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Sentenza

Litiga con la moglie, - alla presenza dei figli minori che si trovavano sul pavimento e piangevano - colpendola prima con violenti schiaffi, e poi, dopo che la moglie, a causa della violenta aggressione rovinava al suolo, saliva sul corpo della prevenuta e le sferrava violenti calci al capo. Anni 1 e 6 mesi di reclusione.
Litiga con la moglie, - alla presenza dei figli minori che si trovavano sul pavimento e piangevano - colpendola prima con violenti schiaffi, e poi, dopo che la moglie, a causa della violenta aggressione rovinava al suolo, saliva sul corpo della prevenuta e le sferrava violenti calci al capo. Anni 1 e 6 mesi di reclusione.
Ufficio Indagini preliminari  sez. XXXIV  Napoli 
Data:
    19/05/2014 ( ud. 16/05/2014 , dep.19/05/2014 ) 
Numero:    1120
                                   TRIBUNALE DI NAPOLI
                    ufficio del giudice per le indagini preliminari
                                     sezione XXXIV
                                  REPUBBLICA ITALIANA
                              In nome del Popolo Italiano
    Il Giudice per le indagini preliminari Doti Claudio Marcopido,
    all'udienza  del  16.05.2014,  nel suindicato procedimento penale, ha
    pronunciato la seguente
                                       SENTENZA
    Ai sensi degli artt. 438 e ss. c.p.p.
    nei confronti di:
    W.F.  nato il ... a Napoli ed ELETTIVAMENTE DOMICILIATO - ex art. 161
    c.p.p. in Napoli al vico L.G., 46,
    IMPUTATO
    a)  del delitto p. e p. dall'art. 572 bis c.p. poiché, maltrattava la
    moglie   convivente  D.S.G.F.R.,  ingiuriandola  profferendo  al  suo
    indirizzo  le  parole "..., ...", colpendola in diverse occasioni con
    calci  e  pugni  in  varie  parti  del corpo, anche alla presenza dei
    figli minori, minacciandola di morte.
    In Napoli dall'anno 2012fino al 21.02.2014
    b)  del delitto p. ep. dall'art. 582 e 585 c.p. in relazione all'art.
    576  e art. 61 co. 1 e 2 c.p. - poiché al fine di commettere il reato
    di  cui  al  capo  precedente,  colpendo  la  moglie con due violenti
    schiaffi  al  volto,  e  poi  camminando  sul  corpo e sul capo della
    prevenuta  le  cagionava  lesioni  personali  consistite  in  "trauma
    cranico  minore.  Escoriazioni  multiple agli arti superiori", da cui
    derivava una malattia del durata di sette giorni.
    In Napoli il 21.02.2014
    CONCLUSIONI
    P.M.:  si  affermi  la  responsabilità  penale  dell'imputato e lo si
    condanni,  applicando il regime della continuazione, con la riduzione
    per il rito, alla pena di anni due di e mesi due reclusione.
    Difesa:  assoluzione  ex art. 530 cpv. perché il, fatto non sussiste,
    in  subordine,  riconosciute le circostanze attenuanti generiche, con
    la  diminuente  per  il  rito, si condanni l'imputato al minimo della
    pena.


    Fatto
    FATTO E DIRITTO

    Con atto depositato il 24.03.2014 il P.M. chiedeva il giudizio immediato nei confronti di W.F. in ordine ai reati in epigrafe indicati.

    Con decreto del 26.03.2014, il GIP. disponeva procedersi con giudizio immediato nei confronti dell'imputato.

    Con istanza pervenuta entro il termine di cui all'art. 458, co. 1, c.p.p., l'imputato chiedeva, tramite il proprio difensore e procuratore speciale, di definire il processo nelle forme del patteggiamento o in subordine con le forme del giudizio abbreviato condizionato o secco. Il P.M. faceva pervenire il proprio dissenso scritto rispetto alla proposta di pena formulata nell'interesse dell'imputato ex art. 444 c.p.p.

    Con decreto del 24.04.2014, ritenuta la tempestività della richiesta, veniva fissata l'udienza camerale per il giorno 16.05.2014. A detta udienza, presente l'imputato, detenuto agli AA.DD., il Giudice, nuovamente raccolto il dissenso del P.M. di Udiènza rispetto ad ulteriore proposta di patteggiamento e rigettata la subordinata richiesta di abbreviato condizionato nei termini di cui alla relativa ordinanza, disponeva procedersi con rito abbreviato. Successivamente le parti, dopo la discussione, rassegnavano le conclusioni in epigrafe indicate.

    Quindi il Giudice pronunciava il dispositivo riservandosi il deposito della motivazione.

    Deve essere affermata la penale responsabilità dell'imputato per la contestazione penale ad egli elevata.

    La prova della penale responsabilità del W. è agevolmente desumibile dagli atti ed, in particolare, dalla denuncia - querela sporta dalla moglie convivente D.S.R., connessa all'arresto in flagranza di reato dell'imputato, supportata dalle annotazioni di servizio redatte dal personale di P.G. del Nucleo Radiomobile CC. di Napoli, il tutto riscontrato dai referti medici attestanti le lesioni patite dalla p.o.

    Emerge dalle complessive risultanze investigative e dagli atti in possesso di questo Giudicante che, intorno alle ore 13.00 del 21.02.2014, una pattuglia dei Carabinieri, si portava presso l'abitazione della famiglia W., sita al vico Caricatolo 17 in Napoli, ove era stata segnalata aggressione in danno di una donna, in parte riscontrata di fatto dai militari intervenuti.

    Nella sua denunzia querela, presentata subito dopo l'intervento dei CC, D.S.G.F.R., moglie dell'indagato, rappresentava adeguatamente il quadro dell'abituale comportamento del marito il quale già dall'inizio del rapporto sentimentale ha iniziato a maltrattare la moglie, avendo atteggiamenti minacciosi e violenti, sfociati molto spesso in aggressioni fisiche.

    La p.o. ha precisato di non aver denunciato tali episodi proprio perché minacciata dal marito, il quale le impediva anche di recarsi in ospedale per farsi refertare.

    Il giorno dell'arresto l'imputato, nel corso di un litigio con la moglie, alla presenza dèi figli minori - che come emerge dagli atti nell'occorso al momento dell'intervento della P.G. si trovavano sul pavimento e piangevano - la colpiva prima con violenti schiaffi, e poi, dopo' che la moglie, a causa della violenta aggressione rovinava al suolo, saliva sul corpo della prevenuta e le sferrava violenti calci al capo. Emerge dagli atti che il W. continuava ad avere uh atteggiamento aggressivo e minaccioso anche alla presenza dei militari operanti. In particolare, risulta dal verbale di arresto che i medesimi, giunti sul posto, su segnalazione della centrale operativa, udivano, prima di entrare all'interno dell'abitazione della persona offesa, le urla di uomo che profferiva le seguenti frasi: " sei una ... e se continui così ti ammazzo". Proseguiva, quindi, ad inveire nei confronti della moglie dicendole che se fosse stato arrestato poi gliel'avrebbe fatta pagare.

    Come emerge dalla denuncia gli episodi lesivi non sono atti isolati, ma rientrano in una cornice unitaria caratterizzata dall'imposizione alla p.o. di un regime di vita oggettivamente vessatorio ed intollerabile.

    E' da evidenziare che la persona offesa, proprio alla luce degli accadimenti descritti in denuncia, ha dichiarato di temere perla sua incolumità e per quella dei figli.

    In conseguenza di detta ultima aggressione la D.S.G.F.R. riportava un contusioni varie (anche al capo) giudicate guaribili in sette giorni (cfr. referto dell'Ospedale San Paolo di Napoli). All'esito dei compiuti accertamenti della p.g. il prevenuto veniva quindi tratto in l'arresto per i reati di lesioni volontarie e maltrattamenti in famiglia.

    Nel corso del successivo interrogatorio di garanzia, a seguito del quale veniva convalidato l'arresto e disposta la misura cautelare della custodia domiciliare, il prevenuto smentiva gli assunti accusatori con motivazioni non plausibili e tuttora non provate.

    Indipendentemente dalla parziali giustificazioni rese dall'imputato, che non trovano esplicito riscontro, le dichiarazioni della denunziante trovavano, pertanto, un primo evidente elemento di riscontro in quanto direttamente rilevato dal personale di P.G. in occasione dell'arresto, i quali verificavano de visu gli effetti delle minacce e dell'aggressione ai danni della stessa p.o., oggettivamente esplicitata dal referto medico in atti. Come detto,, inoltre, le annotazioni di servizio in atti, non sono gli unici elementi che corroborano la successiva denunzia, non rinvenendosi elementi atti a suffragare intenti calunniatori in capo alla p.o..

    Nessun dubbio si propone dunque in merito all'illiceità delle condotte tenute dal W., con episodi vessatori, aggressioni fisiche e lesioni inconfutabilmente riscontrate, condotte, queste, poste in essere anche dinanzi ai figli minori della coppia e ( in un arco temporale esteso) con una caratteristica serialità e gravità degli atteggiamenti illeciti che evidenziano come l'aggressività espressa dall'imputato sia lo strumento per imporre alla moglie (convivente) dapprima uno stile di vita familiare improntato al sopruso ed all'assoggettamento.

    Le lesioni in danno della D.S.G.F.R. refertate dai sanitari costituiscono manifestazione paradigmatica del reato sub 2), la cui prova documentale s'incasella in maniera perfetta entro il più ampio quadro probatorio emerso con riferimento al delitto di cui al capo 1). Detta condotta criminosa, nel caso di specie si rileva scissa, sebbene eziologicamente connessa con la fattispecie di cui al capo 1), sia per le modalità di commissione che per il tempo in cui sono state consumate ed assume un'autonoma rilevanza punitiva, non potendosi ritenere assorbita nel delitto di cui all'art. 572 c.p.

    Nessun dubbio, inoltre, sulla configurazione oggettiva, nel caso di specie, del reato di cui all'imputazione principale, cioè la fattispecie prevista dall'art. 572 c.p.

    Il delitto di maltrattamenti, infatti, si sostanzia nella reiterazione nel tempo di più fatti lesivi genericamente omogenei che, isolatamente considerati, possono anche non costituire reato, ma che, valutati nel loro insieme, determinano uno stato di sofferenza fisica o morale della parte offesa, integrando così la condotta tipica.

    Pertanto, alla stregua della surriferita struttura, in alcuni casi il singolo atto puo' non giungere ad offendere direttamente il bene giuridico della dignità fisica e morale del5 soggètto passivo, poiché la compromissione del bene giuridico è ricollegata solo alla reiterazione degli atti lesivi; Per questo motivo illustre dottrina evidenzia come nel reato in argomento la condotta incriminatrice deve assurgere a vero e proprio "regime di vita" connotato dall'abitudine costante, cosciente e volontaria del soggetto attivo di offendere l'altrui personalità e dal costante patimento del soggetto passivo (in tal senso anche Cass. sez. VI, 4/3/96, n. 4015). Dunque, ai fini della configurabilità della fattispecie, occorre che venga rintracciato tra le singole manifestazioni della condotta l'esistenza del ed. nesso di abitualità, cioè la frequente e non sporadica ripetizione di comportamenti omogenei, essendo la reiterazione degli episodi lesivi elemento costitutivo del reato. I singoli comportaménti vessatori possono, inoltre, anche essere naturalisticamente dissimili (ad esempio, ingiurie, percosse, atti di privazione della libertà personale). Ciò che, infatti, rileva è l'omogeneità del contenuto offensivo delle singole condotte e la possibilità di ricondurre le stesse, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nella generica nozione di maltrattamento (ovviamente nella sua accezione laica, non giuridica). Ancora, perché sia ravvisabile il reato in argomento, occorre che l'attività vessatoria posta in essere non si esaurisca sotto il profilo "volontaristico in quella che sorregge i singoli comportamenti eventualmente rilevanti penalmente, né che si identifichi in quella che colloca i singoli atti in un unitario disegno criminoso che - come tale - si configura come un "percorso" teleologicamente orientato ad un risultato. Nel primo caso, infatti, la repressione penale degli autonomi comportamenti offensivi assorbirebbe l'intera area d'intervento protettivo nei confronti dei beni giuridici singolarmente tutelati. Nella seconda ipotesi, invece, si configurerebbe soltanto un'evidente ipotesi di reato continuato.

    Ciò che invece colloca su di un piano differente il reato abituale (e, nella specie, quello previsto dall'art. 572 c.p.) è la riconoscibilità nelle singole componenti della condotta (complessivamente intesa) dei tratti della consapevolezza posseduta dall'agente che il nuovo atto si va ad aggiungere ai precedenti costituendo un "sistema di comportamenti offensivi".

    Dunque, elemento specificante e distintivo del reato de quo è anche il dolo unitario, riconducibile alla coscienza e volontà di sottoporre il soggetto passivo a sofferenza fisiche e morali in modo così costante da fare apparire quella condizione come regola del rapporto. Appare, infatti, evidente, alla luce delle risultanze istruttorie riportate, che le lesioni, le violenze, le minacce,, le ingiurie e le molestie di cui alla contestazione costituiscono estrinsecazione dei ripetuti atti di percosse, lesioni, ingiurie e minacce, integranti il delitto, di maltrattamenti in famiglia, posti in essere dall'indagato, ai danni della compagna, da ultimo nell'episodio che ha condotto all'arresto in flagranza di reato.

    Alla luce di quanto esposto, appare, dunque, provata la penale responsabilità del W.F. per i reati ascrittigli in imputazione, dovendosi ritenere, anche sulla scorta dei menzionati riscontri, attendibili a pieno le dichiarazioni accusatorie della p.o., sia in considerazione della loro precisione e verosimiglianza, sia per lo stretto rapporto affettivo esistente tra le parti, rapporto che, in assenza di elementi indicativi in tal senso, induce a ritenere la insussistenza di un intento persecutorio della consorte nei confronti del marito, pur valutandosi il carattere iracondo del medesimo.

    Da quanto finora esposto, considerata la natura delle condotte, la contiguità temporale degli stessi, il contesto finalistico unitario dell'azione evidenziato dalle analoghe modalità di svolgimento dei fatti, deve rilevarsi, in primo luogo, la necessità di ritenere le condotte avvinte sotto il vincolo della continuazione, ma, altresì, che sussistono, invero, i presupposti per riconoscere le circostanze attenuanti generiche, tenuto conto dello stato d'incensuratezza del prevenuto, dell'intervenuta riconciliazione con la consorte, presente in udienza al fianco dell'imputato, delle non gravi conseguenze delle condotte. Anche al fine di adeguare, quindi, i fatti alla pena da comminare si reputa opportuno applicare l'equivalenza tra le circostanze attenuanti generiche e la contestate aggravanti.

    Pertanto, valutati tutti i criteri di cui all'art. 133 c.p. - ed, in particolare, quanto al profilo oggettivo, la valutazione di gravità dei fatti, come sopra delineata; quanto al profilo soggettivo, lo stato di incensuratezza dell'imputato e la successiva riconciliazione con la consorte - si reputa congrua la pena di anni uno mesi sei di reclusione così determinata: pena base, valutato più grave il delitto di cui al capo 2), ritenute equivalenti le rilevate circostanze, anni uno e mesi otto di reclusione, aumentata, per la continuazione, ad anni due e mesi tre di reclusione, ridotta, per il rito, nella misura indicata. L'imputato va condannato al pagamento delle spese processuali e di custodia cautelare. L'assenza di precedenti penale che gravano sul prevenuto consentono di valutare in senso positivo la possibilità di applicare il beneficio della sospensione condizionale della pena, per l'effetto dovendosi revocare ex art. 300 c.p.p. la misura personale in atto.
    PQM
    P.Q.M.

    Visti gli artt. 438 e s.s., 533, 535 c.p.p., dichiara W.F. responsabile dei reati a lui ascritto e, concesse le attenuanti generiche, ritenute le stesse equivalenti alle contestate aggravanti, applicata la continuazione tra i reati, ridotta la pena per il rito, lo condanna alla pena di anni uno e mesi sei di reclusione, oltre al pagamento delle spese processuali e di sofferta custodia cautelare.

    Pena sospesa.

    Letto l'art. 300 III co. c.p.p. dichiara l'immediata perdita d'efficacia della misura cautelare personale in atto e per l'effetto dispone la scarcerazione dell'imputato se non detenuto per altra causa.

    Napoli, 16.05.2014
Avv. Antonino Sugamele

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