Diffamazione mediante l'invio di uno scritto a più destinatari con l'uso della posta elettronica.
Cass. pen. Sez. V, Sent., (ud. 06/03/2013) 19-04-2013, n. 17986
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUINTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FERRUA Giuliana - Presidente -
Dott. DE BERARDINIS Silvana - Consigliere -
Dott. FUMO Maurizio - Consigliere -
Dott. DE MARZO Giuseppe - Consigliere -
Dott. LIGNOLA F. - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
B.G. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 31/2011 TRIBUNALE di BELLUNO, del 06/02/2012;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
udita in PUBBLICA UDIENZA del 06/03/2013 la relazione fatta dal Consigliere Dott. FERDINANDO LIGNOLA;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. ANIELLO Roberto che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1, Con la decisione impugnata il Tribunale di Belluno ha confermato la sentenza del giudice di pace di Feltre del 13 aprile 2011, con la quale B.G. era condannato alla pena di Euro 1500,00 di multa per il reato di diffamazione in danno di F.M. S. mediante l'invio di uno scritto a più destinatari con l'uso della posta elettronica.
2. Contro la sentenza propone ricorso per cassazione l'imputato, con atto del proprio difensore, recante sei motivi di impugnazione:
1) violazione dell'art. 606 c.p.p. , lett. C, per inosservanza delle norme processuali stabilite a pena di inutilizzabilità di cui agli artt. 191 e 526 c.p.p. , con riferimento all'atto di denuncia querela, impropriamente utilizzata dal giudice di primo grado ai fini della decisione quale elemento di riscontro alle dichiarazioni dibattimentali rese dalla parte civile;
2) violazione dell'art. 606 c.p.p. , lett. B, in relazione all'art. 192 c.p.p. , comma 1, con riferimento alla valutazione delle risultanze testimoniali sul requisito della comunicazione con più persone previsto dall'art. 595 c.p. , nonchè violazione dell'art. 606, lett. E, in relazione alla mancata pronuncia sulla presenza della persona offesa. Secondo il ricorrente la comunicazione era diretta e poteva essere vista per prima dalla dott.ssa F., parte civile costituita e responsabile dello sportello unico per l'edilizia del Comune di Pedavena e solamente alla Sovrintendenza per i beni architettonici del Veneto orientale; di conseguenza non potrebbe essere addebitata all'imputato la diffusione della comunicazione ad ulteriori soggetti, dovuta esclusivamente all'iniziativa della parte civile. In definitiva non sussisterebbe l'elemento della comunicazione con più persone, distinte dalla persona offesa, richiesto dall'art. 595 c.p.. La comunicazione incriminata, inoltre, era indirizzata allo sportello unico per l'edilizia in forma riservata al suo responsabile e non invece, impersonalmente, al comune di Pedavena. In concreto, poi, l'offesa a mezzo e-mail sarebbe stata letta per prima dalla parte civile, sicchè mancherebbe anche in punto di fatto l'elemento richiesto dalla norma incriminatrice.
3) violazione dell'art. 606, lett. E, per mancanza di motivazione in ordine alla sussistenza dell'elemento soggettivo del reato contestato, essendo l'iniziativa dell'imputato dovuta ad un semplice "sfogo" e non ad un intento diffamatorio, anche in considerazione di quanto già esposto in relazione ai destinatari della comunicazione.
4) violazione dell'art. 606 c.p.p. , lett. E, per mancanza di motivazione in ordine alla quantificazione della pena ed alla richiesta di concessione delle attenuanti generiche, essendosi limitato il giudice di primo grado a richiamare genericamente le modalità del fatto e le condizioni soggettive delle parti interessate ed avendo il giudice di appello omesso di pronunciarsi sulla richiesta delle attenuanti generiche.
5) violazione dell'art. 606 c.p.p. , lett. E, per mancanza di motivazione in ordine all'entità del danno riconosciuto alla parte civile ed alla rifusione delle spese legali.
6) violazione dell'art. 606 c.p.p. , lett. E, per mancanza di motivazione in ordine alla richiesta dell'imputato di avvalersi dell'exceptio veritatis formulata nell'atto di appello a pagina 11 e consentita dall'art. 596 c.p..
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato e di conseguenza va rigettato.
1.1 Il primo motivo, relativo all'utilizzo da parte del giudice di pace del contenuto della querela ai fini della decisione è manifestamente infondato.
Sul punto la sentenza di appello osserva che il mero richiamo dell'atto ("confermando integralmente il contenuto della denunzia- querela") nell'ambito di una più ampia motivazione non comporta utilizzo illegittimo della stessa. Ed in effetti la decisione di primo grado riporta ampi stralci delle deposizioni testimoniali ed in particolare della persona offesa, ritenendola "credibile, coerente ed attendibile", sicchè il riferimento all'atto investigativo rappresenta un mero richiamo di stile, che non comporta violazione dell'art. 526 c.p.p..
2. Il secondo motivo, relativo alla sussistenza dell'elemento oggettivo del delitto di diffamazione, sotto il profilo della comunicazione con più persone e della presenza della persona offesa, è infondato.
2.1 Quanto al primo aspetto, il reato di diffamazione risulta integrato laddove la diretta comunicazione dello scritto ingiurioso ad una sola persona venga effettuata con modalità per le quali le espressioni offensive vengano sicuramente a conoscenza di altri, e di ciò il soggetto attivo sia consapevole (Sez. 5, n.36602 del 15.7.2010, imp. Selmi, Rv.248431). Fra le modalità appena indicate è senz'altro ricompresa quella dell'invio della comunicazione in una lettera indirizzata ad una pubblica autorità indicata in termini impersonali ed in forma non riservata (Sez. 1, n.27624 del 30.5.2007, imp. Colantoni, Rv.237086). Tale essendo nella specie la modalità con cui lo scritto di cui all'imputazione veniva trasmesso (invio a due distinti uffici pubblici, la Sovrintendenza per i beni architettonici e il paesaggio del Veneto orientale e lo Sportello unico per l'edilizia del comune di Perdavena), il B., a prescindere dal concreto intento perseguito, agiva pertanto con la consapevolezza dell'inevitabile assunzione di conoscenza del contenuto della missiva da parte di altre persone.
2.2 Quanto al secondo aspetto, costituisce principio costantemente affermato da questa Sezione quello secondo cui "in tema di delitti contro l'onore, sussiste il concorso dei reati di ingiuria e diffamazione qualora le lettere offensive indirizzate a più persone siano inviate anche alla persona offesa" (Sez. 5, n. 48651 del 22/10/2009, Nasce, Rv. 245827); la sussistenza della diffamazione non è allora discutibile, laddove l'invio dello scritto diffamatorio sia indirizzato all'offeso ed almeno ad altri due soggetti, come nel caso di specie, ponendosi al più il problema della sussistenza del concorrente delitto di ingiuria, laddove la concreta fattispecie comprenda elementi costitutivi delle due distinte norme incriminatrici.
3. Il terzo motivo, relativo alla sussistenza dell'elemento soggettivo del delitto di diffamazione, è manifestamente infondato.
L'invio "per conoscenza" dello scritto diffamatorio al pubblico ufficio ne conferma anzi proprio la coscienza e volontà che la frase lesiva venga a conoscenza di più persone, per cui l'elemento soggettivo, oltre che dal tenore della frase offensiva, si desume chiaramente anche riguardo ai più destinatari della comunicazione.
4. Anche il quarto motivo, relativo al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, è infondato.
Sul punto la decisione del giudice di pace motiva implicitamente, pur in assenza di una espressa richiesta in sede di conclusione del giudizio di primo grado (dal verbale di udienza risulta che il difensore dell'imputato concluse per l'insussistenza del reato o, in subordine, per l'assoluzione ex art. 598, comma 2 oppure art. 596, commi 1 e 2), laddove ritiene adeguata rispetto al fatto concreto, tenuto conto delle modalità del fatto e delle condizioni soggettive delle parti interessate, la pena di 1.500,00 Euro di multa; pena a sua volta ritenuta adeguata dal giudice di appello, a fronte di una richiesta in appello peraltro piuttosto generica, che faceva leva su elementi che avrebbero semmai potuto indurre il giudice di merito a negare il beneficio (il contesto nel quale si svolti i fatti e l'ambito di diffusione della mail, corrispondenti al luogo di lavoro della vittima; il contenuto delle espressioni, decisamente non lieve, considerata l'analogia fra metodi ed ambienti mafiosi e l'attività della persona offesa).
5. Il quinto motivo, relativo all'entità del risarcimento, è manifestamente infondato.
La commissione di reati direttamente lesivi della sfera dei diritti fondamentali della persona umana (quali quello di diffamazione) è produttiva di per sè di un danno morale in capo al soggetto passivo dell'azione delittuosa, per il cui ai fini del risarcimento non si richiede che sia fornita una specifica prova di esso, mentre la liquidazione è rimessa all'apprezzamento equitativo del giudice (Sez. 5, n. 43053 del 30/09/2010, Arena, Rv. 249140). Pertanto deve ritenersi legittima l'applicazione, nella specie, di criteri equitativi nella quantificazione del danno risarcibile e del tutto incensurabile appare la decisione del Tribunale di confermare il giudizio di congruità della somma di Euro tremila, in considerazione delle modalità della condotta e del tipo di danno sofferto, non potendosi questa riguardare come manifestamente esorbitante.
6. Parimenti inammissibile, attesa la manifesta infondatezza, è l'ultimo motivo, relativo alla mancata pronuncia del Tribunale sulla richiesta di avvalersi dell'exceptio veritatis, ammessa solo laddove l'offesa consista in "un fatto determinato"; il che non è, considerato il tenore della frase ("è consueta a Pedavena quella commistione tra amministrazione pubblica ed illeciti affari privati che la magistratura è solita definire fenomeno mafioso. In questa commistione si iscrivono gli atti dell'arch. F. a mio carico..."), assolutamente generica e priva di riferimenti a specifici accadimenti. La genericità dell'appello sul punto e la manifesta infondatezza del motivo comportano che l'omessa pronuncia del Tribunale non costituisca causa di annullamento della sentenza impugnata (Sez. 4, n. 24973 del 17/04/2009, Ignone, Rv. 244227; Sez. 4, n. 1982 del 15/12/1998, Iannotta, Rv. 213230).
7. in conclusione il ricorso dell'imputato va rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2013.
Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2013
24-05-2014 21:01
Richiedi una Consulenza