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Sentenza

La Corte costituzionale individua i tratti caratterizzanti della recente L. n. 67 del 2014.
La Corte costituzionale individua i tratti caratterizzanti della recente L. n. 67 del 2014.
ORDINANZA N. 149
ANNO 2014
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori:
- Gaetano SILVESTRI Presidente
- Sabino CASSESE Giudice
- Giuseppe TESAURO ”
- Paolo Maria NAPOLITANO ”
- Giuseppe FRIGO ”
- Alessandro CRISCUOLO ”
- Paolo GROSSI ”
- Giorgio LATTANZI ”
- Aldo CAROSI ”
- Marta CARTABIA ”
- Sergio MATTARELLA ”
- Mario Rosario MORELLI ”
- Giancarlo CORAGGIO ”
- Giuliano AMATO ”
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 175, 178, comma 1, lettera c), 179,
603 e 604 del codice di procedura penale, promosso dalla Corte d'appello di Bologna
nel procedimento penale a carico di S.B.C. con ordinanza del 7 febbraio 2013, iscritta al
n. 70 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 16, prima serie speciale, dell'anno 2013.
Visti l'atto di costituzione di S.B.C., nonché l'atto di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell'udienza pubblica del 6 maggio 2014 il Giudice relatore Giuseppe
Frigo;
uditi l'avvocato Alessandro Sarti per S.B.C. e l'avvocato dello Stato Diana
Ranucci per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con ordinanza del 7 febbraio 2013, la Corte d'appello di Bologna
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 111 e 117 della Costituzione, questione di
legittimità costituzionale degli artt. 175, 178, comma 1, lettera c), 179 e 604 del codice
di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che la mancata conoscenza del
procedimento, da parte dell'imputato restituito nel termine per proporre impugnazione,
determini la nullità della sentenza appellata, ovvero del decreto di rinvio a giudizio o di
citazione a giudizio con nullità derivata di detta sentenza, e imponga conseguentemente
la trasmissione degli atti al giudice di primo grado;
che, «in aggiunta o in alternativa», la Corte bolognese ha sollevato, in
riferimento ai medesimi parametri, questione di legittimità costituzionale degli artt. 175
e 603 cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono all'imputato, restituito nel
termine per non aver avuto conoscenza del procedimento, di esercitare in modo pieno,
in grado di appello, le facoltà di cui agli artt. 438, 444, 468, 491 e 555 cod. proc. pen.;
che la Corte rimettente riferisce di essere investita dell'appello avverso la
sentenza del Tribunale di Ravenna del 9 giugno 2006, che aveva condannato l'imputato,
dichiarato irreperibile e giudicato in contumacia, alla pena di otto anni di reclusione per
fatti di violenza sessuale continuata ai danni di due straniere, induzione, avviamento,
favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione di entrambe e costrizione di una di
esse ad interrompere la gravidanza;
che l'imputato era stato restituito nel termine per proporre impugnazione ai sensi
dell'art. 175, comma 2, cod. proc. pen., in quanto non aveva avuto conoscenza né del
procedimento promosso a suo carico, né del provvedimento di condanna;
che il difensore appellante – eccependo l'illegittimità costituzionale, in parte
qua, del citato art. 175, comma 2, cod. proc. pen. – aveva chiesto che fosse dichiarata la
nullità del procedimento di primo grado, ovvero che l'imputato fosse rimesso in termini
per esercitare un complesso di facoltà, precluse nel giudizio di appello: in specie, quelle
di eccepire l'incompetenza territoriale, di chiedere l'applicazione della pena o il
giudizio abbreviato, di indicare testimoni al di fuori dei limiti previsti dall'art. 603 cod.
proc. pen.;
che, allo stato – secondo il giudice a quo – nessuna di dette richieste potrebbe
essere accolta: non la prima, per il principio di tassatività delle nullità (art. 177 cod.
proc. pen.), posto che l'art. 179 cod. proc. pen. non contempla fra le ipotesi di nullità
assoluta anche la mancata conoscenza effettiva del procedimento da parte dell'imputato;
non le altre, stante il preciso sistema di decadenze stabilito dalla legge processuale, che
renderebbe impraticabile una interpretazione “adeguatrice”;
che, ad avviso della Corte felsinea, siffatto regime si porrebbe in contrasto con
plurimi parametri costituzionali;
che risulterebbe violato, anzitutto, l'art. 3 Cost., sia sotto il profilo della
irragionevole equiparazione di situazioni difformi, che sotto quello dell'irragionevole
disparità di trattamento di situazioni analoghe;
che, da un lato, infatti, sussisterebbe una sostanziale diversità tra la posizione di
chi non abbia avuto conoscenza del procedimento e non abbia volontariamente
rinunciato a comparire, e quella di chi non abbia avuto effettiva conoscenza del solo
provvedimento di condanna e non abbia volontariamente rinunciato a proporre
impugnazione: situazioni che, per converso, il legislatore parifica, prevedendo in
entrambi i casi la restituzione nel termine dell'imputato al solo fine di proporre
impugnazione;
che, dall'altro lato, sarebbe ravvisabile una sostanziale analogia tra la posizione
dell'imputato che non sia stato citato per il giudizio o per l'udienza preliminare e quella
dell'imputato che non abbia avuto effettiva conoscenza di detta citazione, rimanendo
così ignaro del procedimento a suo carico: posizioni che il legislatore tratta invece in
modo differenziato, includendo solo il primo caso tra le ipotesi di nullità assoluta;
che sarebbe violato anche l'art. 24 Cost., giacché l'imputato, restituito nel
termine per non aver avuto conoscenza del procedimento, si vedrebbe
irragionevolmente privato di una serie di facoltà, non solo istruttorie, riconosciute a chi
è stato posto in grado di parteciparvi consapevolmente sin dall'inizio, quali la possibilità
di richiedere riti alternativi o di proporre determinate eccezioni preliminari;
che l'art. 111, terzo comma, Cost. garantisce, altresì, alla persona accusata di un
reato il diritto ad essere informata nel più breve tempo possibile dell'accusa elevata a
suo carico, di disporre del tempo e delle condizioni per preparare la sua difesa e di
ottenere l'acquisizione di ogni mezzo di prova a suo favore: diritti che apparirebbero
parimenti compromessi o affievoliti, rispetto al soggetto in questione, dalle preclusioni
maturate in primo grado, a fronte delle non altrettanto ampie previsioni degli artt. 603 e
604 cod. proc. pen.;
che sarebbe violato, infine, l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6
della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
(CEDU), firmata a Roma il 4 novembre 1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4
agosto 1955, n. 848, il quale, nell'interpretazione fornitane dalla Corte europea dei
diritti dell'uomo, impone che siano previsti strumenti preventivi o ripristinatori per
evitare processi penali a carico di contumaci inconsapevoli, ovvero per assicurare in un
nuovo giudizio, anche mediante la produzione di nuove prove, il diritto di difesa che
non fosse stato possibile esercitare personalmente nel processo contumaciale già
concluso;
che, su tali premesse, la Corte rimettente dubita della legittimità costituzionale
degli artt. 175, 178, comma 1, lettera c), 179 e 604 cod. proc. pen., nella parte in cui –
nel caso di restituzione nel termine dell'imputato per mancata conoscenza del
procedimento – non prevedono la nullità della sentenza di primo grado, ovvero del
decreto di rinvio a giudizio o di citazione a giudizio, con nullità derivata di detta
sentenza, e la conseguente trasmissione degli atti al primo giudice;
che pure in un quadro costituzionale e ordinamentale nel quale il doppio grado di
giudizio di merito non rappresenta una soluzione obbligata, il rimedio della nullità
risulterebbe, infatti, adeguato in rapporto all'esigenza di permettere al contumace
rimesso in termini di avvalersi di tutte le facoltà difensive non potute esercitare in primo
grado; né, d'altra parte, la pronuncia additiva invocata comporterebbe scelte
discrezionali di esclusiva spettanza del legislatore, trattandosi semplicemente di
aggiungere al catalogo delle cause di nullità una ulteriore e precisa ipotesi;
che, «in aggiunta o in alternativa», il giudice a quo ritiene in contrasto con le
medesime norme costituzionali gli artt. 175 e 603 cod. proc. pen., nella parte in cui non
consentono all'imputato, restituito nel termine per non aver avuto conoscenza del
procedimento, di esercitare in modo pieno, in grado di appello, le facoltà previste dagli
artt. 438, 444, 468, 491 e 555 cod. proc. pen.;
che, anche in questo caso, l'auspicata declaratoria di illegittimità costituzionale
non comporterebbe – ad avviso della Corte rimettente – scelte discrezionali di esclusiva
spettanza del legislatore, «essendo univocamente determinato l'intervento “additivo”
prospettabile»;
che si è costituito S.B.C., imputato nel processo a quo, il quale ha chiesto che
entrambe le questioni siano accolte, ripercorrendo e ampliando gli argomenti addotti a
loro sostegno dall'ordinanza di rimessione;
che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate
inammissibili per difetto di motivazione sulla rilevanza o, comunque, infondate nel
merito.
Ritenuto che la Corte d'appello di Bologna dubita della legittimità costituzionale
degli artt. 175, 178, comma 1, lettera c), 179 e 604 del codice di procedura penale,
deducendone il contrasto con gli artt. 3, 24, 111 e 117 della Costituzione, nella parte in
cui non prevedono che la mancata conoscenza del procedimento, da parte dell'imputato
restituito nel termine per proporre impugnazione, determini la nullità della sentenza
appellata, ovvero del decreto di rinvio a giudizio o di citazione a giudizio con nullità
derivata di detta sentenza, e imponga conseguentemente la trasmissione degli atti al
giudice di primo grado;
che, «in aggiunta o in alternativa», la Corte rimettente solleva questione di
legittimità costituzionale, in riferimento ai medesimi parametri, degli artt. 175 e 603
cod. proc. pen., nella parte in cui non consentono all'imputato, restituito nel termine per
non aver avuto conoscenza del procedimento, di avvalersi in modo pieno, in grado di
appello, delle facoltà previste dagli artt. 438, 444, 468, 491 e 555 cod. proc. pen.;
che, successivamente all'ordinanza di rimessione, è intervenuta la legge 28
aprile 2014, n. 67 (Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di
riforma del sistema sanzionatorio. Disposizioni in materia di sospensione del
procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili), pubblicata nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica, serie generale, n. 100 del 2 maggio 2014, la quale
ha modificato in modo particolarmente incisivo la disciplina del processo penale senza
la presenza dell'imputato;
che, per un verso, la nuova legge ha introdotto meccanismi intesi ad evitare, in
via preventiva, che si celebrino processi nei confronti di soggetti inconsapevoli;
che, in questa prospettiva, viene segnatamente soppresso l'istituto del processo
in contumacia; si consente di procedere in assenza dell'imputato solo quando l'avviso
dell'udienza gli sia stato notificato personalmente, o risulti comunque con certezza che
egli è a conoscenza del procedimento o si è volontariamente sottratto ad essa (art. 420- bis cod. proc. pen., come sostituito dall'art. 9, comma 2, della legge n. 67 del 2014); si prevede, infine, che nel caso di irreperibilità dell'imputato il processo debba essere
sospeso (art. 420-quater cod. proc. pen., come sostituito dall'art. 9, comma 3, della
nuova legge);
che, sul piano dei rimedi restitutori, la novella legislativa stabilisce, per quanto
qui più interessa, che il giudice di appello debba dichiarare la nullità della sentenza
appellata, trasmettendo gli atti al giudice di primo grado, tanto nel caso in cui consti che
il processo avrebbe dovuto essere sospeso ai sensi del citato art. 420-quater cod. proc. pen., quanto nel caso in cui l'imputato provi che la sua assenza è stata dovuta «ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo di primo grado»:
ipotesi nelle quali è possibile, altresì, la restituzione dell'imputato nel termine per
formulare le richieste di giudizio abbreviato e di applicazione della pena (comma 5-bis
dell'art. 604 cod. proc. pen., aggiunto dall'art. 11, comma 3, della legge n. 67 del 2014);
che, correlativamente, il comma 4 dell'art. 603 cod. proc. pen., che stabiliva le
condizioni per la rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello a favore
dell'imputato contumace in primo grado, è stato abrogato (art. 11, comma 2, della legge n. 67 del 2014);
che, nell'ipotesi di condanna con sentenza divenuta irrevocabile, il condannato
nei cui confronti si sia proceduto in assenza per tutta la durata del processo può
chiedere, inoltre, alla Corte di cassazione la «rescissione del giudicato», qualora provi
«che l'assenza è stata dovuta ad una incolpevole mancata conoscenza della celebrazione del processo»: richiesta il cui accoglimento comporta la revoca della sentenza e la trasmissione degli atti al giudice di primo grado, con possibile restituzione dell'imputato, anche in questo caso, nel termine per la richiesta dei riti alternativi a carattere “premiale” (art. 625-ter cod. proc. pen., aggiunto dall'art. 11, comma 5, della nuova legge);
che, a fronte di siffatte modifiche, è stato soppresso anche l'istituto della
restituzione dell'imputato nel termine per proporre impugnazione avverso la sentenza
contumaciale, rimanendo l'art. 175, comma 2, cod. proc. pen. riferito al solo «imputato
condannato con decreto penale» (art. 11, comma 6, della legge n. 67 del 2014);
che, in questo modo, tre delle cinque norme censurate dal rimettente (artt. 175,
603 e 604 cod. proc. pen.) sono state oggetto di rilevanti interventi modificativi ed è
radicalmente mutato, altresì, il panorama normativo di riferimento;
che, pertanto – a prescindere da ogni ulteriore rilievo in ordine all'ammissibilità
delle questioni (particolarmente per quanto attiene alla loro prospettazione in forma
ancipite e al fatto che il giudice a quo non abbia preso specificamente in esame, anche
solo per contestarne la validità, l'interpretazione “costituzionalmente orientata” della
normativa censurata, prospettata in alcune recenti pronunce della Corte di cassazione) –
va disposta la restituzione degli atti alla Corte rimettente per un nuovo esame della
rilevanza delle questioni alla luce dello ius superveniens.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE COSTITUZIONALE
ordina la restituzione degli atti alla Corte d'appello di Bologna.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della
Consulta, il 19 maggio 2014.
F.to:
Gaetano SILVESTRI, Presidente
Giuseppe FRIGO, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 28 maggio 2014.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
Avv. Antonino Sugamele

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