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Sentenza

Minaccia a pubblico ufficiale: con una catena in mano, invita il messo a notificare l'atto giudiziario a lui destinato, al portiere.
Minaccia a pubblico ufficiale: con una catena in mano, invita il messo a notificare l'atto giudiziario a lui destinato, al portiere.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 9 maggio – 9 luglio 2014, n. 30058
Presidente Agrò – Relatore Di Stefano

Motivi della decisione

La Corte di Appello di Catania con sentenza dell'11 aprile 2013, in riforma della sentenza del Tribunale di Catania che il 19 aprile 2012 assolveva F.F. perché il fatto non sussiste dal reato di cui all'art. 336 cod. pen. in quanto usava minaccia brandendo una catena contro il messo di conciliazione A.G., incaricato di pubblico servizio che doveva notificargli due cartelle esattoriali, lo condannava su ricorso dei procuratore generale.
Secondo la ricostruzione dei fatti il predetto A. si recava presso l'abitazione del ricorrente ove era presente la sola moglie B. per notificare una cartella a quest'ultima ed un'altra nei confronti del F.; mentre il messo di conciliazione stava redigendo le due relate di notifica sopraggiungeva il F. che lo minacciava perché si allontanasse dall'abitazione e non notificasse le due cartelle.
A. quindi si allontanava e tornava accompagnato dai carabinieri dei quali aveva chiesto l'intervento.
Il primo giudice giungeva alla assoluzione ritenendo fondate le concordi versioni rese dal ricorrente e dal coniuge, in particolare quanto all'avere il messo di notificazione minacciato la donna di denunzia laddove non avesse accettato la notifica degli atti, non accettando di notificarle al portiere come chiesto dalla donna; ritenendo invece non attendibile il messo di conciliazione il cui operato era censurabile in quanto "con ogni forzatura, tentava la notifica dell'atto nelle proprie mani dell' interessato, discostandosi, così, dalla normativa vigente che prevede l'efficacia della notifica con la consegna dell'atto al portiere, come giustamente aveva suggerito la signora B."; inoltre, per il giudice di primo grado, appariva una condizione anomala il fatto che i carabinieri non avessero proceduto ad una perquisizione domiciliare per verificare se effettivamente il ricorrente fosse in possesso di una catena.
La Corte di Appello, effettuata una valutazione di attendibilità della dichiarazione della persona offesa e ritenuta la correttezza della procedura utilizzata per la notifica, diversamente da quanto affermato dal primo giudice, giungeva alla conclusione della fondatezza della tesi di accusa con conseguente condanna.
F.F. propone ricorso a mezzo dei proprio difensore rilevando con il primo motivo il vizio della motivazione che ritiene fondata su errori quali la inattendibilità della tesi difensiva, non essendosi tenuto conto delle chiare ragioni offerte dall'imputato e dal coniuge in ordine al "comportamento improprio ed ingiustificabile del messo notificatore". Rileva che non è stata data giustificazione della ritenuta attendibilità della versione dei fatti della persona offesa in assenza di riscontri.
Il ricorso è infondato.
Gli argomenti posti dal ricorrente toccano indirettamente il tema comune a tutte le ipotesi di ribaltamento in appello dalla sentenza di assoluzione in primo grado, ovvero che ciò non sia possibile quando si tratta di un apprezzamento alternativo del medesimo materiale probatorio; il ricorso, difatti, ripropone il tema della sostanziale attendibilità della tesi del F. e dei coniuge che, a fronte della legittima richiesta della donna di notifica degli atti al portiere, afferma che il messo di conciliazione avesse inteso notificarglieli direttamente, utilizzando atteggiamenti minacciosi.
Nel caso di specie, invero, la Corte di Appello ha chiaramente individuato i vizi logici della sentenza di primo grado e la conseguente insostenibilità della ricostruzione dei fatti, per poi dare adeguata motivazione della fondatezza della tesi di accusa.
Va quindi confermato come la sentenza di primo grado si ponesse al di fuori di qualsiasi legittimo ambito di opinabilità laddove riteneva che fosse impropria ed ingiustificabile la volontà del messo di conciliazione di fare il lavoro di sua competenza; e, ancor di più, laddove commetteva l'errore di diritto di ritenere che la normativa vigente lasci al destinatario degli atti la scelta della notifica al portiere anziché a lui direttamente. Secondo l'art. 139 comma terzo cod. proc. civ., disposizione applicabile anche in materia tributaria (per la quale valgono, ove non altrimenti disposto, le regole del processo civile), in tanto la copia dell'atto è notificata al portiere in quanto
- non sia possibile la notifica in mani proprie
- il destinatario non venga trovato nella casa di abitazione
- in questa manchi una persona di famiglia o addetta alla casa non minore
di anni 14 e non palesemente incapace.
Quindi il messo di conciliazione era obbligato alla notifica alla donna in proprio per il suo atto e per conto dei marito per l'atto diretto a quest'ultimo.
Quest'errore rendeva illogica la valutazione del primo giudice sulla attendibilità di chi rifiutava la notifica di cartelle esattoriali e sul presunto atteggiamento indebito del messo di conciliazione addetto alle notifiche delle medesime cartelle che, al di fuori di qualsiasi peculiarità dei rapporti con il destinatario della notifica ovvero senza alcun particolare interesse, avrebbe utilizzato minaccia per il compimento dei propri atti - in un caso in cui, peraltro, sarebbe stato sufficiente dare atto del rifiuto di accettazione della notifica perché la stessa si avesse per effettuata.
La decisione dei secondo giudice, quindi, è corretta ed adeguatamente motivata risultando rispettate le regole in tema di ribaltamento della sentenza di primo grado la cui decisione era basata su palesi errori.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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