Durante una partita del campionato di Terza categoria un calciatore colpisce al volto, con una gomitata, un componente della squadra avversaria. Per l'arbitro la gomitata fu volontaria. Condannato l'autore del gesto violento per lesioni.
Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 4 settembre – 22 ottobre 2014, n. 44014
Presidente Bianchi – Relatore Lignola
Ritenuto di fatto
1. P.E. ricorre in Cassazione, con atto del difensore, avv. M.G., avverso la sentenza, indicata in epigrafe, della Corte d'appello di Messina che ha confermato la sentenza di condanna emessa nei suoi confronti il 21 settembre 2010 dal Tribunale di Patti, in ordine al reato di lesioni personali lievi in danno di S. G., inferte mediante una gomitata al volto, durante una partita di calcio valevole per il campionato di terza categoria.
In particolare la Corte territoriale ha confermato l'affermazione di responsabilità valorizzando le dichiarazioni del direttore di gara, l'arbitro S., che ha descritto la dinamica dell'episodio riferendo che il colpo fu inferto mentre l'azione di gioco era in corso, ma i due calciatori si trovavano dall'altra parte del campo, lontano dal pallone.
2. Con un unico motivo si denuncia vizio di motivazione, in relazione alle dichiarazioni della persona offesa e di una serie di testi (vengono richiamate le deposizioni di D., P. e S.) indicati nei motivi di appello, in base alle quali l'episodio era riconducibile ad un normale contrasto di gioco, con conseguente esclusione dell'elemento soggettivo dei reato contestato; la decisione impugnata si limita a registrare una prova complessivamente contraddittoria, rispetto alla quale viene valorizzato, quale elemento decisivo, l'esame del teste S., in tal modo incorrendo in un vizio di motivazione, sotto il profilo della mancanza e della illogicità, nella parte in cui si riconosce valenza decisiva alla ricostruzione dell'arbitro, senza dare risposte alle censure riguardanti il suo posizionamento ed il ridotto campo di osservazione, bensì solo in considerazione della sua competenza, esperienza ed imparzialità; ulteriore carenza motivazionale è indicata rispetto alle ragioni per cui le altre testimonianze sarebbero inattendibili.
Considerato in diritto
1. II ricorso è inammissibile.
1.1 Costituisce principio consolidato quello secondo cui non può formare oggetto di ricorso l'indagine sull'attendibilità dei testimoni, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione adottata dal giudice di merito, che, nella fattispecie, appare coerente e logica (Sez. 2, n. 20806 dei 05/05/2011, Tosto, Rv. 250362); infatti il giudizio sulla rilevanza ed attendibilità delle fonti di prova è devoluto insindacabilmente ai giudici di merito e la scelta che essi compiono, per giungere al proprio libero convincimento, con riguardo alla prevalenza accordata a taluni elementi probatori, piuttosto che ad altri, ovvero alla fondatezza od attendibilità degli assunti difensivi, quando non sia fatta con affermazioni apodittiche o illogiche, si sottrae al controllo di legittimità della Corte Suprema.
1.2 La Corte territoriale ha confermato la valutazione di totale inattendibilità - al limite della falsa testimonianza - dei testi indicati dall'una e dall'altra parte, tutti compagni di gioco o dirigenti delle rispettive squadre, che hanno riferito a seconda della propria appartenenza ed in maniera confusa, contraddittoria ed imprecisa.
1.3 Ha viceversa ritenuto decisiva la versione offerta dall'arbitro S., soggetto terzo per definizione, della cui imparzialità peraltro non dubitava neppure l'appellante, fornendo una specifica risposta alle deduzioni difensive riguardanti la sua ridotta visuale di gioco. Nella sentenza si osserva infatti che un arbitro, proprio per la sua preparazione ed esperienza specifica, di norma riesce a tenere sotto controllo senza particolari difficoltà quanto avviene sull'intero campo di gioco e che il direttore di gara, in conseguenza del gesto, provvide ad espellere l'imputato per condotta antisportiva; P. fu poi squalificato per tre giornate di gara. Peraltro, completando sul punto, la decisione impugnata chiarisce che l'imputato si trovava soltanto a 5 m dall'arbitro e che questi ha riferito di aver assistito ad una gomitata al setto nasale data "volontariamente", particolare che egli non aveva alcun motivo di riferire se non fosse stata effettivamente notato.
2. In presenza di tale congrua e logica motivazione sulle ragioni che hanno indotto la Corte a ritenere attendibile la versione dello S., il ricorso va dichiarato inammissibile, con le conseguenze di cui all'art. 616 cod. proc. pen., ivi compresa, in assenza di elementi che valgano ad escludere ogni profilo di colpa, l'applicazione della prescritta sanzione pecuniaria, il cui importo stimasi equo fissare in euro mille.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della cassa delle ammende.
22-10-2014 23:22
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