Furto di energia elettrica. La Cassazione annulla una condanna perche' in mancanza di rottura di sigillo non puo' essere contestato il furto.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 22 aprile – 25 settembre 2014, n. 39809
Presidente Bruno – Relatore Pezzullo
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 15.12.2011 il Tribunale di Trapani, in composizione monocratica, assolveva ai sensi dell'art. 530, secondo comma, c.p.p. C.G. per non aver commesso il fatto dal reato ascrittogli di cui agli artt. 624, 625 n. 2 e 7 c.p., per essersi impossessato - mediante la rottura del sigillo coprimorsetti presente sul limitatore di potenza dell'energia elettrica relativo all'utenza pertinente l'immobile in (omissis) ed ivi apposto a seguito del mancato pagamento di fatture - di svariati Kwh di energia elettrica.
2. La Corte di Appello di Palermo, su appello del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani, con sentenza in data 18.1.2013, riformava la sentenza di primo grado, dichiarando C.G. colpevole del reato ascrittogli e concesse le generiche equivalenti alle contestate aggravanti lo condannava alla pena di mesi sei di reclusione ed Euro 400,00 di multa.
3. Avverso tale sentenza il C. , a mezzo del suo difensore, ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi, con i quali lamenta:
- con il primo motivo, l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale, ai sensi dell'art. 606 lett. c) c.p.p., in relazione agli artt. 624 e 625 c.p., atteso che nella fattispecie in esame non ricorre il reato di furto aggravato oggetto di contestazione e, comunque, le risultanze processuali non hanno consentito di acclarare chi sia stato l'abusivo utilizzatore. In particolare, ha evidenziato il ricorrente, che, in data 14 gennaio 2009, l'Enel procedeva ad interrompere la fornitura di energia elettrica all'utenza abbinata al contatore n. (omissis) , sito in (omissis) , a seguito di richiesta di cessazione del contratto di fornitura intestato al ricorrente; che il contatore in oggetto, ubicato sul muro esterno del capannone occupato dal ricorrente dal 2008, era di nuovo tipo, ossia elettronico, e, quindi, al momento della cessazione non veniva apposto alcun sigillo da parte del personale Enel, come confermato dall'operatore G. , che effettuava accesso sui luoghi in data 03/03/10 e confermava che sul contatore precedentemente in uso al C. non vi era stata alcuna applicazione di sigilli e che, per motivi a lui ignoti, non vi era stata l'interruzione coatta della fornitura di energia da parte dell'Enel; che in data 03/03/2010 il personale Enel, a seguito di una richiesta di subentro nell'utenza da parte della Plustend di Scarcella & Valenti s.n.c., accertava che il contatore in parola, mai comunque cessato coattivamente dall'Enel, dava una nuova lettura con un consumo di ulteriori 13.556 KHW, con conseguente mancato pagamento della somma di Euro 3.151,86; che sui luoghi non veniva reperito, né il ricorrente, né personale a lui riconducibile ed il capannone come detto era chiuso; che come confermato dal teste S. , già nel 2010 la società Plustend svolgeva la propria attività lavorativa all'interno del capannone, già in uso al ricorrente, che per tale ragione richiedeva la cessazione dell'utenza nel settembre del 2008, senza più utilizzare il capannone, se non per asportare oggetti di sua proprietà;
- quale secondo motivo, l'inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi ex art. 606, primo comma, lettera b) c.p.p. in relazione all'art. 62 bis c.p., atteso che la Corte ha ritenuto l'imputato meritevole della concessione delle attenuanti generiche, considerandole equivalenti rispetto alle aggravanti, laddove comunque, nella fattispecie non è ravvisabile un furto aggravato, sicché nel caso anche nel caso in cui si dovesse ritenere sussistente la responsabilità dell'imputato, le attenuanti ex art. 62bis c.p. devono comportare una riduzione fino ad 1/3 della pena irrogata.
Considerato in diritto
Il primo motivo di ricorso è fondato.
1. Dalla dinamica dei fatti per come descritta dalle sentenze di merito non emerge la ricorrenza dell'elemento soggettivo del reato di furto aggravato contestato all'imputato. Va premesso che il delitto di furto è connotato, dal punto di vista dell'elemento soggettivo, dal dolo specifico, costituito, come noto, da una specifica finalità che l'agente mira a perseguire (prevista dalla norma incriminatrice), che, tuttavia, non necessita si debba realizzare sul piano oggettivo per perfezionare il reato (Sez. II, n. 40631 del 09/10/2012); ne consegue che per configurare il delitto di cui all'art. 624 c.p. è necessario che la condotta sia posta in essere "al fine di trame profitto", ma non è indispensabile che il profitto si sia concretamente realizzato sul piano oggettivo. Il profitto avuto di mira dall'agente, poi, può consistere in una qualsiasi utilità o vantaggio, anche di natura non patrimoniale (Sez. II n. 40631 del 09/10/2012), laddove secondo un orientamento interpretativo minoritario, un'eccessiva dilatazione della nozione di profitto, ricomprendente qualsiasi utilità, porterebbe ad un'eccessiva estensione dell'operatività della norma, vanificando la presenza del dolo specifico e svilendola ad una connotazione priva di una vera valenza limitativa della punibilità.
2. Nel caso di specie, risulta dalla sentenza impugnata che l'imputato chiedeva la disdetta del contratto di fornitura di energia elettrica che formalmente avveniva in data 14.1.2009, senza tuttavia che l'erogazione venisse bloccata con sigilli od altri meccanismi (cfr. dichiarazioni del verificatore riportate in sentenza), contrariamente a quanto riportato in imputazione, per cui l'erogazione di energia continuava regolarmente senza subire alcuna interruzione. L'imputato in tale contesto ha ammesso di aver saltuariamente continuato ad usufruire del capannone servito dal contatore oggetto di giudizio.
Orbene, l'aver la società fornitrice dell'energia elettrica continuato di fatto ad erogare il servizio, pur a fronte della disdetta del cliente è comportamento questo che risulta contraddittorio rispetto al verbale di interruzione e di fatto non è indicativo di una reale intenzione da parte dell'azienda di cessare effettivamente il rapporto contrattuale, non avendo all'uopo adottato alcun accorgimento per disattivare la linea elettrica a servizio del capannone. Tale comportamento si è tradotto, dunque, in una mancata ottemperanza alla richiesta di disdetta, non essendo stato operato il materiale distacco e non essendo all'uopo sufficiente la redazione del verbale di cessazione del rapporto, rapporto che, invece, si caratterizza per la continuità del servizio elettrico e che cessa solo con la materiale interruzione della fornitura.
Dai versante del fruitore del servizio e quindi del C. il comportamento dell'Enel può aver senz'altro indotto il ricorrente a ritenere il tacito, o presunto, consenso del fornitore alla protrazione dell'utilizzo del servizio di energia elettrica, con conseguente insussistenza dell'elemento psicologico della volontà di impossessarsi della cosa altrui, agendo contro o senza la volontà del titolare, caratterizzante il delitto di furto, e con la conseguente riconducibilità del fatto in ambito civilistico.
3. La sentenza impugnata va dunque annullata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
P.Q.M.
annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.
26-09-2014 22:12
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