L’esercizio arbitrario delle proprie ragioni si traduce nella indebita attribuzione a se' stesso, da parte del privato, di poteri e facolta' spettanti al giudice.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 maggio – 19 settembre 2014, n. 38571
Presidente Marasca – Relatore De Berardinis
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 25.5.12 la Corte di Appello di Bari pronunziava la riforma della sentenza emessa dal Giudice monocratico del Tribunale di Foggia,con la quale ROVEA Giorgio era stato dichiarato responsabile del delitto di cui all'art. 610 CP, commesso in danno di B.S.,che l'imputato aveva costretto a consegnare documenti relativi al condominio di S Giovanni Rotondo-Via S.Antonio s.n.-medinate minaccia e strappando infine dalle mani della persona offesala cartella come si desume dal provvedimento -fatto acc.in data 28-4-2005Per tale reato la Corte aveva ridotto la pena a mesi due di reclusione,confermando nel resto la sentenza di primo grado
Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione il difensore deducendo:
1-violazione di legge,in riferimento alla esclusione dell'ipotesi di cui all'art.393 CP,ed erronea applicazione dell'art.610 CP.
-A riguardo il ricorrente censurava la sentenza per illogicità della motivazione,evidenziando che il giudice di merito si era basato sulle dichiarazioni della persona offesa dal reato senza tener conto di quelle dello stesso imputato.
Rilevava sul punto che egli,nella veste di precedente amministratore del condominio,aveva consegnato alla B., che avrebbe assunto tale caríca, la documentazione inerente a dieci anni di amministrazione,chiedendole il rilascio di una ricevuta riportante l'elenco dei documenti stessi,e che la predetta aveva opposto un rifiuto.
Pertanto l'imputato evidenziava che egli aveva assunto il comportamento qui contestato al fine di rientrare in possesso della documentazione e tutelarsi nei confronti dei terzi, negando di avere usato nei confronti della persona offesa violenza o minaccia. 2-deduceva infine che il reato ascrittogli risulta estinto per prescrizione,il cui termine risultava decorso alla data del 28 dicembre 2012 e concludeva chiedendo l'annullamento dell'impugnata sentenza.
Rileva in diritto
Il ricorso risulta privo di fondamento.
Deve evidenziarsi che la sussistenza del fatto contestato risulta adeguatamente illustrata dal giudice di merito,e che risulta incensurabile la qualificazione della condotta ascritta all'odierno ricorrente nel quadro normativo dell'art. 610 CP.
Invero dal testo della sentenza impugnata si evince la prova della violenza usata dall'imputato nei confronti della persona offesa, strappando dalle mani della predetta la cartella contenente la documentazione indicata essendo la prova desunta sia da dichiarazioni della persona offesa che da quelle di un teste indifferente, nonché dal verbale di sequestro della cartella. Orbene deve ritenersi correttamente esclusa dal giudice di appello la configurabilità dell'ipotesi delittuosa prevista dall'art.393 CP.,atteso che tale reato presuppone che l'agente sia animato dall'esercizio di un diritto nella consapevolezza di poter ricorrere al giudice :-sul punto la decisione si rivela in sintonia con il principio sancito da questa Corte,con sentenza Sez.V del 20.2.1998,n.2164, Ottavia no-RV209812-per cui
22-09-2014 23:42
Richiedi una Consulenza