I limiti operativi dello stato di necessità.
Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 21-03-2014) 16-05-2014, n. 20425
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TERESI Alfredo - Presidente -
Dott. GENTILE Mario - Consigliere -
Dott. RAMACCI Luca - Consigliere -
Dott. GRAZIOSI Chiara - Consigliere -
Dott. SCARCELLA Alessio - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
C.F., n. (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d'appello di ROMA in data 8/01/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Alessio Scarcella;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SPINACI Sante, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udite per il ricorrente le conclusioni dell'Avv. M. Montesoro - non comparso.
Svolgimento del processo
1. C.F. proponeva tempestivo ricorso, personalmente, avverso la sentenza della Corte d'appello di ROMA, emessa in data 8/01/2013, depositata in data 30/01/2013, con cui, in parziale riforma della sentenza emessa dal tribunale di ROMA in data 11/06/2009, il medesimo imputato veniva prosciolto per intervenuta estinzione per prescrizione, dal reato di cui al capo a), nonchè condannato, previa riduzione della pena originariamente inflitta, con le già concesse attenuanti generiche equivalenti all'aggravante contestata, per il reato di cui al capo b), alla pena condonata di mesi 6 di reclusione ed Euro 300,00 di multa, revocando l'ordine di demolizione e disponendo il dissequestro dell'immobile; in particolare, la pronuncia di condanna è stata confermata per la violazione dell'art. 349 c.p., commi 1 e 2, per avere, in data 7/03/2006, violato i sigilli apposti all'atto del sequestro del 6/10/2004, con cui l'imputato era stato nominato custode giudiziario, proseguendo i lavori sul manufatto abusivo indicato al capo a), dichiarato prescritto.
2. Con il ricorso, tempestivamente proposto dal difensore fiduciario cassazionista, vengono dedotti due motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Deduce, con il primo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. b), per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in relazione al mancato riconoscimento dell'esimente dello stato di necessità di cui all'art. 54 c.p.. Si duole il ricorrente per essere pervenuta la Corte territoriale a giudizio di condanna facendo acriticamente proprie le argomentazioni del primo giudice; al ricorrente avrebbe dovuto essere riconosciuta l'esimente dell'art. 54 c.p., invocata nei motivi di appello, in considerazione delle ragioni che avevano spinto il ricorrente a violare i sigilli, esercitando il medesimo nel manufatto abusivo l'attività di carrozziere, al fine di garantire il sostentamento economico per sè e per i familiari; la Corte d'appello avrebbe escluso erroneamente l'esimente de qua, senza tener conto del fatto che il ricorrente avrebbe agito in stato di bisogno, come del resto riconosciuto alla giurisprudenza di legittimità in relazione al reato di costruzione abusiva edilizia;
la situazione del resto, non sarebbe stata evitabile, non disponendo il ricorrente di altri mezzi se non quello di svolgere il proprio lavoro in locale idoneo, a fronteggiare il dissesto finanziario del proprio nucleo familiare; le argomentazioni richiamate dalla Corte d'appello per negare l'esimente sarebbero erronee, in quanto alle carenze di bisogni, solo teoricamente può far fronte la moderna organizzazione sociale con i suoi vari istituti, sicchè non sarebbe sufficiente, al fine di ravvisare l'esimente, considerare la possibilità ipotetica per il reo di ricorrere ad altre condotte penalmente lecite, occorrendo accertare se tali condotte alternative abbiano pari o analoga idoneità a porre in salvo il bene, accertamento mancante nel caso di specie.
2.2. Deduce, con il secondo motivo, la violazione dell'art. 606 c.p.p., lett. e), per mancanza della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, in ordine alla denegata concessione delle attenuanti generiche con giudizio di superiore valenza rispetto alla contestata aggravante.
La sentenza sarebbe illegittima in quanto, confermando il diniego delle attenuanti generiche prevalenti all'aggravante dell'art. 349 c.p., comma 2 avrebbe immotivatamente aderito alla scelta del primo giudice, sul presupposto dell'adeguatezza del trattamento sanzionatorio in concreto inflitto; la motivazione avrebbe eluso il motivo di appello, in cui si lamentava l'erroneità dell'affermazione del primo giudice nel ritenere quale fattore negativo la circostanza che il ricorrente avrebbe proseguito i lavori di ultimazione del manufatto adibito a carrozzeria, perseverando nelle condotte criminose attraverso la violazione dei sigilli; la Corte avrebbe tautologicamente identificato la condotta integrativa del reato, con l'elemento ostativo alla concessione del beneficio, omettendo ogni apprezzamento sulla sussistenza e rilevanza dei fattori attenuanti specificamente indicati nei motivi di appello; il giudice, nell'esercitare il proprio potere discrezionale, deve in ogni caso rendere chiaro ed intelligibile il proprio iter argomentativo, esplicitando le ragioni della prevalenza o dell'esaustività di un parametro di riferimento rispetto all'altro.
2.3. Infine, la difesa, sul presupposto dell'ammissibilità del ricorso, eccepisce l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato ascritto.
Motivi della decisione
3. Il ricorso dev'essere accolto, con conseguente annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, per le ragioni di seguito esposte.
4. Deve, anzitutto, ritenersi manifestamente infondato il primo motivo.
Ed invero, è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che, ai fini dell'esimente di cui all'art. 54 cod. pen., pur dovendo ritenersi che il danno grave alla persona non è solo quello alla vita ed all'integrità fisica, ma altresì quello minacciato ai beni attinenti alla personalità, quali, ad esempio, quello alla libertà, al pudore, all'onore, al decoro, è peraltro da considerarsi che, alla stregua della detta disposizione, il pericolo cioè la costrizione a violare la legge, viene a mancare tutte le volte in cui con altri mezzi si possa ottenere quanto è indispensabile per evitare il danno (Nella fattispecie, relativa a violazione di sigilli apposti ad un manufatto abusivo, la Corte ha escluso l'invocato stato di necessità, osservando che il pur grave disagio in cui si risolve la mancanza dell'alloggio può essere evitato dimorando temporaneamente presso parenti od amici e ricercando, nel contempo un'abitazione: Sez. 6, n. 222 del 24/11/1993 - dep. 13/01/1994, Aprea, Rv. 197236). Nello stesso senso, si è poi ribadito che Ai fini dell'integrazione dell'esimente dello stato di necessità, accanto alla sussistenza del pericolo attuale del danno grave è necessario che non vi sia altra concreta possibilità di salvezza priva di disvalore penale: ne consegue che non è applicabile l'esimente in oggetto al reato di violazione di sigilli commesso per rientrare in possesso di cose personali custodite in un appartamento al quale l'A.G. aveva posto i sigilli (Sez. 3, n. 17592 del 12/01/2006 - dep. 22/05/2006, Paoleschi, Rv. 234184).
Dall'esame dell'impugnata sentenza emerge, in particolare, che i giudici d'appello abbiano fatto buon governo dei principi in precedenza affermati da questa Corte, avendo sottolineato la Corte territoriale che, alla data del 6/10/2004, all'atto della nomina quale custode giudiziario del ricorrente, l'immobile non era ancora destinato ad officina di carrozziere sicchè l'imputato avrebbe dovuto e potuto, in ragione dei vincoli di indisponibilità dell'immobile impostigli con il sequestro e la nomina di custode, individuare un altro luogo ove svolgere la sua attività; inoltre, si legge in sentenza, il ricorrente non solo avrebbe potuto trovare altra sede per la sua officina, ma avrebbe potuto trovare anche altra attività lavorativa, anche come carrozziere alle dipendenze di terzi, almeno provvisoriamente, per mantenere sè e la propria famiglia senza incorrere nella violazione della legge penale.
Infine, osserva il Collegio, lo stato di necessità non è nemmeno invocabile nel caso in esame, atteso che è pacifico che l'immobile in questione non era volto al soddisfacimento di necessità abitative personali e della famiglia, ma finalizzato allo svolgimento di attività lavorativa: pur potendosi, dunque, in astratto - aderendo alla tesi difensiva - ritenere sussistente l'estremo del danno grave alla persona, non altrettanto può ritenersi quanto all'ulteriore requisito dell'"inevitabilità altrimenti", nel caso di specie insussistente.
5. Fondato, invece, deve ritenersi il secondo motivo di ricorso. Ed invero, non può ritenersi che il giudizio di prevalenza od equivalenza tra circostanze eterogenee, devoluto al giudice di merito, esaurisca l'obbligo di motivazione se si risolve nella mera esecuzione del cd. bilanciamento, non assistito da motivazione adeguata.
E' pacifico, anzitutto, che il fatto previsto nel capoverso dell'art. 349 cod. pen. costituisce una circostanza aggravante dell'ipotesi semplice contemplata nel comma 1. Infatti, la qualità di custode, che determina l'aumento di pena, non fa che aggiungere un elemento accessorio al fatto tipico della violazione di sigilli, cosi come avviene in tutti i casi in cui la legge assegna uno speciale effetto aggravante ad una qualificazione soggettiva. Del resto, il capoverso in esame applica ad un caso particolare la norma generale contenuta nell'art. 61, n. 9, che configura come circostanza aggravante il caso in cui il fatto sia commesso con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti a una pubblica funzione (Sez. 5, n. 73 del 31/07/1975 - dep. 08/01/1976, Legnani, Rv. 131752). Tanto premesso, emerge dalla lettura dell'impugnata sentenza che il giudice d'appello, investito della richiesta di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti riconosciute sulle aggravanti (nel caso di specie, quella di cui all'art. 349 c.p., comma 2), non ha illustrato adeguatamente le ragioni per le quali il bilanciamento non potesse risolversi in un giudizio di prevalenza, anzichè di equivalenza delle attenuanti sull'aggravante contestata. Anzi, ad un attento esame della motivazione, la spiegazione fornita si appalesa contraddittoria, atteso che, mentre, da un lato, i giudici d'appello premettono che le modalità e le circostanze dei fatti nonchè la situazione personale del ricorrente consentono di applicare una pena più mite, dall'altro, con riferimento al giudizio di bilanciamento, si limitano a ribadire il giudizio di equivalenza operato immotivatamente dal primo giudice.
La Corte territoriale è, dunque, venuta meno al principio, già affermato da questa Corte, secondo cui, nell'ipotesi in cui l'imputato abbia espressamente chiesto al giudice d'appello la commutazione del giudizio di equivalenza tra circostanze aggravanti ed attenuanti nel più favorevole giudizio di prevalenza delle attenuanti, il giudice di secondo grado deve espressamente e specificatamente motivare, emettendo quindi la relativa declaratoria, ove la richiesta venga accolta, ovvero limitarsi ad una pura e semplice formula di conferma nel dispositivo, ove la richiesta venga disattesa, sempre che nella parte motiva la richiesta stessa sia stata specificatamente presa in esame (nella fattispecie la suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata ritenendo che, in assenza di ogni declaratoria al riguardo, il riconoscimento del più favorevole giudizio di prevalenza delle attenuanti non potesse ritenersi implicito nel puro e semplice fatto della riduzione di pena operata dal giudice dell'appello per il reato più grave, ed aggravato, posto a base della continuazione: Sez. 1, n. 3468 del 20/02/1986 - dep. 08/05/1986, Calea, Rv. 172599).
6. L'accoglimento di tale motivo d'impugnazione comporterebbe l'annullamento dell'impugnata sentenza, con rinvio al giudice territoriale per nuovo esame. Deve, tuttavia, rilevarsi l'intervenuta estinzione per prescrizione del reato contestato, termine interamente decorso, in assenza di sospensioni (come attestato anche dal giudice di appello: v. pag. 2 dell'impugnata sentenza), alla data del 7/09/2013.
Ne consegue, pertanto, l'obbligo di questa Corte di disporre l'annullamento senza rinvio dell'impugnata sentenza, atteso che, in presenza di una causa di estinzione del reato, non sono rilevabili in sede di legittimità vizi di motivazione della sentenza impugnata in quanto il giudice del rinvio avrebbe comunque l'obbligo di procedere immediatamente alla declaratoria della causa estintiva (Sez. U, n. 35490 del 28/05/2009 - dep. 15/09/2009, Tettamanti, Rv. 244275, principio che - come precisato dalle Sezioni Unite - trova applicazione anche in presenza di una nullità di ordine generale).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato per essere il residuo reato estinto per prescrizione.
Così deciso in Roma, il 21 marzo 2014.
Depositato in Cancelleria il 16 maggio 2014
30-05-2014 21:15
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