Illegittima la negazione del Tribunale di sorveglianza alla misura alternativa sulla scorta del mancato risarcimento del danno.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 luglio – 16 ottobre 2014, n. 43388
Presidente Chieffi – Relatore Casa
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza in data 8.10.2013, il Tribunale di Sorveglianza di Bari, pronunciando nei confronti di B.L. - libero in sospensione in relazione alla condanna alla pena di due anni e sei mesi di reclusione subita per i reati di omicidio colposo e lesioni gravissime (inesatta è l'indicazione di "omicidio colposo plurimo" riportata nel provvedimento), aggravato dalla violazione della disciplina della circolazione stradale (verificatosi in (omissis)) - tenuto conto dei molteplici precedenti penali e di un carico pendente per reati di lesioni personali e violenza privata, commessi in epoca successiva al grave delitto da espiare ed alla fruizione della misura alternativa della semilibertà e dell'indulto (disposti, rispettivamente, con ordinanza del 20.4.1007 e 10.5.2007), rilevati l'atteggiamento di indifferenza mostrato dal condannato nei confronti delle Parti civili costituitesi in giudizio e la mancata riparazione del danno, dichiarava inammissibile la richiesta di detenzione domiciliare in ragione dell'entità della pena da espiare (superiore ai due anni), negava la chiesta misura alternativa dell'affidamento in prova al Servizio sociale, ammettendo però, d'ufficio, il B. al beneficio della semilibertà.
2. Avverso tale ordinanza, in ordine alla negata misura alternativa dell'affidamento in prova al Servizio sociale, proponeva ricorso per cassazione l'anzidetto condannato che motivava il gravame formulando le seguenti deduzioni per violazione di legge e vizio di motivazione:
- il Tribunale aveva enfatizzato acriticamente la valenza di un carico pendente senza alcun contenuto di accertamento di responsabilità e ormai risalente nel tempo (oltre sei anni prima della richiesta negata), omettendo di considerare le positive emergenze dell'inchiesta socio-familiare svolta dall'UEPE;
- le persone offese dal reato erano state da tempo risarcite dal responsabile civile (la "Groupama Assicurazione s.p.a.") che aveva liquidato l'intero massimale previsto dalla polizza RCA;
- in ogni caso, il risarcimento del danno non costituiva presupposto per l'affidamento in prova al Servizio sociale, dovendosi, a tal fine, valutare l'idoneità della misura a contribuire all'educazione del reo e ad assicurare la prevenzione del pericolo di recidiva;
- solo dal 2009 il ricorrente disponeva di un reddito da lavoro di circa 1.100-1.200 Euro mensili;
- il Tribunale si era limitato ad evidenziare apoditticamente il pericolo di commissione di altri reati e l'inefficacia della misura richiesta alla rieducazione del ricorrente, per poi contraddittoriamente concedere d'ufficio la misura della semilibertà, in considerazione dell'allontanamento dalla devianza, desumibile dall'assenza di rilievi dal 2007 in poi e dal tenore positivo dell'inchiesta;
- i Giudici avevano, infine, omesso di valutare la ripercussioni negative che il regime della semilibertà avrebbe comportato sulla sua attuale attività lavorativa presso la "TECNECO Servizi Generali s.r.l.", attesa la distanza tra il carcere e il luogo di lavoro.
3. Il Procuratore Generale preso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, concludeva per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso, fondato nei termini di cui alla seguente motivazione, deve trovare accoglimento.
Ed invero, la misura alternativa dell'affidamento in prova al Servizio sociale è stata negata con argomentazione incongrua, che, da un lato, in larga parte, fa riferimento alla mancata riparazione del danno causato con i delitti in premessa indicati, dall'altro svilisce le emergenze positive dell'indagine sociale svolta dall'U.E.P.E. di Foggia che, nel dare atto del "percorso di reinserimento socio-lavorativo" avviato "già da diversi anni" dal ricorrente e del suo atteggiamento di consapevole "pentimento e rammarico" per l'evento delittuoso provocato, aveva espresso parere favorevole alla misura alternativa richiesta (v. relazione del 30.9.2013).
1.1. L'anzidetto primo profilo argomentativo è, anzi tutto, infondato in diritto, atteso che, per giurisprudenza consolidata di questa Corte di legittimità, la mancata riparazione del danno (attività che, in ipotesi, deve essere oggetto delle relative prescrizioni, ex art. 47, comma 7, Ord. Pen.) non può, in sé, essere posta a fondamento del diniego della misura in parola (Sez. 5, n. 7476 del 21.1.2014, Mariotti, Rv. 258884; Sez. 1, n. 2614 del 21.11.2012, dep. 17.1.2013, Mariotti, Rv. 254235; Sez. 1, n. 47126 del 17.11.2009, Colatore, Rv. 245886; Sez. 1, n. 30785 del 9.7.2001, Iegiani, Rv. 219606; Sez. 1, n. 15098 dell'8.3.2001, Gammaidoni Rv. 218405).
In proposito, se è pur vero che l'effettiva indisponibilità ad attivarsi in tal senso può essere oggetto di legittima valutazione concretamente negativa (così Sez. 1, n. 39474 del 25.9.2007, Arnesano, Rv. 237740), però deve risultare, per accertamenti obbiettivi e del tutto stringenti, che si tratti di esplicazione di perdurante volontà antisociale, sintomatica di un non avviato distacco dalle logiche delinquenziali, e non derivante da altra causa meno negativa (quali le difficoltà economiche o le assorbenti necessità familiari).
In tal senso l'impugnata ordinanza si rivela, per un verso, non compiutamente approfondita come si rendeva necessario e difforme dai risultati dell'indagine svolta dall'U.E.P.E. di Foggia e, per altro verso, radicalmente omissiva in ordine all'accertata circostanza dell'avvenuto integrale risarcimento dei danni nell'intero massimale previsto dalla polizza RCA di 775.000,00 Euro in favore delle Parti civili costituite da parte del responsabile civile "Groupama Assicurazioni s.p.a." (vedi pagg. 3 e 6 della sentenza di secondo grado in atti, emessa dalla Corte di Appello di Bari in data 16.1.2012).
1.2. Ma anche il secondo ordine di argomenti (il giudizio di sostanziale persistenza della pericolosità sociale del condannato, fondato sui precedenti penali e sul carico pendente per reati commessi in data successiva a quella del reato in esecuzione) non si sottrae a critica, posto che l'indole propensa alla commissione di consimili reati, attribuita dall'ordinanza al ricorrente, risulta - nel concreto - smentita da un periodo di oltre sei anni in cui il B. nulla risulta aver commesso di penalmente riprovevole.
Nello stesso senso depongono il pentimento e la consapevolezza in relazione al grave evento provocato e il corretto svolgimento di regolare attività lavorativa, evidenziati in sede d'indagine sociale (v. relazione U.E.P.E. cit.).
L'inaffidabilità del condannato, in tale situazione, risulta dunque affermazione non del tutto logica.
Neppure è dato pienamente cogliere come gli stessi elementi di valutazione (però riguardati con maggiore apertura prognostica) siano stati posti a base della concessa semilibertà (la cui esecuzione finisce per pregiudicare l'attività lavorativa da tempo svolta e quindi il già avviato reinserimento), con evidente vizio di contraddizione rilevabile dal testo stesso del provvedimento.
2. L'impugnata ordinanza va, dunque, annullata, con rinvio degli atti al Tribunale di competenza per nuovo esame sulla richiesta di affidamento in prova al Servizio sociale.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sorveglianza di Bari.
17-10-2014 22:57
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