Giornalista condannato per diffamazione perchè indica erroneamente una persona colpevole del reato di usura, mentre la sentenza era stata emessa a carico di altre persone.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 10 gennaio – 17 aprile 2014, n. 17039
Presidente Lombardi – Relatore Bevere
Fatto e diritto
Con sentenza 3.10.2012, la corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza 23.2.2010 del tribunale di Cosenza , con la quale V.P., autore di un articolo pubblicato il 5.10.06 sul quotidiano "La Provincia Cosentina", e M.P. direttore responsabile del periodico, sono stati condannati previa concessione delle attenuanti generiche, rispettivamente alla pena di € 600 e di € 400 di multa, nonché al risarcimento dei danni in favore della parte civile,perché ritenuti colpevoli del reato di diffamazione, ex art. 595 c.p., e di omesso controllo, ex art. 57 c.p., in danno di N.A., indicato come colpevole del reato di usura a seguito di sentenza di condanna pronunciata nei confronti di altre persone.
La corte ha ribadito che l'elemento soggettivo del contestato reato di diffamazione non è qualificabile come colposo, a seguito di mero errore materiale, contenuto nell'articolo, dell'indicazione del N. tra le persone condannate La sentenza del giudice di appello ha anche affermato che non è configurabile l'esimente putativa dell'esercizio del diritto di cronaca, in quanto non è risultato che l'autore dell'articolo abbia avuto conoscenza della notizia in circostanze legittimanti la tesi difensiva né che il V. abbia esaminato e controllato adeguatamente l'affidabilità della sua fonte.
Il difensore di V. ha presentato ricorso per i seguenti motivi:
1. vizio di motivazione : la buona fede del giornalista e la scusabilità dell'errore sono state escluse con argomentazioni carenti, contraddittorie e manifestamente illogiche. La condotta dell'imputato è ineccepibile poiché apprendeva la notizia direttamente in udienza alla lettura della sentenza, unitamente ad altri giornalisti e agli avvocati, che furono interpellati a conferma di quanto sentito.
La prova della buona fede emerge dalla circostanza che nell'articolo è indicato il nome di N.A., senza alcun riferimento alla persona e all'attività svolta. Risulta chiaro che si è trattato di un mero refuso materiale, privo di dolo.
Secondo il ricorrente, non ha alcun rilievo la mancata rettifica dell'erronea indicazione del querelante tra i soggetti condannati per usura, in quanto la richiesta è stata indirizzata alla sede della società editrice e non alla sede della redazione; inoltre è stata sottoposta all'attenzione del direttore del periodico e non all'attenzione del V., che così non è stato posto nella condizione di porre rimedio all'errore di puro carattere materiale.
Il ricorso non merita accoglimento.
I giudici di merito hanno posto in evidenza come l'esclusione dell'esimente dell'esercizio putativo del diritto di cronaca sia stata fondata proprio sulle circostanze di fatto riferite dal V. in relazione alle modalità di conoscenza dell'errata notizia sulla condanna del querelante. Lo stesso imputato ha affermato
- di aver assistito alla lettura del dispositivo,
- di non essere riuscito, a causa della confusione, a prendere nota dei nomi dei condannati che avevano lo stesso cognome,
- di essersi rivolto a un collega di altro quotidiano locale e a non identificati legali presenti in
aula allo scopo di avere conferma di quanto sentito e annotato.
Va a questo punto ribadito il razionale orientamento interpretativo secondo cui l'esimente putativa del diritto di cronaca giudiziaria può essere invocata, in caso di affidamento del giornalista su quanto riferito dalle sue fonti informative, non solo se abbia provveduto comunque a verificare i fatti da queste narrati, ma sia in grado di dimostrare di aver svolto, con adeguata cura, gli accertamenti razionalmente necessari per stabilire la veridicità dell'informazione diffusa.
Nel caso in esame, l'imputato ha offerto un quadro storico del proprio comportamento assolutamente incompatibile con la cura, la serietà, il rispetto dell'altrui reputazione che devono caratterizzare il controllo legittimante il riconoscimento dell'esimente putativa: non è stato in grado di indicare i nominativi degli avvocati(fonti qualificate),che lo avrebbero indotto in errore sul preciso nominativo di uno dei soggetti condannati.
Il livello approssimativo di questo controllo e l'assoluta indimostrabilità della sua sussistenza emergenti proprio dalle affermazioni del V. - inevitabilmente conducono a concludere con la piena ed inalterata configurazione, nella sua condotta dell'elemento psicologico del reato di diffamazione (dolo generico), consistente nella consapevolezza di pronunziare o di scrivere una frase lesiva dell'altrui reputazione e nella volontà che la frase denigratoria venga a conoscenza di più persone. Va inoltre rilevato che l'imputato non solo non è stato in grado di dar prova di aver svolto, con adeguata cura, gli accertamenti razionalmente necessari per stabilire la veridicità dell'informazione diffusa, ma ha dato, a diffamazione ormai realizzata , ulteriore dimostrazione della sua scarsa professionalità e della sua irresponsabile persistenza nella condotta lesiva del fondamentale bene dell'altrui reputazione.
I giudici di merito hanno infatti dato rilievo al fatto che un quotidiano locale, preso atto dell'erronea indicazione del N.A. come persona condannata per usura, aveva provveduto a pubblicare rettifica della falsa notizia, senza che il V. abbia preso alcuna iniziativa in proposito, mantenendo ferma la carica diffamatoria dell'informazione da lui diffusa ed addossando ad altri questa ulteriore condotta omissiva.
Il ricorso va quindi rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
20-04-2014 00:10
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