Giornalista del quotidiano ‘La Voce di Romagna’ pubblica la notizia secondo la quale due militari avrebbero perpetrato un «furto in danno di un collega», scrivendo una cosa non vera, ossia che «gran parte della refurtiva era stata trovata in loro possesso». Condannato per diffamazione. No al carcere.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 11 dicembre 2013 – 13 marzo 2014, n. 12203
Presidente Marasca – Relatore Lapalorcia
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 21-1-2013, la Corte d'Appello di Brescia, in parziale riforma di quella del Tribunale di Cremona 18-11-2010 (in quanto era ridimensionato il trattamento sanzionatorio e ridotta l'entità del risarcimento dei danno), riconosceva N.S., autore di un articolo pubblicato sul quotidiano La Voce di Romagna in data 11-3-2006, responsabile di diffamazione a mezzo stampa in danno dei militari C.C. e F.M.E., e F.F., direttore responsabile del quotidiano, responsabile del reato di cui all'art. 57, in relazione all'art. 595 cod. pen..
2. Secondo la prospettazione accusatoria, condivisa in sentenza - che escludeva l'esercizio dei diritto di cronaca -, l'articolo era offensivo della reputazione dei due militari in quanto attribuiva a costoro il furto in danno di un collega affermando - contrariamente al vero - che gran parte della refurtiva era stata trovata in loro possesso e recuperata, mentre era vero soltanto che una perquisizione nei loro confronti aveva dato esito positivo nel senso del rinvenimento nei loro armadietti di materiale di interesse per le indagini, poi non riconosciuto dal derubato.
3. Ricorrono gli imputati con unico atto, articolato in tre motivi, a firma del difensore avv. F.F.
4. Con il primo si deducono violazione di legge, anche in relazione all'art. 21 Cost. e all'art. 10 CEDU, e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell'esimente per ritenuta non veridicità della notizia, tra l'altro con motivazione contraddittoria in quanto, premessa la qualità di indagati delle pp.oo. e l'esito positivo della perquisizione, si era poi concluso per l'insussistenza dei fumus commissi de/icti nei confronti dei due militari, senza considerare la veridicità dei nucleo centrale della notizia, solo riportata con particolari imprecisi e superflui, comunque inidonei a modificare il senso della notizia stessa.
5. Con il secondo motivo si deducevano inosservanza ed erronea applicazione dell'art. 59, comma quarto, cod. pen. in quanto, essendo pacifica, al tempo dell'articolo, la qualifica di indagati dei militari pp.oo. ed essendo altamente privilegiata la fonte della notizia dell'esito positivo della perquisizione, l'esimente avrebbe dovuto essere riconosciuta almeno a livello putativo.
6. Le censure di violazione di legge e vizio di motivazione di cui al terzo motivo investono il trattamento sanzionatorio (mesi sei di reclusione), motivato in sentenza con la grave portata diffamatoria dell'articolo e con la mancata pubblicazione di notizie circa l'esito dei procedimento, a fronte invece dei modesto disvalore del fatto posto in essere nel ragionevole convincimento di esercitare il diritto di cronaca.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato limitatamente al terzo motivo inerente al trattamento sanzionatorio, essendo per il resto da disattendere.
2. Ad escludere la ricorrenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di cronaca, la corte territoriale ha ben evidenziato il carattere non veridico della notizia pubblicata, che in sostanza dipingeva i due militari pp.oo. come ladri trovati in possesso della refurtiva, mentre costoro erano, all'epoca, soltanto indagati, e una perquisizione nei loro confronti aveva dato esito positivo solo nel senso che gli oggetti trovati erano apparsi di interesse investigativo per la loro possibile corrispondenza a quelli sottratti ad un commilitone, il quale non li aveva riconosciuti.
3. A fronte di ciò è infondato l'assunto dei ricorrenti che postula la veridicità dei nucleo centrale della notizia, accompagnato da particolari imprecisi, e comunque superflui, inidonei a modificare il senso della notizia stessa. Infatti, premesso che la cronaca giudiziaria, per la particolare delicatezza della materia idonea ad incidere profondamente sull'immagine delle persone, esige un controllo particolarmente accurato e rigoroso dell'informazione e della sua fonte soprattutto in caso di indagini in corso preordinate all'accertamento della verità, pena lo svolgimento da parte del giornalista di una funzione investigativa e valutativa rimessa all'esclusiva competenza dell'autorità giudiziaria, va sottolineato che nella specie il nucleo centrale della notizia pubblicata non era costituito, a differenza da quanto si mostra di ritenere nel gravame, dal fatto, vero, che C. ed E. erano indagati, bensì dalla circostanza, falsa, che costoro erano i ladri smascherati dal possesso della refurtiva.
4. Si tratta quindi di notizia falsa accompagnata da dettagli veri, non già di notizia vera accompagnata da particolari falsi, marginali e comunque superflui.
5. Non ha maggior fondamento il secondo motivo finalizzato al riconoscimento dell'esimente putativa, la cui ricorrenza non può essere affermata in ragione del presunto elevato livello di attendibilità della fonte se il giornalista non ha provveduto a sottoporre al dovuto controllo la notizia poi rivelatasi non vera (Cass. 23695/2010), offrendo la prova non solo di aver provveduto a verificare i fatti narrati, ma altresì della cura posta negli accertamenti svolti per stabilire la veridicità degli stessi (Cass. 27106/2010).
6. Nella specie da un lato non è addirittura chiaro quale sarebbe la fonte 'altamente privilegiata' della notizia circa l'esito della perquisizione, tale da rendere plausibile la veridicità della stessa, non risultando che tale fonte sia da individuare nel maresciallo dei carabinieri che l'aveva eseguita, dall'altro, e comunque, ad ammettere che la notizia provenisse dal predetto maresciallo, essa riguardava il ritrovamento di oggetti 'di spunto' all'attività di indagine, non già il rinvenimento della refurtiva, il che non autorizzava il giornalista a qualificare ladri le pp.oo., non essendo tale conclusione ragionevolmente collegabile alla positività (nel senso di cui sopra) dell'esito della perquisizione.
7. Quanto al terzo motivo, si osserva che l'irrogazione della pena detentiva in luogo di quella pecuniaria, pur a seguito del riconoscimento di attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti, non sembra rispondere alla ratio della previsione normativa che, nel prevedere l'alternatività delle due sanzioni, palesemente riserva quella più afflittiva alle ipotesi di diffamazione connotate da più spiccata gravità.
8. Nella specie non è ravvisabile tale gravità avendo la stessa corte bresciana, che ha tra l'altro ridotto congruamente la misura del risarcimento liquidato in primo grado, dato atto di una serie di elementi favorevoli agli imputati, quali la cautela usata nell'individuare i militari con le sole iniziali, così evitando di dare in pasto ai lettori il loro nome completo e consentendone l'identificazione da parte soltanto di un ristretto gruppo di persone; la diffusione esclusivamente locale del quotidiano; l'incensuratezza di S. Senza contare che la circostanza che i militari fossero effettivamente indagati e che l'esito della perquisizione fosse stato comunque dato per positivo, sono elementi valorizzabili ai fini del giudizio sull'entità del fatto, anche se insufficienti, per quanto sopra, a configurare l'esimente, anche putativa.
9. Né convince l'assunto della corte territoriale che raccorda il giudizio di gravità del fatto alla mancata pubblicazione della notizia dell'archiviazione, post factum inidoneo a riverberare i propri effetti sulla valutazione dell'entità del fatto, e alla personalità degli offesi (militari di carriera con ruolo di difesa e rappresentanza delle istituzioni) nonché al conseguente verosimile isolamento degli stessi nel loro ambiente, essendo plausibile che anche la notizia dell'archiviazione del procedimento non avesse mancato di diffondersi nel medesimo ambiente.
10. Neppure va trascurato, a contrastare l'applicabilità al caso di specie della pena detentiva, l'orientamento della Corte EDU che, ai fini del rispetto dell'art. 10 della Convenzione relativo alla libertà di espressione, esige la ricorrenza di circostanze eccezionali per l'irrogazione, in caso di diffamazione a mezzo stampa, della più severa sanzione, sia pure condizionalmente sospesa, sul rilievo che, altrimenti, non sarebbe assicurato il ruolo di 'cane da guardia' dei giornalisti, il cui compito è di comunicare informazioni su questioni di interesse generale e conseguentemente di assicurare il diritto del pubblico di riceverle (sentenza 24-9-2013 Belpietro contro Italia).
11. Del resto la libertà di espressione costituisce un valore garantito anche nell'ordinamento interno attraverso la tutela costituzionale del diritto/dovere d'informazione cui si correla quello all'informazione (art. 21 Cost.), diritti i quali, ad avviso del collegio, impongono, anche laddove siano valicati i limiti di quello di cronaca e/o di critica, di tener conto, nella valutazione della condotta del giornalista, della insostituibile funzione informativa esercitata dalla categoria di appartenenza, tra l'altro attualmente oggetto di gravi ed ingiustificati attacchi da parte anche di movimenti politici proprio al fine di limitare tale funzione.
12. Senza contare che, de iure condendo, anche il legislatore ordinario italiano è orientato al ridimensionamento del profilo punitivo del reato di diffamazione a mezzo stampa.
13. La sentenza merita pertanto annullamento limitatamente - con rigetto nel resto del ricorso comune ai due imputati e passaggio in giudicato dell'affermazione di responsabilità - alla scelta del trattamento sanzionatorio, con rinvio, per nuovo esame al riguardo, ad altra sezione del giudice a quo che terrà conto delle indicazioni di cui sopra.
14. La circostanza che l'annullamento attenga a profilo estraneo agli interessi civili, comporta la condanna solidale dei ricorrenti alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile C., che ha partecipato all'udienza odierna, liquidate in dispositivo in base ai criteri per la liquidazione dei compensi ai professionisti dettati con il decreto ministeriale del 20 luglio 2012 n. 140.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio con rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte di Appello di Brescia. Rigetta nel resto il ricorso. Condanna i ricorrenti in solido al rimborso delle spese sostenute dalla parte civile C.C., spese che liquida in complessivi € 1500, oltre accessori come per legge.
16-03-2014 08:08
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