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Sentenza

Guerra tra geometri. Calunnia. Accuse basate su elementi equivoci o su un sospetto temerario? Per la Cassazione e' insufficiente il dubbio a configurare il dolo, così come gli addebiti temerari.
Guerra tra geometri. Calunnia. Accuse basate su elementi equivoci o su un sospetto temerario? Per la Cassazione e' insufficiente il dubbio a configurare il dolo, così come gli addebiti temerari.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 26 marzo – 1 agosto 2014, n. 34173
Presidente Milo – Relatore Leo

Ritenuto in fatto

1. È impugnata la sentenza della Corte d'appello di L'Aquila, in data 30/11/2012, con la quale, in parziale conferma della sentenza di primo grado, L.D.L. è stato ritenuto responsabile del delitto di calunnia (art. 368 cod. pen.)
L'imputazione si connette alle affermazioni compiute da D.L., di professione geometra, in una perizia tecnica di parte da lui predisposta nell'ambito di un giudizio civile pertinente ai compensi professionali dovuti ad un altro geometra, tale T.D.L..
Questi aveva predisposto una parcella professionale per le prestazioni rese alla parte poi assistita dall'odierno ricorrente, e l'aveva fatta vistare dal presidente del locale Collegio dei geometri, tale R.S., al fine di ottenere, come poi era accaduto, un decreto ingiuntivo che imponesse il pagamento degli onorari. Nel giudizio conseguente all'opposizione, D.V. aveva affermato tra l'altro che S. aveva vistato la parcella senza neppure prendere visione degli elaborati tecnici concernenti le prestazioni di D.L., e che quest'ultimo aveva presentato un'autocertificazione contenente indicazioni mendaci a proposito delle suddette prestazioni. In entrambi i casi, l'odierno ricorrente aveva prospettato espressamente una responsabilità penale per falso degli interessati.
La motivazione del provvedimento impugnato esordisce con l'affermazione che le circostanze indicate nella relazione di D.L. sarebbero risultate «oggettivamente contrarie al vero», grazie alle testimonianze dibattimentali di D.L. e S., secondo cui l'autocertificazione del primo era stata veritiera e, comunque, vi era stato un diretto controllo del secondo sulla documentazione tecnica di supporto alla parcella.
La Corte territoriale esamina poi la questione dei dolo punibile, osservando come, affinché «possa escludersi la consapevolezza dell'innocenza del denunciato, occorre accertare che il denunciante abbia agito basandosi su circostanze di fatto non solo veritiere, ma la cui forza rappresentativa sia tale da indurre una persona di normale cultura e capacità di discernimento a ritenere la colpevolezza dell'accusato» (è citata, così, Sez. 6, Sentenza n. 3964 del 06/11/2009, De Bono, rv. 245849; è pure citata Sez. 6, Sentenza n. 26819 del 27/04/2012, Leoni, rv. 253106). Ritiene cioè la Corte territoriale che non escluda il dolo di calunnia un convincimento di colpevolezza dell'incolpato che si fondi su elementi equivoci o banali, o superficialmente enfatizzati, e dunque un atteggiamento di sospetto temerario o irragionevole.
Proprio questa sarebbe stata, in fatto, la situazione psicologica di D.L.. Premesso che l'uomo intendeva certamente accusare di un reato gli interessati, si assume che gli elementi di fatto posti alla base delle sue affermazioni «non furono oggetto di una effettiva ed attenta verifica preliminare o di una corretta rappresentazione». Le accuse erano state lanciate considerando che la parcella e l'allegata autocertificazione non contenevano riferimenti a documentazione allegata, e che anzi vi era un cenno al fatto che detta documentazione sarebbe stata conservata presso lo studio di D.L. per il tempo prescritto dalla normativa in materia. S'era trattato però - secondo la Corte territoriale - di una deduzione arbitraria, specie da parte del D.V., che era stato componente del Collegio dei geometri. Dunque, al momento delle accuse, l'odierno ricorrente si trovava «al più» «in una situazione di mero sospetto non approfonditamente verificato e, quindi, nell'ambito di un atteggiamento psicologico inidoneo a far ritenere la mancanza di consapevolezza dell'innocenza». Anzi - si prosegue - potrebbe ipotizzarsi che le affermazioni fossero state rese «nell'ottica, cosciente e consapevole, di maggiormente appoggiare» la parte che aveva richiesto la consulenza.
Conclude la Corte osservando che le affermazioni avevano avuto valenza diffamatoria (reato poi estinto per remissione delle querele), «perché rese nel suddetto contesto di mancata preventiva e rigorosa verifica delle premesse fattuali dalle quali sono state originate».
2. Con un motivo di ricorso basato sull'asserita violazione degli artt. 125, comma 3, 606, comma 1, lettere b) ed e) del codice di procedura penale, in relazione all'art. 368 cod. pen., il Difensore di D.L. deduce difetto di motivazione e violazione di legge in rapporto alla ritenuta sussistenza, nella specie, di un dolo punibile di calunnia.
La stessa Corte territoriale avrebbe accreditato il ricorrente d'una situazione di errore sulla responsabilità degli incolpati, sia pure dovuto a colpa, cioè a temerarietà e superficialità Tale situazione, secondo la giurisprudenza prevalente, che esclude addirittura il rilievo del dolo eventuale, avrebbe dovuto indurre di per sé una decisione di proscioglimento.
D'altra parte - prosegue il ricorrente - non sarebbe affatto vero che le deduzioni tratte da D.L. sarebbe state arbitrarie: l'autocertificazione di D.L. non avrebbe avuto senso in presenza dei documenti tecnici relativi alla parcella, e non avrebbe avuto senso l'indicazione del luogo di custodia dei documenti medesimi in un documento indirizzato solo al locale Collegio professionale. Una conferma della falsità dell'accusa lanciata dall'imputato sarebbe stata tratta dalle testimonianze delle persone offese, ovviamente interessate a negare una propria responsabilità, senza il vaglio rafforzato di attendibilità che la situazione avrebbe imposto, ed anzi senza alcuna notazione critica.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è fondato, dal che consegue la necessità di annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, relativamente all'unico capo di imputazione del quale ormai si discute nell'ambito dei presente procedimento.
2. La decisione della Corte territoriale muove dal presupposto dell'accertata falsità delle circostanze che l'odierno ricorrente aveva indicato nella relazione dalla quale è scaturita l'accusa di calunnia.
In particolare è definita «oggettivamente contraria al vero» l'affermazione che il visto di congruità della parcella predisposta da D.L. fosse stato apposto da S. senza il doveroso esame della documentazione tecnica pertinente al caso. Detta affermazione non è operata tanto in un'ottica di accertamento della falsità dell'accusa lanciata da D.L. (che può certamente considerarsi, almeno, sprovvista di prova), quanto al fine di stabilire se lo stesso D.L. potesse realmente credere vere le circostanze denunciate.
Anche in questa chiave, la Corte territoriale non è giunta alla propria conclusione secondo un corretto percorso di verifica ed argomentazione. Risulta infatti, dalla motivazione dei provvedimento impugnato, che il giudizio è dipeso da una valutazione di attendibilità, enunciata ma non adeguatamente giustificata, delle dichiarazioni rese nel dibattimento dai due soggetti coinvolti nella vicenda, cioè i citati D.L. e S..
Le Sezioni unite di questa Corte hanno certamente stabilito che le regole dettate dall'art. 192, comma terzo, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di responsabilità dell'imputato. Ma ciò deve avvenire previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca dei suo racconto. Una verifica che deve essere più penetrante e rigorosa rispetto a quella cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. E non basta, perché, quando la persona offesa (come nella specie) si sia costituita parte civile - e si profili quindi in astratto un suo interesse alla definizione del processo in senso sfavorevole all'imputato - può essere opportuno procedere al riscontro di tali dichiarazioni con altri elementi (Sez. U, Sentenza n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte, rv. 253214).
Nel caso in esame si registra un interesse particolarmente pregnante dei testimoni a negare il fondamento delle affermazioni difensive, poiché si tratta di persone che, confermando quelle affermazioni, avrebbero finito con l'accreditare una versione dei fatti per loro gravemente pregiudizievole, quanto meno sul piano della deontologia e della diligenza professionale. Nel contempo, D.L. aveva segnalato circostanze in effetti sintomatiche - non importa qui stabilire quanto - di una possibile deviazione del procedimento di controllo dal suo schema formale, ed anche questo dato avrebbe dovuto imporre l'adozione dei criterio di «verifica rafforzata» delle testimonianze, che nella specie non è stato seguito (o, almeno, non è stato rappresentato). La Corte territoriale, come già si è accennato, si è infatti limitata a riassumere le deposizioni e a dedurne la falsità delle indicazioni a suo tempo operate dall'imputato.
2. Ciò detto, viene meno il presupposto di pertinenza degli orientamenti giurisprudenziali cui la Corte territoriale si è ispirata, i quali si sono manifestati, in genere, riguardo a situazioni di conclamata falsità obiettiva dei fatti riferiti con la denuncia in ipotesi calunniosa (si veda ad esempio il caso più recente: Sez. 6, Sentenza n. 29117 del 15/06/2012, rv. 253254).
È vero, poi, che la giurisprudenza di legittimità ha talvolta ritenuto la sussistenza del dolo punibile in situazioni nelle quali un soggetto di media intelligenza, cultura e diligenza avrebbe ineluttabilmente percepito la falsità delle accuse lanciate nei confronti di un altro soggetto (a parte la sentenza appena citata, si veda Sez. 6, Sentenza n. 3964 del 06/11/2009, rv. 245849), per altro negando l'integrazione dei dolo nel caso, in certo senso simmetrico, nei quale «sospetti, congetture o supposizioni di illiceità dei fatto denunciato siano ragionevoli, ossia fondati su elementi di fatto tali da ingenerare dubbi condivisibili da parte del cittadino comune che si trovi nella medesima situazione di conoscenza» (Sez. 6, Sentenza n. 46205 del 06/11/2009, rv. 245541).
Occorre però, a parere del Collegio, anzitutto distinguere il piano della prova da quello concernente l'oggetto e la struttura del dolo punibile. Essendo notoriamente difficoltosa la ricostruzione degli atteggiamenti interiori, il giudice non può che rifarsi a regole di esperienza e ad argomenti di prova logica, in sostanza stabilendo se, in determinate condizioni (attinenti al fatto ed alla persona), sia credibile o non che la lesione del bene giuridico sia stata prodotta senza intenzione o inconsapevolmente. È chiaro che, a fronte di una denuncia obiettivamente falsa, ed in assenza di particolarità del caso o della persona (in punto di intelligenza, cultura, diligenza) che possano spiegare una percezione del fatto come vero, sarà lecito pervenire ad un giudizio di sussistenza dei dolo punibile. Ma si tratterà, appunto, di casi nei quali il giudice avrà stabilito che l'agente aveva accusato altra persona «sapendola innocente».
Altra questione però è quella dei soggetto che - in forza eventualmente di un atteggiamento imprudente o negligente, o addirittura temerario - abbia prospettato circostanze poi risultate non veritiere. Ed altro discorso ancora è quello del soggetto che abbia solo tratto inferenze, magari arbitrarie, da circostanze di fatto che alla fine, e di per sé, non risultino false.
3. La struttura del dolo, nel delitto di calunnia, è indiscutibilmente segnata dall'intenzionalità della lesione provocata dalla falsa denuncia («che egli sa innocente»).
Non a caso è ormai stabile l'indirizzo che esclude la sufficienza del dolo eventuale per l'integrazione dei reato sotto il profilo soggettivo (Sez. 6, Sentenza n. 16645 del 18/02/2009, rv. 243517; Sez. 6, Sentenza n. 2750 del 16/12/2008, rv. 242424; Sez. 6, Sentenza n. 34881 dei 07/03/2007, rv. 237675).
Dalla situazione di dubbio sul fondamento dell'accusa va distinta quella di soggettiva convinzione della colpevolezza, che però sia dovuta ad un errore, dovendosi poi ulteriormente distinguere tra errore dovuto ad imprudenza o negligenza, ed errore nel quale l'agente sia caduto in condizioni che avrebbero ragionevolmente indotto anche altri soggetti alla medesima rappresentazione.
Il dolo punibile chiaramente difetta nell'ultima delle situazioni descritte, ma va tendenzialmente escluso anche nella prima. Per regola generale, l'errore sul fatto che integra il reato comporta la responsabilità dell'agente solo quando il fatto stesso sia punito a titolo di colpa (comma 1 dell'art. 47 cod. pen.). Nel caso della calunnia il principio vale a maggior ragione, poiché il dolo tipico consiste nella consapevole presentazione di una denuncia contro persona positivamente percepita dall'agente come «innocente». Parte della giurisprudenza ha espressamente escluso la punibilità quando non «si ha intenzione di accusare una persona che si sa innocente, e ci si limita alla formulazione di addebiti temerari» (Sez. 6, Sentenza n. 16645 del 18/02/2009, rv. 243517; nello stesso senso, Sez. 6, Sentenza n. 2750/09 del 16/12/2008, rv. 242424; Sez. 3, Sentenza n. 163 del 31/01/1967, rv. 103711).
Certo, non si tratta di un orientamento univoco, poiché male si armonizza, almeno negli enunciati astratti, con la giurisprudenza citata in apertura, ed anche con ulteriori pronunce, nel cui ambito l'errore è stato considerato rilevante in quanto «ragionevole» (Sez. 6, Sentenza n. 6990 del 12/04/1995, rv. 201955), oppure frutto di atteggiamento «non temerario» (Sez. 6, Sentenza n. 6812 del 17/05/1985, rv. 170033), o ancora (e addirittura) residuato ad una previa verifica di attendibilità delle circostanze rappresentate con la denuncia (Sez. 6, Sentenza n. 26819 del 27/04/2012, rv. 253106).
Tuttavia occorre distinguere, a parere del Collegio, tra principi del diritto sostanziale, le deroghe ai quali non vengono adeguatamente giustificate, e regole dell'accertamento giudiziale, che ben possono fondarsi sulla inattendibilità di una condizione soggettiva che avrebbe potuto inverarsi solo per effetto di un atteggiamento imprudente, negligente o addirittura temerario (in questo senso, ad esempio, Sez. 6, Sentenza 17/12/1993, ric. Grandis).
In ogni caso - e per quanto diventi sensibilissima la tensione con il principio di irrilevanza del dolo eventuale - potrebbe al più sostenersi (così di fatto è avvenuto: Sentenza n. 26819/2012, citata anche dalla Corte territoriale) che un atteggiamento deliberato di somma imprudenza nella rappresentazione dei fatti coincida con la consapevolezza del carattere arbitrario dell'accusa lanciata. E tuttavia, ove fosse ammissibile, una logica siffatta potrebbe applicarsi alla prospettazione di fatti storicamente non avvenuti, e non alla enunciazione di inferenze tratte da circostanze di fatto correttamente rappresentate al giudice. La distinzione è enunciata dalla stessa giurisprudenza evocata nel provvedimento impugnato: «se l'erroneo convincimento sulla colpevolezza dell'accusato riguarda fatti storici concreti, suscettibili di verifica o, comunque, di una corretta rappresentazione nella denuncia, l'omissione di tale verifica o rappresentazione viene a connotare effettivamente in senso doloso la formulazione di un'accusa espressa in termini perentori. Di contro, solo quando l'erroneo convincimento riguardi i profili valutativi della condotta oggetto di accusa, in sé non descritta in termini difformi dalla realtà, l'attribuzione dell'illiceità potrebbe apparire dominata da una pregnante inferenza soggettiva, come tale inidonea, nella misura in cui non risulti fraudolenta o consapevolmente forzata, ad integrare il dolo tipico del delitto di calunnia. Ne discende che l'ingiustificata attribuzione come vero di un fatto dei quale non si è accertata la realtà presuppone la certezza della sua non attribuibilità sic et simpliciter all'incolpato».
4. Nel caso di specie, come si è visto, la Corte territoriale non ha dimostrato secondo un corretto percorso motivazionale la falsità delle circostanze a suo tempo indicate da D.L.. D'altra parte - e risolutivamente - la medesima Corte ha recepito una data ricostruzione del fatto nei suoi profili soggettivi, ed in base a tale ricostruzione ha deliberato la condanna dell'odierno ricorrente, facendo però applicazione di un erroneo principio di diritto.
Avuto riguardo alle prerogative del Giudice di merito, e dunque assumendo per la decisione proprio la relativa prospettazione in fatto, questa Corte non può che annullare la sentenza impugnata.
La Corte territoriale ha infatti stabilito che D.L. non disponeva di elementi che gli consentissero «ragionevolmente» di affermare la colpevolezza degli accusati, che il ricorrente (al più) si «trovava in una situazione di mero sospetto non approfonditamente verificato, e, quindi, nell'ambito di un atteggiamento psicologico inidoneo a far ritenere la mancanza di consapevolezza della innocenza». Non si fa quindi questione di prova (almeno, non risolutivamente) in ordine all'atteggiamento della volontà dell'imputato, ma si afferma che quest'ultimo sarebbe punibile sebbene convinto, per effetto di un atteggiamento temerario, della colpevolezza degli accusati, e ciò in quanto li saprebbe «innocenti» nel senso indicato dalla giurisprudenza già richiamata.
Ora, in termini di principio, la presa di posizione della Corte territoriale eccede la stessa giurisprudenza cui è ispirata, perché finisce con l'affermare che sussisterebbe il dolo di calunnia ogni qual volta, e sia pure per effetto di leggerezza, non consti all'agente la colpevolezza dell'accusato («inidoneo a far ritenere la mancanza di consapevolezza della innocenza»). La regola è evidentemente opposta, dovendo semmai constare all'agente l'innocenza della persona offesa.
In ogni caso, e come si è visto, nella stessa ricostruzione dei Giudici di merito D.V. si sarebbe limitato a fare affermazioni imprudenti a partire da circostanze rappresentate al giudice (cioè ad affermare, per esempio, che la mancata citazione di allegati nella richiesta di visto provasse che il Collegio dei geometri non avesse controllato i documenti tecnici).
Il dolo di calunnia non può consistere, in nessun caso, nella (ipotetica) consapevolezza della opinabilità di una inferenza rappresentata all'Autorità giudiziaria.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata in relazione al capo a), perché il fatto non costituisce reato.
Avv. Antonino Sugamele

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