Minorenne accoltella un ragazzo solo perchè aveva importunato alcune ragazze del gruppo dei suoi amici. Le ferite inferte al torace, alle braccia e all'addome non lasciano dubbi: l'imputato voleva uccidere.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 27 febbraio – 23 aprile 2014, n. 17647
Presidente Siotto – Relatore Caprioglio
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 13.12.2012, la corte d'appello di Napoli, sez. per i minorenni, in riforma della sentenza del Tribunale per i minorenni di Napoli in data 18.4.2012, rideterminava la pena inflitta ad I.M., per il reato di tentato omicidio in danno di R.G., ad anni tre e mesi otto di reclusione, previo giudizio di prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulle ritenute aggravanti.
Il fatto era occorso il 3.8.2011, presso il porto di Portici, dove un gruppo di 5/7 persone era intervenuto contro tre giovani (S.R., V.F. e D.M.) che si erano fermati a parlare con due ragazze; nel gruppo vi era un giovane con camicia a quadroni marrone, che tirò fuori ed usò un coltello con cui colpì il R.. All'identificazione dei giovani concorreva la disponibilità di fotogrammi prelevati dalla videoriprese di uno stabilimento balneare, ubicato sulla strada collegante Portici ad Ercolano. La corte d'appello condivideva l'affermazione di colpevolezza espressa, atteso che l'I. era stato indicato da un folto testimoniale come colui che aveva partecipato, unitamente ad altri cinque giovani, all'accoltellamento del R., come colui che nell'occasione teneva in mano un coltello, chiamato da una delle ragazze molestate con il nome di M.. Veniva aggiunto che in sede di perquisizione domiciliare era stata reperita una camicia lavata e stirata della stessa foggia e dello stesso colore di quella che era stata indossata dal soggetto autore del ferimento, immortalato in uno dei fotogrammi. Non solo, ma l'imputato che era stato individuato dalla persona offesa, aveva ammesso di essersi trovato sul luogo del fatto e di aver usato il coltellino che aveva con sé e che utilizzava per aprire i frutti di mare.
Veniva poi ritenuto che l'azione doveva essere qualificata in termini di tentato omicidio, considerate la sede attinta (zona toracica), la pluralità di colpi (tre ferite da punta e da taglio) e soprattutto la forza penetrante dei colpi documentata dalla certificazione medica.
La capacità di intendere e volere del minore veniva argomentata sulla base delle relazioni dei servizi e in ragione del fatto che il prevenuto era prossimo al compimento della maggiore età al momento del fatto (l'avrebbe compiuta sette giorni dopo il reato); venivano sottolineate le sue esperienze di vita, le buone doti intellettive e relazionali evidenziate nei periodo di permanenza in struttura, che deponevano per una condizione di sviluppo personologico assolutamente nella norma.
La gravità del fatto e le modalità relative, ad opinione della corte non consentivano di apprezzare il fatto in termini di irrilevanza; non ricorrevano i presupposti per la messa alla prova, poiché la richiesta non era stata formulata in primo grado, ragion per cui la sospensione del processo ai fini di valutare la personalità del minorenne non poteva essere disposta dal giudice di appello, se non in sede di controllo della decisione assunta in prime cure; né poteva essere concesso il perdono giudiziale, facendo difetto gli elementi rivelatori della personalità del minore, ulteriori rispetto all'incensuratezza.
2. Avverso detta sentenza, ha interposto ricorso per cassazione l'imputato, pel tramite del difensore, per censurare vizi di violazione di legge e vizi motivazionali. Dispersa fra le molte dissertazioni filosofiche si coglie in primo luogo la deduzione quanto al fatto che dalla certificazione medica sarebbe desumibile che l'offeso riportò lesioni gravi, considerato il tenore della perizia medica (che si espresse in termini di discreto sanguinamento, lesioni addominali di contenute dimensioni e così via); non poteva quindi essere ritenuta, come fu, la potenzialità lesiva dell'azione.
Sul dolo omicidiario vien fatto di rilevare che non sarebbe stato adeguatamente motivato, atteso che i fatti storici richiamati dalla sentenza consacrati negli atti escluderebbero l'apporto dell'attuale imputato. Sarebbe poi da escludere che il gruppo abbia influenzato l'I., tanto più che l'I. non ebbe mai rapporti con altri del gruppo, mancherebbe il suo inserimento stabile nel gruppo, non potendo configurarsi alcuna coesione dello stesso al gruppo, nel senso di esserne parte , di farne parte o di prenderne parte. La sentenza si sarebbe fermata alla certificazione medica , ma gli atti deporrebbero ad opinione della difesa, per l'assenza di attività costitutiva del tentato omicidio. Il fatto doveva essere inquadrato in termini di lesioni, non potendosi ravvisare elementi di supporto alla tesi omicidiaria, non essendo apprezzabile né l'univocità degli atti, né l'idoneità degli stessi. L'univocità andava desunta a prescindere dalle intenzioni dell'agente. La direzione della condotta dell'agente sarebbe esclusa per la condotta altrettanto obiettiva delle frasi pronunciate e riferite dai testimoni, ivi compresa dalla parte offesa. Se il fatto omicidiario non si consumò, ciò fu dovuto a fatti dipendenti dalla volontà dell'agente, essendosi subito arrestata la sua azione in un momento brevissimo, rispetto all'evento contestato. Ragion per cui l'azione posta in essere non poteva essere considerata azione adeguata. Le fonti riportate sarebbero prive di specificità, di univocità e di costanza. L'assemblaggio e la mera sommatoria degli elementi indizianti violano le regole della logica e del diritto nell'interpretazione dei risultati probanti, in quanto gli indizi andavano vagliati nella loro portata attestativa prima singolarmente e poi nella prospettiva globale ed unitaria; viene lamentato che non sia stato effettuato un esame indizio per indizio: viene assunto che a carico dell'imputato ricorre la sua confessione, ma non vi sarebbe prova non solo sul fatto, ma neppure sulla sua partecipazione al delitto, nè sulla sua adesione passiva all'azione delittuosa, né sull'assenso o su una volontà comune. Viene ricordato che nel concorso di persone l'idoneità e l'univocità devono ulteriormente concretizzarsi attraverso un congiungimento causale della condotta tipica con l'evento o con l'attività dell'esecutore materiale o di altro partecipe. Ma nel caso dell'I. la sua azione sarebbe inesistente.
Viene poi contestato che manca la motivazione, quanto alle aggravanti di cui agli artt. 112 cod.pen e 61 n. 1 cod. pen.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato e deve essere rigettato.
Deve essere preliminarmente rilevato che correttamente i giudici del merito hanno valorizzato la confessione dell'imputato di essersi trovato sul luogo del fatto e di aver usato il coltello che aveva con sé, atteso che la confessione risultava assolutamente coerente con altre emergenze disponibili, quali il compendio testimoniale (rappresentato dalle dichiarazione degli amici dell'imputato, testimoni diretti sul fatto), i fotogrammi ricavati dalle videoregistrazioni, l'esito della perquisizione domiciliare (che portò ad acquisire gli abiti indossati dal soggetto che usò il coltello), l'individuazione dell'I. ad opera della persona offesa. Corretta è stata dunque l'acquisizione delle informazioni dai flussi informativi e altrettanto adeguata è stata la correlazione delle stesse, informazioni che certamente non consentivano di affermare l'estraneità dell'imputato al delitto, come sostenuto dalla difesa. Parimenti ineccepibile è stata la qualificazione del fatto in termini di tentato omicidio e non di lesioni personali, considerato che i giudici del merito hanno ragionato secondo i parametri offerti da questa Corte di legittimità, secondo cui in tema di omicidio tentato, la prova del dolo, ha natura indiretta, dovendo essere desunta da elementi esterni e, in particolare, da quei dati della condotta che, per la loro non equivoca potenzialità dimostrativa, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall'agente. Ne consegue che, ai fini dell'accertamento della sussistenza dello "animus necandi", assume valore determinante l'idoneità dell'azione, che va apprezzata in concreto, con una prognosi formulata "ex post", con riferimento alla situazione che si presentava all'imputato al momento del compimento degli atti, in base alle condizioni umanamente prevedibili del caso (Sez. I , 18.4.2013, n. 35006, Rv 257208). I giudici di merito si sono attenuti a tali parametri ed hanno correttamente concluso, riconoscendo la idoneità degli atti in funzione omicidiaria, considerate la natura dell'arma, la pluralità nonché la violenza e penetrazione dei colpi, le zone attinte, la natura delle lesioni inferte , che riguardarono il torace, addome e braccio ( quindi tutte zone vitali) e che obbligarono ad un urgente intervento chirurgico ( contrariamente a quanto ritenuto dalla difesa che ne ha sottovalutato la gravità), tutti fattori deponenti, senza possibilità di errore, per una manifesta volontà diretta ad uccidere. Anche volendo ammettere (ma così non è) che la vittima non ebbe a correre pericolo di vita, vien fatto di rilevare che la valutazione che deve essere compiuta, in tema di delitto tentato, non può essere condizionata dagli effetti realmente raggiunti, poichè così opinando l'azione per non aver conseguito l'evento, sarebbe sempre inidonea nel delitto tentato. Quindi anche sul punto le censure non colgono nel segno atteso che le singole evidenze sono state correttamente analizzate ed altrettanto correttamente correlate fra loro, per addivenire ad un giudizio globale che non è di mera sommatoria di elementi, ma di correlazione tra loro e di valorizzazione della loro convergenza.
Del tutto stornante è poi il profilo sul concorso di persone nel reato, considerato che fu l'I. a colpire a morte il suo interlocutore, spalleggiato dal gruppo di amici, cosicchè egli sicuramente pose in essere la condotta più significativa sotto il profilo della causalità. La pluralità di soggetti a spalleggiarlo (e a non allontanarsi al momento in cui il R. fu colpito, in dissociazione a quanto stava avvenendo) è stata conclamata dalle videoriprese, con il che è stata giustificata la contestazione dell'aggravante di cui all'art. 112 cod. pen., riguardante la partecipazione di cinque o più persone. Quanto poi all'aggravante dei futili motivi, vale la pena di sottolineare che l'azione è stata ritenuta mossa da tale tipo di deprecabile sollecitazione, in quanto il R. sarebbe stato ritenuto reo di aver “molestato” le ragazze della compagnia. Va poi aggiunto che in secondo grado sono state concesse le circostanze attenuanti generiche con giudizio di prevalenza, che hanno annullato l'effetto delle circostanze aggravanti, che quindi non hanno inciso sulla quantificazione della pena.
Gli altri motivi sviluppati sono del tutto aspecifici e comunque attengono a profili adeguatamente trattati dalla corte territoriale con un discorso giustificativo completo, privo di mende sotto il profilo della logica e del diritto.
Il ricorso deve essere rigettato. Non si fa luogo a condanna alle spese, atteso che ai sensi del D.Lgs. 28 luglio 1989, n. 272, art. 29, la persona minore degli anni diciotto al momento del fatto è esentato dalle spese processuali in caso di soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
24-04-2014 22:04
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