Misura cautelare. Determinazione della pena agli effetti del computo del termine di durata. Modalita'. Sezioni Unite.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 giugno – 22 luglio 2014, n. 32419
Presidente Fiandanese – Relatore Di Marzio
Osserva
Con l'ordinanza in epigrafe il Tribunale della libertà di Catanzaro, decidendo sull'appello proposto dai difensori del V. avverso l'ordinanza in data 9 ottobre 2013 con la quale il Tribunale di Vibo Valentia ha rigettato l'istanza volta ad ottenere la dichiarazione di inefficacia della custodia cautelare per il superamento dei termini di fase, ha rigettato l'appello e ha confermato l'ordinanza impugnata.
L'ordinanza cautelare era stata emessa dal Gip del Tribunale di Catanzaro in data 10 gennaio 2011 ed eseguita in data 26 gennaio 2011 per i delitti, fra gli altri, previsti dagli artt. 629 comma 2 cod. pen. in relazione all'art. 628, comma 2 numero 1) cod. pen. e 7 legge n. 203 del 1991. Il gip aveva emesso decreto di giudizio immediato in data 18 gennaio 2012.
I difensori dell'imputato avevano presentato istanza di declaratoria di inefficacia della custodia cautelare per decorrenza dei termini di fase previsti dalla legge.
Si criticava che nel provvedimento impugnato il Tribunale di Vibo Valentia avesse invece ritenuto il termine della durata di anni due (sul rilievo che la presenza di due aggravanti ad effetto speciale avrebbe determinato una pena edittale superiore ad anni venti, in quanto al massimo edittale di anni venti previsto dall'art. 629 cpv. avrebbe dovuto applicarsi ulteriore aumento fino a un terzo in seguito alla ricorrenza dell'aggravante del metodo mafioso). Si argomentava, diversamente, che la durata di tale termine doveva stabilirsi in anni uno(trattandosi, a parere dell'istante, di delitto con pena edittale non superiore ad anni 20 - ex art. 303, comma 1, lett. b) n. 1 cod. proc. pen.) e mesi sei (ex ex art. 303, comma 1, lett. b) n. 2 e n. 3 bis cod. proc. pen.), non potendo computarsi nessun ulteriore aumento in seguito alla ricorrenza dell'aggravante del metodo mafioso.
Era perciò sottoposta ai giudici la questione se ai fini della determinazione della pena edittale in relazione ai termini di durata massima della custodia cautelare, tale pena debba essere individuata tenendo conto di tutte le eventuali circostanze ad effetto speciale, senza che possa trovare applicazione l'art. 63, comma 4, cod. pen., per cui, in caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale si applica solo la pena stabilita per la più grave con l'eventuale aumento rimesso alla valutazione discrezionale del giudice, o se invece tale norma dovesse intendersi riferita non soltanto alla pena che in concreto dovrebbe essere inflitta all'esito del giudizio, così da non poter trovare applicazione anche con riferimento alla durata massima dei termini custodiali di fase, ma anche a tale ultimo riguardo (con la conseguenza che, nel caso in esame, avrebbe dovuto considerarsi solo l'aumento per la aggravante di cui all'art. 629 comma 2 cod. pen., in relazione all'art. 628 comma 2 numero 1 cod. pen.; e non anche l'aumento previsto per la circostanza dei metodo mafioso, la quale non sarebbe in se stessa a tal punto valutabile).
Sostenevano - e anche in questa sede argomentano - i difensori dell'imputato che, ai fini della determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelare, in caso - come quello di specie - di concorso di circostanza aggravante dell'effetto speciale, i criteri stabiliti dall'art. 278 cod. pen. andrebbero integrati con il disposto di cui all'art. 63, comma 4, cod. pen., che prevede l'applicazione della pena prevista per le circostanze più grave, salva la facoltà per il giudice di applicare l'ulteriore aumento fino a un terzo.
Il tribunale ha rigettato l'appello seguendo una costante giurisprudenza di questa corte, che ebbe modo di affermare come ai fini del computo dei termini massimi di custodia cautelare deve valutarsi il concorso delle aggravanti secondo un criterio concettuale e non formale. L'interprete perciò, prescindendo dalla collocazione in una stessa e in diverse disposizioni di legge, dovrà valutare la possibile coesistenza delle stesse indipendentemente dalla loro collocazione. Una volta stabilita l'autonomia concettuale di ciascuna aggravante il computo dovrà essere effettuato secondo i criteri indicati dall'art. 63 c.p., e perciò nella misura massima prevista per la più grave delle aggravanti ad effetto speciale con un ulteriore aumento di un terzo per le successive complessivamente considerate. Nè può ritenersi che la facoltà concessa al giudice, nel caso di concorso tra più aggravanti ad effetto speciale, di procedere ad un ulteriore aumento di pena dopo quello previsto per la prima di esse, costituisca una eccezione al principio generale che consente un solo aumento o che, quantificandosi l'ultimo aumento nella percentuale propria delle aggravanti ordinarie, di esso non debba tenersi contro ai fini dell'art. 278 c.p.p. (che non le comprende nella quantificazione della pena massima edittale), dal momento che occorre tener presente la natura dell'aggravante e non il limite massimo di aumento della pena. (Fattispecie di concorso, in tema di rapina, dell'aggravante dei numero delle persone e di quella derivante dal possesso di armi) (Cass. 13.3.1997, n. 1240).
Sempre la giurisprudenza di questa corte (Sezioni unite, 8.4.1998, n. 16) ha poi deciso che ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, nel caso concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria dei reato o circostanze ad effetto speciale, si deve tener conto, ai sensi dell'art. 63 comma 4 c.p., della pena stabilita per la circostanza più grave, aumentata di un terzo, e tale aumento costituisce cumulo giuridico delle ulteriori pene e limite legale dei relativi aumenti per le circostanze meno gravi dei tipo già detto che mantengono la loro natura. (Fattispecie relativa a reato di rapina aggravata a norma dell'art. 628 comma 3 c.p. con l'ulteriore aggravante di cui all'art. 7 d.l. 13 maggio 1991 n. 152, conv., nella l. 12 luglio 1991 n. 203). Inoltre - esaminando un caso simile a quello odierno - sempre questa corte ha stabilito che ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare, nel caso concorrano più circostanze aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria dei reato o circostanze ad effetto speciale, si deve tener conto, ai sensi dell'art. 63 comma 4 c.p., della pena stabilita per la circostanza più grave e dell'aumento complessivo di un terzo per tutte le altre circostanze globalmente considerate, le quali mantengono peraltro la natura di circostanze ad effetto speciale.(Nella specie si trattava di estorsione aggravata ed ulteriormente aggravata ai sensi dell'art. 7 d.l. n. 152 del 1991, conv. in l. n. 203 del 1991) (Cass. sez. 1, 31.3.2005, n. 19841).
Infine, questa stessa sezione, sia pure relativamente ad un tema diverso, ha argomentato che ai fini della determinazione del tempo necessario a prescrivere, ai sensi dell'art. 157, comma 2, c.p., deve aversi riguardo, in caso di concorso di circostanze aggravanti ad effetto speciale, all'aumento di pena massimo previsto dall'art. 63, comma 4, c.p. per il concorso di circostanze della stessa specie. Infatti, anche la nuova formulazione dell'art. 157 non prevede alcuna riserva circa l'affermata influenza delle circostanze ad effetto speciale sui termini di prescrizione per il caso che ne sia contestata più d'una, salvo il necessario coordinamento con la previsione dell'art. 63, comma 4, c.p., nel senso della limitazione dell'aumento di pena, a nulla rilevando, data l'autonomia della disciplina della prescrizione, la facoltatività dell'ulteriore aumento di pena una volta applicato quello per la circostanza più grave, o, nel caso di pari gravità, per una delle circostanze ad effetto speciale (Cass. sez. 2, 10.5.2012, n. 31065).
A fronte di tale orientamento, seguito nel provvedimento impugnato, si pone tuttavia l'argomentazione di Cass. sez. un. 24/02/2011 n. 20798, espressamente richiamata dai difensori dell'imputato a sostegno della tesi articolata nel ricorso, in cui si legge testualmente: "In caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale, l'art. 63 c.p., comma 4, prevede che il giudice applichi soltanto la pena stabilita per la circostanza più grave; la legge affida, peraltro, al giudice il potere di valutare, a propria discrezione, se aumentare la pena derivante dall'applicazione della circostanza aggravante a effetto speciale in cui si assorbono le altre circostanze aggravanti. Sotto tale profilo viene in rilievo una significativa differenza rispetto alla disciplina del cumulo giuridico in tema di concorso di reati e di reato continuato. Mentre, infatti, in queste situazioni l'aumento di pena è obbligatorio, in presenza del concorso di circostanze ad effetto speciale la variazione di pena è facoltativa. In tale ipotesi la circostanza aggravante soccombente, che consente al giudice di applicare un ulteriore aumento di pena, si trasforma da circostanza ad effetto speciale in circostanza facoltativa comune, atteso che il legislatore non ha predeterminato l'entità della variazione di pena che il giudice può apportare".
Alla luce di tali affermazioni, e considerata la giurisprudenza pregressa sopra ricordata, è necessario che la questione sia rimessa alla decisione delle Sezioni Unite, ai sensi dell'art. 618 cod. proc. pen., sul seguente quesito: "se ai fini della determinazione della pena agli effetti dell'applicazione delle misure cautelare e, di conseguenza, dei relativi termini di durata, si debba tenere conto - ai sensi dell'art. 63, comma 4, cod. pen. - in caso di concorso di più circostanze aggravanti ad effetto speciale,non solo della pena stabilita per la circostanza più grave ma anche dell'aumento complessivo di un terzo per tutte le altre circostanze globalmente considerate".
P.Q.M.
Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.
25-07-2014 15:35
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