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Sentenza

Maestra di scuola elementare condannata per avere percosso, umiliato, ingiuriato e vessato psicologicamente alunni tra i 4 e i 6 anni.
Maestra di scuola elementare condannata per avere percosso, umiliato, ingiuriato e vessato psicologicamente alunni tra i 4 e i 6 anni.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 – 28 marzo 2014, n. 14753
Presidente Agrò – Relatore Citterio

Considerato in diritto

1. A.M. era imputata di maltrattamenti nei confronti degli alunni, tra i quattro ed i sei anni, affidatile in ragione del suo servizio di insegnante in una scuola elementare. Le condotte in concreto contestate avevano ad oggetto percosse, ingiurie, umiliazioni e vessazioni psicologiche, specificamente indicate.
Con sentenza del 21.2-7.3.13 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la condanna, deliberata il 22.4.2011 dal Tribunale di Avellino, alla pena di giustizia (dichiarata estinta ex art. 1 legge 241/2006) ed al risarcimento del danno in favore dei genitori costituitisi parte civile, in proprio e nella qualità, con provvisionale di 5000 euro per ciascuna di esse.
2. Nell'interesse dell'imputata il difensore ha proposto ricorso per cassazione, enunciando sei motivi:
- contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, in relazione all'incompletezza dell'istruttoria per il mancato esame gestaltico, sottovalutando la deposizione della direttrice didattica sulla peculiare situazione della prima classe nel momento in cui entrava in vigore la riforma che consentiva l'accesso anche a bambini cd anticipatari e il numero limitato di alunni che avevano manifestato problemi;
- "incompletezza" della motivazione per la non considerazione della documentazione scolastica attestante la qualità del lavoro dell'insegnante, confermata anche da colleghi;
- mancanza e manifesta illogicità della motivazione "circa l'apprezzamento dei materiale probatorio acquisito" e mancata assunzione di una prova decisiva, per l'omessa audizione dei bambini che, precisa il difensore, è stata chiesta solo in appello ex art. 603 c.p.p. per mutamento dei difensore; assenza di riscontri documentali alle dichiarazioni de relato dei genitori dei minori; omessa valutazione dell'influenza sull'attendibilità delle dichiarazioni dei genitori dell'iniziativa collettiva intrapresa da alcuni con l'adesione di altri;
- mancanza e manifesta illogicità della motivazione circa l'apprezzamento della consulenza della dott.ssa P. (psicologa clinica) su alcuni degli alunni, per l'assenza di registrazioni visive o audio degli incontri e di puntuale anamnesi (individuale e familiare), sola in grado di apprezzare la valenza probatoria dello stato dei bambini quale accertato dalla consulente;
- violazione degli artt. 571 e 572 c.p., per mancata prova dell'abitualità della condotta di maltrattamento in luogo di quella del mero abuso dei mezzi di correzione;
- illegittimità del mancato accoglimento della richiesta di revoca o sospensione della provvisionale per la mancata allegazione di pregiudizio grave e irreparabile, essendo stata documentata la sostanziale corrispondenza dell'importo dovuto con il reddito annuale lordo.

Ragioni della decisione

3. Il ricorso è infondato. Consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e alla rifusione delle spese legali in favore delle presenti costituite parti civili, liquidate come da dispositivo, tenuto conto dell'attività svolta e dei numero delle parti rappresentate.
I primi quattro motivi propongono, sotto profili diversi ma convergenti, la sostanziale censura di mancanza di prova adeguata della sussistenza di condotte ed effetti propri dei maltrattamenti e della riconducibilità delle singole situazioni di disagio dei minori alla condotta complessiva dell'imputata. Ma, come del resto si evince dalla precedente presentazione del contenuto dei motivi di impugnazione, le censure si risolvono in deduzioni di merito (in qualche modo anche 'giustificate' con la tardiva assunzione dell'incarico difensivo), volte a sollecitare una complessiva rivalutazione del materiale probatorio, del tutto preclusa in questa sede di legittimità.
In realtà, la lettura della sentenza d'appello attesta una compiuta indicazione delle ragioni della prima decisione e dei motivi d'appello e, da p. 5, la piena rivalutazione del materiale probatorio, in costante ed esaustivo confronto con i singoli motivi d'impugnazione, che perviene ad una rinnovata autonoma conclusione, conforme a quella del Tribunale. In particolare la Corte ha dato conto delle plurime prove orali, argomentandone la sufficienza tranquillante (p. 5-8), in particolare per quanto riguardava le deposizioni delle madri, che erano testi anche dirette delle condotte e delle reazioni dei figli a casa e nel rapporto con la prospettiva quotidiana della partecipazione alla vita scolastica (p. 9); ha altresì spiegato le ragioni della piena attendibilità della consulenza tecnica sui minori e la valenza probatoria delle sue conclusioni in ordine allo stato dei minori al momento del suo espletamento (p. 9).
Il quinto motivo è infondato. Il Tribunale aveva provveduto all'analitica descrizione dei comportamenti e dei contesti, nonché all'altrettanto analitica loro valutazione, evidenziando il carattere ripetitivo della condotta esercitata su molti scolari ed i suoi devastanti effetti sul complessivo clima scolastico e sul rapporto tra tutti gli alunni e la scuola; secondo il motivato apprezzamento del primo Giudice (sempre suffragato da continui riferimenti a dati probatori non palesemente incongrui alle conclusioni raggiunte) la condotta dell'imputata era volta a realizzare un metodo di 'educazione' e apprendimento fondato sull'intimidazione e sulla violenza, soprattutto psicologica ma pure fisica (p. 8), anche con irrisioni ingiustificate, offese, bestemmie (p. 13) e denigrazioni degli alunni (p. 8); si era trattato di condotta non solo astrattamente idonea a ingenerare vera e propria nevrosi reattiva alla scuola, ma che tali conseguenze aveva in effetti provocato (p. 9); in concreto si trattava, tra l'altro, di «"atteggiamenti interpersonali di gestione degli alunni gravemente avvilenti e vessatori, tali da ingenerare un clima di stabile mortificazione e sopraffazione soprattutto nei bambini più sensibili in ragione delle problematiche di cui erano portatori, ..., e che veniva vissuto, di riflesso, anche dagli alunni "più fortunati" che non erano soggetti direttamente alle "attenzioni" della maestra» (p.15), che si concretizzavano, tra le svariate condotte vessatorie descritte, anche nel tirare i capelli (tanto da indurre alcun bambino a chiedere alla madre di poter avere i capelli tagliati per tenerli corti (p. 12); in definitiva, un comportamento permanente che aveva generato un clima di `stabile mortificazione e sopraffazione'.
Rispondendo al motivo d'appello sulla qualificazione giuridica in favore dell'art. 571 c.p. (motivo per il vero svolto in termini sostanzialmente assertivi perché privo di alcun confronto specifico con le condotte singolarmente descritte e complessivamente valutate dal Tribunale, p. 8 ultima parte e 9 prima parte) la Corte d'appello ha, con specifica e altrettanto articolata motivazione, ricostruito i fatti nel senso della sussistenza di una «situazione, all'interno della classe, caratterizzata da un atteggiamento fortemente persecutorio della maestra nei confronti solo di alcuni bambini, i più fragili ed emotivi, oppure quelli che presentavano delle connotazioni fisiche che più degli altri attiravano la sua morbosa attenzione, estrinsecatasi attraverso frasi ingiuriose, di derisione e scherno senza alcun motivo che potesse più che giustificare, quantomeno fornire una spiegazione, dei suoi comportamenti» (p.8). Secondo la Corte distrettuale si erano realizzate, in fatto, quelle condizioni di ripetizione di atti vessatori idonea a determinare la sofferenza fisica o morale continuativa della persona offesa (p.9), vessazioni (fisiche e morali) che avevano determinato i comprovati (non solo dalla perizia ma dalle dirette deposizioni significativamente coerenti delle madri) turbamenti psichici e danni psicologici. In definitiva, comportamenti reiterati costituenti maltrattamenti e assistiti dalla necessaria coscienza e volontarietà, incompatibili con la sussunzione nei meri abusi ex art. 571 c.p. (p. 10).
Si tratta di un apprezzamento complesso, attento alle risultanze processuali in continuo confronto con le deduzioni difensive, che perviene ad una conclusione non incoerente e non contraria all'insegnamento di questa Corte, che ha insegnato come l'uso sistematico di condotte siffatte, quale trattamento ordinario del minore, anche lì dove sostenuto da "animus corrigendi" concretizza, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, gli estremi del delitto di maltrattamenti (Sez. 6, sent. 36564/2012 e sent. 45467/2010).
L'ultimo motivo è inammissibile, perché la statuizione del giudice d'appello sull'insussistenza delle condizioni per revocare la condanna al pagamento della provvisionale, ancorchè contenuto in sentenza, è inoppugnabile (Sez. 2, sent. 3012/2010), potendo eventualmente la parte proporre rituale autonoma istanza ai sensi dell'art. 612 c.p.p. per ottenere, solo durante la pendenza del ricorso, la sospensione dell'esecuzione.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle sostenute dalle parti civili che liquida in complessivi euro 5000 oltre iva e cpa.
Avv. Antonino Sugamele

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