile nella specie, ove si consideri che si tratta del contenuto di un atto processuale, peraltro chiaramente indicato dallo stesso ricorrente, che ben lo stesso avrebbe potuto conoscere e riportare nel suo esatto testuale contenuto. L'uso del condizionale al contrario induce a pensare che il ricorrente non abbia egli stesso certezza che la riferita attestazione sia espressa negli esatti termini in cui egli dubitativamente (ovvero con l'uso del condizionale) la descrive.
6.3. In ogni caso, pur prescindendo da tale preliminare e assorbente rilievo, può rilevarsi che dal contenuto dell'atto in parola - cui questa Corte ha diretto accesso trattandosi di ipotizzato error in procedendo -, non è dato affatto desumere che l'assenza dell'imputato nel domicilio dichiarato fosse, nel momento del riferito accesso dell'ufficiale giudiziario, meramente provvisoria. L'assunto contrario espresso dal ricorrente -argomentato sull'uso della locuzione "in quel momento" che sarebbe contenuta nella relata di notifica - si rivela invero infondato in punto di fatto, non rinvenendosi nella relata di notifica l'uso di quell'espressione, né di altra similare.
Al contrario le espressioni usate appaiono chiaramente mirate ad escludere la mera transitorietà dell'assenza del notificando dal domicilio dichiarato, riferendosi infatti, in termini chiari e netti, che “da informazioni assunte in loco il notificando è sul territorio di Torino” e che “tale affermazione è stata confermata anche dai servizi sociali del Comune di Villa Cortese”: precisazione quest'ultima particolarmente significativa, attestando essa sia la non superficiale attività di ricerca svolta dall'ufficiale giudiziario sulla reperibilità in loco del notificando e sulle ragioni della sua assenza, sia e soprattutto il carattere tendenzialmente stabile del trasferimento dell'imputato in altro territorio (incompatibile pertanto con il permanere del domicilio nel luogo dichiarato), tanto da venire a conoscenza anche dei servizi sociali del Comune di Villa Cortese per le attività di loro competenza.
6.4. Sul terzo profilo di censura, giova anzitutto precisare che l'indagato/imputato può avere un solo domicilio e ogni mutamento, ritualmente comunicato all'autorità procedente, comporta necessariamente la revoca della precedente dichiarazione/elezione (v. Sez. U, n. 41280 del 17/10/2006, Clemenzi, Rv. 234905, che, componendo precedente contrasto, hanno al riguardo precisato che ciò vale anche nel caso di successione di una dichiarazione di domicilio a una precedente elezione, quand'anche la dichiarazione non sia accompagnata da espressa revoca di quest'ultima).
Ne discende, nel caso di specie, che, pacifico essendo che l'ultima dichiarazione di domicilio è stata effettuata dall'imputato con riferimento al campo nomadi di (OMISSIS) è a questo indirizzo che andava tentata la notifica del decreto di citazione a giudizio, rimanendo invece irrilevante che in precedenza l'imputato avesse espresso una diversa elezione di domicilio presso lo studio dell'Avv. Trusso.
Tale precedente elezione di domicilio, infatti, deve intendersi implicitamente revocata una volta effettuata la dichiarazione di domicilio presso il campo nomadi di (OMISSIS) .
Ogni modificazione della dichiarazione o elezione di domicilio, purché ritualmente comunicata all'autorità procedente, determina infatti, come detto, la revoca della precedente dichiarazione o elezione, senza possibilità di elezione plurima, che sarebbe in contrasto con lo spirito, la lettera e le finalità della norma. L'istituto della elezione di domicilio, infatti, è stato introdotto nell'ordinamento, da un lato, per consentire all'Autorità giudiziaria di individuare un recapito certo del destinatario degli atti giudiziari, dall'altro, per garantire a quest'ultimo una sicura e tempestiva ricezione di essi (Sez. 3, n. 11775 del 02/10/1998, Civitelli, Rv. 212175; conf. Sez. 6, n. 5280 del 08/03/1994, Cengarle, Rv. 198985), sicché sarebbe in contrasto con tali esigenze ammettere la possibile coessistenza di più domicili eletti o dichiarati.
Una plurima dichiarazione/elezione di domicilio, con la scelta di più sedi contemporanee agli effetti delle notificazioni, sarebbe possibile nella sola ipotesi - certamente diversa da quella che si sta esaminando - in cui tale pluralità risulti per inequivoca dichiarazione espressa dell'interessato e sia operata con unico atto, perché, diversamente, una seconda dichiarazione/elezione di domicilio che non contenga la riserva intesa a tener ferma quella precedente elezione non potrebbe avere il significato di dichiarazione/elezione aggiunta ma, bensì, di revoca della prima (per riferimenti, sez. 5, n. 34614 del 08/07/2002, D'Amico, Rv. 222836).
Da ciò conseguendone che, salva l'espressa manifestazione di volontà di mantenere ferma anche la precedente indicazione di domicilio (dichiarazione o elezione di domicilio) - manifestazione che nella specie non consta - quella successivamente comunicata all'autorità giudiziaria ex art. 162 cod. proc. pen. implica comunque la revoca implicita di quella precedente, essendo irrilevante la veste giuridica utilizzata, giacché, proprio in ragione di quanto affermato dalle Sezioni Unite, anche una successiva dichiarazione di domicilio è idonea a revocare - sia pure tacitamente - la precedente elezione di domicilio, siccome satisfattivamente dimostrativa della volontà dell'interessato di ricevere gli atti in un determinato luogo e con determinate modalità.
6.5. Il motivo di ricorso in esame è infine infondato anche con riferimento al quarto profilo di censura.
Non essendo stato l'imputato reperito nel domicilio dichiarato, la notificazione del decreto di citazione a giudizio in appello è stata correttamente effettuata a mani del difensore, a norma, dell'art. 161, comma 4, cod. proc. pen..
Non rileva che la formalità sia stata perfezionata con consegna dell'atto a solo uno dei due difensori, perché la norma ora citata, riferendosi "al difensore" non implica che nel caso in cui l'imputato sia assistito da due difensori l'atto debba essere consegnato a entrambi (v., in analogo senso, Sez. 6, n. 6934 del 16/01/2012, Siracusano, Rv. 252038; Sez. 6, n. 24573 del 24/11/2011 - dep. 20/06/2012, Formisano, Rv. 253092; Sez. 3, n. 4552 del 27/11/2001, dep. 2002, Di Lucente, rv. 220939; Sez. 6, n. 2733 del 08/06/1994, Kahric Safet, rv. 200604).
Non è infatti qui in discussione il diritto di difesa: il consegnatario non riceve per sé, ma quale domiciliatario ex lege dell'imputato, al quale dunque è assicurata la conoscenza effettiva dell'atto per mezzo della doverosa informativa che deve rendergli il difensore consegnatario, essendo evidentemente superflua una ulteriore informativa, relativa allo stesso atto, da parte di un secondo difensore.
7. È infondato anche il secondo motivo di ricorso.
Secondo pacifico indirizzo “la determinazione della misura della pena tra il minimo e il massimo edittale rientra nell'ampio potere discrezionale del giudice di merito, il quale assolve il suo compito anche se abbia valutato globalmente gli elementi indicati nell'art. 133 cod. pen.. Anzi, non è neppure necessaria una specifica motivazione tutte le volte in cui la scelta del giudice risulta contenuta in una fascia medio bassa rispetto alla pena edittale” (Sez. 4, n. 41702 del 20/09/2004, Nuciforo, Rv. 230278).
In relazione alle esposte coordinate di riferimento, è da escludersi che la quantificazione della pena sia frutto di arbitrio o di illogico ragionamento o che comunque si esponga a censura di vizio di motivazione, avendo il giudice a quo sia pure sinteticamente ma specificamente motivato sul punto facendo in particolare riferimento alla gravità del fatto e alla condizione di pluri-pregiudicato dell'imputato (pag. 5 sent).
Improprio inoltre è il riferimento, quale termine di comparazione, al trattamento sanzionatorio riservato ai coimputati dalla prima sentenza della corte d'appello. Per effetto dell'annullamento, questa infatti nessun vincolo di giudicato può produrre nel rinnovato giudizio d'appello nei confronti dell'A. ; né dal raffronto può desumersi un contrasto sul piano logico, atteso che, quantunque non esplicitato nella sentenza odierna appellata, il ruolo predominante dell'A. risulta comunque, nell'opposta direzione, chiaramente considerato nella prima sentenza d'appello a giustificazione del più mite trattamento applicato ai coimputati essendo in essa specificato, come rammenta anche la sopra richiamata sentenza di annullamento della terza sezione di questa Corte, “che il ruolo da questi rivestito è meno rilevante rispetto a quello, predominante, di A. ...”.
Il ricorso in conclusione va rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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