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Sentenza

Dichiarazione di prescrizione del reato e nullità degli atti processuali. La Cassazione puo' applicare l’art. 129, comma 2, c.p.p. in sede di legittimità?
Dichiarazione di prescrizione del reato e nullità degli atti processuali. La Cassazione puo' applicare l’art. 129, comma 2, c.p.p. in sede di legittimità?
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 aprile – 10 luglio 2014, n. 30265
Presidente Squassoni – Relatore Di Nicola

Ritenuto in fatto

1. La Corte di appello di Genova, con sentenza emessa in data 24 settembre 2013, in parziale riforma della sentenza appellata, dichiarava, per quanto qui interessa, non doversi procedere nei confronti di L.W. , per i reati di cui ai capi a) e b), e di M.A. per il reato di cui al capo m) per intervenuta prescrizione; riduceva la pena inflitta al M. per i reati di cui ai capi i), j), k) ad anni uno e mesi tre di reclusione, confermando nel resto l'impugnata sentenza che comportava, per il L. , anche la conferma della sentenza di primo grado che aveva dichiarato estinti per prescrizione i reati di cui all'art. 44 lett. c) d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 (capo d) ed il reato di cui all'art. 181 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (capo e).
A L.W. erano anche contestati i reati di abuso di ufficio (capo a) e di occupazione abusiva (capo b), mentre al M. , fatta eccezione per i reati dichiarati prescritti, erano contestati i reati di abuso d'ufficio (capo i), di falsità materiale (capo j), di peculato (capo k) e di truffa aggravata (capo m).
2. Ricorrono per cassazione entrambi gli imputati a mezzo dei rispettivi difensori.
2.1. M.A. deduce:
1) nullità della sentenza di primo e di secondo grado per violazione del disposto di cui all'art. 429, lett. c), cod. proc. pen., tempestivamente sollevata in limine litis dalla difesa in primo grado e rigettata dal Tribunale con ordinanza impugnata congiuntamente alla sentenza; erronea affermazione della sentenza d'appello circa l'insussistenza di un pregiudizio per il diritto di difesa (art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen).
Si sostiene che dei tre reati di abuso d'ufficio contestati all'odierno ricorrente è residuato quello di cui al capo "i", che così testualmente descrive la condotta dell'imputato: "... nello svolgimento delle proprie funzioni, in violazione di norme di legge o di regolamento e comunque omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio, nella primavera del 2006, avvalendosi abusivamente dei poteri di comandante regionale ad interim, si assegnava come alloggio di servizio il locale uso foresteria....", radicandosi pertanto la nullità sul presupposto che il P.M. non aveva enunciato quale norma di legge e quale norma di regolamento fossero state violate;
2) nullità della sentenza impugnata, sempre in ordine al resto di cui all'art. 323 cod. pen., di cui al capo "i", per travisamento della prova e per erronea applicazione della norma incriminatrice (art. 606, comma 1, lett. "b" ed "e" cod. proc. pen.); nullità, in alternativa, della sentenza impugnata per violazione degli artt. 521 e 522 cod. proc. pen. (art. 606, comma 1, lett. "c" cod. proc. pen.);
3) nullità della sentenza impugnata quanto al peculato d'uso (capo "k") per erronea applicazione della legge penale (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.) nonché per contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della causa quanto alla carenza di prova circa l'uso improprio dell'auto di servizio da parte del ricorrente (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.);
4) nullità dell'impugnata sentenza in relazione al reato di falso (capo j) per erronea applicazione della norma incriminatrice ex art. 476 cod. pen., trattandosi di falso innocuo e mancando comunque l'elemento soggettivo del reato (art. 606, comma 1, lett. b, cod. proc. pen.);
5) erronea applicazione degli artt. 323 e 157 cod. pen. essendo il reato di abuso d'ufficio a consumazione istantanea, sicché il reato stesso doveva essere dichiarato prescritto sul rilievo che la consumazione doveva essere fissata alla data del 31 gennaio 2006.
2.2. L.W. deduce:
1) nullità del decreto di citazione per omessa indicazione delle condotte asseritamente illecite e delle norme ipoteticamente ritenute violate per violazione dell'art. 429 lett. c) cod. proc. pen., in relazione al capo a), e conseguente nullità delle sentenze di primo e secondo grado;
2) violazione dell'art. 129 cod. proc. pen. risultando evidente dagli atti la prova dell'innocenza dell'imputato;
3) nullità della sentenza di secondo grado per violazione dell'art. 178 lett. c) cod. proc. pen. in relazione all'inosservanza dell'art. 548 cod. proc. pen. sul rilievo che non è stato dato al ricorrente il doveroso avviso del deposito (avvenuto oltre il novantesimo giorno dalla deliberazione) della sentenza di primo grado.
La difesa del L. ha prodotto motivi aggiunti ribadendo l'evidenza dell'innocenza del ricorrente risultante dagli atti.

Considerato in diritto

1. Ragioni di ordine sistematico rendono opportuno lo scrutinio, in via preliminare, del quinto motivo del ricorso M. .
Esso è fondato.
2. L'accusa contesta all'imputato (al capo "i" della rubrica) il delitto di abuso d'ufficio indicando come data di consumazione del reato il periodo intercorrente tra il 31 gennaio 2006 ed il 7 maggio 2007.
In particolare si contesta all'imputato di aver, nella primavera del 2006 omesso, di astenersi, prendendo un interesse proprio e non dando precedenza nell'assegnazione ad altri aventi diritto, in tal modo attribuendosi il locale foresteria, come alloggio di servizio, occupandolo con la propria famiglia.
Il reato di abuso d'ufficio (art. 323 cod. pen.) è costruito come reato di evento e, di conseguenza, il momento consumativo coincide con l'avvenuto conseguimento dell'ingiusto vantaggio patrimoniale o con la produzione ad altri di un danno ingiusto sicché il termine di prescrizione decorre dalla data del conseguimento del vantaggio o della produzione del danno.
Secondo il tenore dell'imputazione, l'evento del reato si sarebbe realizzato nella primavera del 2006 con la conseguenza che il termine di prescrizione, in mancanza di atti interruttivi, è ampiamente maturato, se non alla data della sentenza di appello, comunque successivamente in considerazione del valido rapporto processuale che si è formato in conseguenza della fondatezza del motivo di ricorso.
In assenza di evidenti cause di proscioglimento nel merito, va dichiarata pertanto la prescrizione del reato di cui al capo i).
Ne consegue che, accolto il motivo di gravame, il primo ed il secondo motivo, in quanto proposti esclusivamente in relazione al capo i) dichiarato prescritto, devono ritenersi assorbiti dal contenuto della pronuncia in parte qua e non più esaminabili per sopravvenuta carenza di interesse.
3. Il terzo motivo è manifestamente infondato.
Con esso il ricorrente sostiene che egli avesse un valido titolo per occupare l'alloggio di servizio, venendo pertanto meno il reato di peculato d'uso dell'autovettura.
In ogni caso, assume che mancherebbe la prova che l'autovettura di servizio fosse stata utilizzata per i contestati spostamenti: i testimoni si sarebbero limitati a riferire di aver visto il M. nell'auto di servizio senza sapere ove l'imputato fosse diretto.
Va ricordato che la Corte territoriale, con logica ed adeguata motivazione, ha ritenuto, in conformità all'approdo cui era giunto il Tribunale, come il ricorrente non avesse alcun titolo per dimorare stabilmente nella caserma di (…), sicché senza averne diritto pretese che l'auto di servizio lo prelevasse e lo accompagnasse a Genova, ove esercitava le sue funzioni, esponendo la Pubblica Amministrazione a costi ingiustificati.
A siffatte conclusioni la Corte ligure è pervenuta sul rilievo che la foresteria doveva essere assegnata a chi, avendone bisogno per ragioni di servizio, avesse avuto il diritto di richiederla, evenienza interdetta dalla circostanza che il M. si era autoassegnato l'alloggio trasferendosi con la propria famiglia, utilizzandolo quindi illegittimamente ed impedendone l'uso legittimo agli aventi diritto.
Peraltro la stessa originaria attribuzione dell'alloggio al M. era risultata viziata.
Come emerge dalla sentenza di primo grado, la cui motivazione è utilizzabile in considerazione della doppia conforme statuizione in parte qua delle sentenze di merito, non spettava al M. l'uso gratuito del bene in quanto, essendo la sede di servizio distante oltre 25 km dall'alloggio, avrebbe dovuto corrispondere un canone.
Inoltre non è risultata agli atti alcuna formale richiesta che evidenziasse l'interesse del M. ad occupare l'immobile.
È invece emerso che il ricorrente aveva provveduto ad assegnarsi l'alloggio in assenza del comandante titolare del corpo Forestale dello Stato che, in quel frangente, era stato temporaneamente sostituito ed al quale la decisione doveva essere rimessa anche in considerazione del conflitto di interessi nel quale si trovava il ricorrente.
Ne consegue che il M. si era intenzionalmente assegnato l'alloggio di servizio in presenza di un personale interesse e senza effettuare alcuna previa verifica per individuare eventualmente altri legittimati, più titolati di lui (non vi era stato alcun interpello), a fruire dell'appartamento.
Era infatti emerso che vi erano altri potenziali aspiranti: D.F.S. (Comandante di Stazione) e La.Fr. (agente del Corpo Forestale dello Stato).
È emerso che, allorquando a posteriori fu chiesto al ricorrente di chiarire la situazione, il M. richiese al D.F. ed al La. di sottoscrivere gli atti di rinunzia, in base ad un testo da lui suggerito, dato che costoro, per la qualifica rivestita, avevano titolo per concorrere all'assegnazione.
Il D.F. ed il La. , pur interessati entrambi all'alloggio di servizio, aderirono alle sollecitazioni del M. e ciò avvenne pacificamente in epoca successiva rispetto a quella dell'apparente data di protocollo delle dichiarazioni. In sostanza gli atti di rinunzia, predisposti a posteriori, figuravano, contrariamente al vero, come espressione di una manifestazione di volontà tempestivamente promossa onde apparire riferibili all'epoca temporale in cui il M. aveva beneficiato dell'assegnazione.
Lo scopo era quello, ammesso dallo stesso M. , di sanare il mancato interpello facendo figurare che i soggetti interessati non avessero inteso avvalersi dell'alloggio, poi occupato dal ricorrente, e quindi di avvalorare in sostanza la regolarità di consegna dell'immobile.
Il M. , dunque, non aveva, secondo la Corte territoriale, alcun diritto di alloggiare in XXXXXXX e conseguentemente di utilizzare l'auto di servizio per gli spostamenti, che non erano e né potevano essere autorizzati.
La Corte d'appello ha rilevato come l'imputato si fosse difeso prospettando l'eventualità di essere stato accompagnato a manifestazioni pubbliche nel Levante Ligure, col vantaggio per l'Ente pubblico di riduzione delle spese a causa della distanza percorsa.
Pur ritenendo la circostanza verosimile, nel senso che il pubblico ufficiale si fosse talvolta recato per ragioni di servizio in luoghi più prossimi alla sua abusiva dimora piuttosto che a Genova, la Corte territoriale ha sostenuto che ciò fosse irrilevante al fine di depotenziare l'accusa, in costanza del positivo accertamento circa il fatto che i suoi spostamenti riguardavano abitualmente il raggiungimento della sede di servizio, come era risultato (pag. 8 sentenza di primo grado) dalle deposizioni dibattimentali e dalla documentazione acquisita agli atti e dalla quale risultava che, in più occasioni, nel periodo considerato, il M. aveva utilizzato l'autovettura di servizio per il tragitto da casa al lavoro e viceversa.
Va allora ribadito che l'uso indebito di un veicolo della pubblica amministrazione e del carburante utilizzato per gli spostamenti rileva come condotta di peculato (art. 314, comma 2, cod. pen.) stante l'impiego del mezzo per un uso non consentito e difforme dalle finalità istituzionali.
Le ulteriori doglianze (circa l'esito delle prove testimoniali indicate nel ricorso), oltre a connotarsi per la loro genericità e ad essere smentite da quelle documentali, sono proposte in violazione dell'art. 606 cod. proc. pen. richiedendo indagini di fatto interdette nel giudizio di legittimità e neppure risultano sorrette da adeguate allegazioni in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso.
4. Il quarto motivo è infondato.
Si assume come, quanto al reato di falso (capo "j" della rubrica), il ricorrente abbia ammesso il fatto materiale: egli aveva modificato la data della verbalizzata rinuncia dei due militari (D.F. e La. ) all'alloggio di servizio, anticipandola rispetto al momento in cui sarebbe stata espressa; il falso attiene dunque non al contenuto dell'atto, che risponde al vero, bensì alla registrazione, anticipata rispetto a quella reale, della data in cui l'atto è stato effettivamente formato.
Da ciò il rilievo che il fatto non costituisce reato, trattandosi di un cd. "falso innocuo", ossia di un falso, pur materialmente esistente, che, tuttavia, non ha alcuna capacità di conseguire uno scopo antigiuridico.
Nel caso di specie, si obietta come l'alterazione del registro di protocollo non avesse alcuna influenza in quanto la rinuncia dei due militari all'alloggio di servizio era reale ed era irrilevante, ai fini amministrativi, che essa fosse intervenuta prima o dopo l'avvenuta presentazione della domanda di assegnazione dell'alloggio da parte del M. .
Si conclude sostenendo che la falsità materiale contestata sarebbe concretamente inoffensiva e perciò assolutamente inidonea a mettere a repentaglio, neppure nella semplice esposizione a pericolo, alcun diritto ed in primis il bene giuridico penalmente tutelato.
4.1. I rilievi non hanno fondamento.
Vi è da osservare che la problematica relativa al cosiddetto "falso innocuo" investe tradizionalmente la questione della rilevanza del falso al cospetto degli atti inesistenti o invalidi, aspetto che non è minimamente sfiorato dal motivo del ricorso che ruota esclusivamente intorno alla negata efficacia dell'atto all'inganno.
I Giudici del merito hanno ampiamente spiegato le ragioni (riportate al par. 3 del considerato in diritto) per le quali il ricorrente era ricorso alla falsificazione del registro di protocollo facendo apparire, contrariamente al vero, che non vi fossero altri dipendenti interessati alla fruizione dell'alloggio allorquando era intervenuta l'autoassegnazione del locale foresteria.
Ciò esclude in radice che la falsificazione del registro di protocollo possa definirsi innocua per inattitudine dell'atto a trarre verosimilmente in inganno la generalità dei consociati, non rilevando se le rinunce dei militari, dipendenti del M. , fossero genuine o meno ma se gli atti furono protocollati nella data risultante dal registro, circostanza che lo stesso ricorrente ammette falsa a causa dell'intervenuta manipolazione del registro di protocollo.
Come si è visto, lo scopo era infatti quello, ammesso dallo stesso M. , di sanare il mancato interpello facendo figurare che i soggetti interessati non avessero inteso avvalersi dell'alloggio, poi occupato dal M. stesso, e quindi di avvalorare in sostanza la regolarità di consegna dell'immobile.
Va allora ricordato che le falsità inerenti all'atto di protocollo sono strettamente attinenti alla sua funzione, che è quella di attestare i dati in esso indicati, sicché ad esso rimane estranea la fattispecie del falso innocuo (Sez. 5, n. 6246 del 20/01/2004, P.G. in proc. Attinà, Rv. 228083).
Ne consegue che, nell'ipotesi di falsità materiale o ideologica dei registri di protocollo, è del tutto irrilevante l'asserita mancanza di effetti pregiudizievoli dell'atto protocollato non potendosi, sulla base di ciò, giustificare la conclusione che il fatto sia penalmente irrilevante, in quanto le attestazioni contenute nel protocollo non rilevano con esclusivo riferimento alle persone alle quali gli atti protocollati si riferiscono ed al loro contenuto ma sono dotate di una potenzialità attestativa di cui non è possibile prevedere tutti risvolti.
5. Dichiarata la prescrizione, per il reato di cui al capo i), la sentenza impugnata emessa nei confronti di M.A. va annullata senza rinvio limitatamente a tale imputazione, dovendosi solo procedere eliminare la relativa pena, pari a mesi due di reclusione applicata in continuazione dal giudice d'appello in aumento a quella determinata per il reato di cui al capo j), residuando così la pena finale di anni uno e mesi uno di reclusione e potendo tale incombenza essere assolta dal giudice di legittimità ai sensi dell'art. 620, comma 1, lett. l), cod. proc. pen..
6. Il ricorso proposto da L.W. è infondato.
7. Il primo motivo è inammissibile.
Con esso si eccepisce la nullità del decreto di rinvio a giudizio per indeterminatezza della contestazione di cui al capo a) dell'imputazione con riferimento alla quale è stata emessa sentenza di non doversi procedere essendo il reato estinto per prescrizione.
Va ricordato che la Corte territoriale ha respinto l'eccezione sul condivisibile presupposto che l'imputazione indica dettagliatamente la condotta ascritta all'imputato, il profitto dallo stesso conseguito, l'evento scaturito dalla condotta oggetto del rimprovero, con la conseguenza che deve essere esclusa qualsiasi compromissione del diritto di difesa.
L'eccezione è stata tuttavia riproposta nonostante sia stata dichiarata l'estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Il ricorrente assume di avere interesse alla pronuncia e cita al riguardo un recente precedente, non isolato, di questa Corte che attiene alle prerogative del pubblico ministero, in base al quale sussiste l'interesse al ricorso per cassazione del Procuratore generale territoriale avverso la sentenza dichiarativa di una causa di estinzione del reato (nella specie, la prescrizione) pronunciata sulla base di un'errata applicazione della legge sostanziale, seppure all'accoglimento di essa debba ugualmente seguire la dichiarazione della medesima causa di estinzione del reato, ma maturata dopo la sentenza di primo grado, sulla base di una corretta applicazione della legge sostanziale, poiché l'affermazione del corretto principio di diritto e la corretta applicazione della legge sostanziale al caso di specie costituiscono per l'organo della pubblica accusa un interesse concreto ed attuale (Sez. 2, n. 28712 del 03/04/2013, P.G. e P.C. in proc. Parrillo e altri, Rv. 255704; Sez. 3, n. 32527 del 28/04/2010, Pmt in proc. Brini e altri, Rv. 248219).
Le Sezioni Unite penali hanno più volte precisato "come il pubblico ministero, avuto riguardo alla qualità di parte pubblica del processo ed alla fondamentale funzione di vigilanza sulla osservanza delle leggi e sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia, secondo quanto previsto dall'art. 73 dell'ordinamento giudiziario, deve ritenersi portatore di un interesse a proporre impugnazione ogni volta che ravvisi la violazione o la erronea applicazione di una norma giuridica, purché tale interesse presenti le caratteristiche della concretezza ed attualità: il che si realizza allorché, con la impugnazione proposta, si intenda perseguire un risultato, non soltanto teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole. Più in particolare, si è affermato che l'interesse richiesto dall'art. 568, comma 4, cod. proc. pen., quale condizione di ammissibilità di qualsiasi impugnazione, deve essere correlato agli effetti primari e diretti del provvedimento da impugnare e sussiste solo se il mezzo di impugnazione proposto sia idoneo a costituire, attraverso la eliminazione di un provvedimento pregiudizievole, una situazione pratica più vantaggiosa per l'impugnante rispetto a quella esistente. Pertanto, ove la impugnazione sia stata proposta dal pubblico ministero e questo denunci, al fine di ottenere la esatta applicazione della legge, la violazione di una norma di diritto formale, in tanto può ritenersi sussistente il presupposto dell'interesse, in quanto da tale violazione sia derivata una lesione dei diritti che si intendono tutelare e nel nuovo giudizio possa ipoteticamente raggiungersi un risultato non solo teoricamente corretto, ma anche praticamente favorevole" (Sez. U, n. 62031 del 11/05/1993, p.m. in proc. Amato, Rv. 193743; Sez. U, n. 9616 del 24/03/1995, p.m. in proc. Boido, Rv. 202018; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, p.m. in proc. Timpani Rv. 203093; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, P.G. in proc. Di Marino, Rv. 244110).
Ciò comporta che, pur in considerazione della particolare posizione ordinamentale del pubblico ministero, la necessaria verifica circa l'esistenza di un interesse concreto ed attuale al gravame va compiuta, qualunque sia la parte che abbia esercitato il diritto di impugnazione, "attraverso lo scrutinio concatenato della pronuncia che si assume lesiva della norma; degli specifici petita che avevano contraddistinto la posizione della parte; del mezzo di impugnazione attivato come congruente alla rimozione degli effetti che si assumono pregiudizievoli, e dei risultati favorevoli a quei petita che dal successo del gravame possono scaturire" (Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, cit).
Nel caso si specie, se anche fosse pronunciata la nullità invocata e, per propagazione, quella di tutti gli atti successivi conseguenti, con regressione del processo, ne conseguirebbe, non avendo l'imputato rinunciato alla prescrizione, l'immediata declaratoria della causa estintiva del reato (già dichiarata) o, in alternativa, l'applicazione dell'art. 129 cod. proc. pen., scrutinio che ha già compiuto la Corte territoriale, escludendo l'esistenza di cause di proscioglimento nel merito, esito del quale il ricorrente si è doluto investendo questa Corte con il secondo motivo di gravame.
Deve pertanto ritenersi non sussistente, nel caso di specie, l'interesse dell'imputato ad impugnare una sentenza dichiarativa di estinzione del reato per prescrizione sulla base di ragioni meramente processuali ed insuscettibili di realizzare, con la rimozione della sentenza impugnata, un risultato favorevole all'impugnante e con la sottolineatura che una tale soluzione sarebbe in ogni caso richiesta dall'esigenza di assegnare una "ragionevole durata" al processo, sulla base di quanto imposto dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6 della Convenzione Europea dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
8. È infondato il secondo motivo di gravame, con il quale si chiede il proscioglimento nel merito, ex art. 129 cod. proc. pen., in relazione ai reati per i quali è stato dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione.
Va in proposito ricordato che, nel giudizio di cassazione, l'obbligo di dichiarare una più favorevole causa di proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen., ove risulti l'esistenza della causa estintiva della prescrizione, opera nei limiti del controllo del provvedimento impugnato, in conformità ai limiti di deducibilità del vizio di motivazione (Sez. 6, n. 48461 del 28/11/2013, P.G. Fontana ed altri, Rv. 258169).
Ciò non significa che il Giudice di legittimità non debba applicare l'art. 129, comma 2, cod. proc. pen. e, quindi, non debba prosciogliere nel merito con l'annullamento della sentenza senza rinvio, qualora, ricorrendo una causa di estinzione del reato, dagli atti risulti evidente che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, con la necessaria precisazione che gli atti, dai quali la corte di cassazione può e, se sussiste, deve desumere l'evidenza dell'innocenza sono costituiti unicamente dalla sentenza impugnata e, in caso di doppia conforme decisione, anche dalla sentenza di primo grado.
Questo perché l'art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., esige che i vizi di mancanza o di manifesta illogicità della motivazione, denunciabili con il ricorso per cassazione, debbono risultare dal testo del provvedimento impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame, con la logica conseguenza che il controllo della corte di cassazione, per quanto riguarda l'accertamento di questi vizi, si risolve nel controllo di unico atto, nel controllo cioè della sentenza.
Alla luce di questi consolidati principi, deve riconoscersi che dalla sentenza non appare evidente l'esistenza di una causa di proscioglimento nel merito.
Basti considerare che le obiezioni formulate nel ricorso, richiedendo accertamenti non consentiti nel giudizio di legittimità e prendendo posizione esclusivamente sulla questione della legittimazione alla disponibilità dell'immobile, non mettono in risalto nella ratio decidendi della sentenza impugnata, e di quella di primo grado che legittimamente la integra, elementi dai quali desumere l'esistenza di una causa di proscioglimento nel merito. Per rendersene conto è sufficiente rilevare come la Corte territoriale, dopo aver precisato che dalle vicende in esame è emerso un quadro sconcertante dell'uso del potere pubblico, abbia sostanzialmente condiviso l'approdo cui era giunto il Tribunale rilevando come il L. , nella qualità di Provveditore alle opere pubbliche, si fosse appropriato, per conseguire privati interessi, dell'immobile di XXXXX che fu distolto dalla sua naturale destinazione (Caserma del Corpo Forestale) e fu trasformato a spese della collettività in un prezioso appartamento ove si insediò il Provveditore.
È tuttavia il caso di precisare come - al cospetto di una imputazione complessa nella quale gli abusi di potere contestati sono plurimi ed alcuni cronologicamente precedenti al 22 luglio 2004 (quando il L. ha comunicato, secondo la sua stessa prospettazione difensiva, la data di utilizzazione dell'immobile) - i Giudici del merito abbiano ricondotto le censure nell'ambito dell'intenso conflitto di interessi derivante dalla concomitante sovrapposizione tra il ruolo di funzionario pubblico (incaricato dei lavori, preposto a curare e garantire la regolare esecuzione delle opere, facendo uso dei comuni criteri di buon andamento amministrativo e di ottimale gestione delle risorse disponibili) e, al tempo stesso, di utilizzatore finale di un piano dell'immobile che aveva inteso riservarsi nella sua piena disponibilità, omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio e disponendo di una corsia privilegiata per il finanziamento e l'affidamento dei lavori dell'edificio pubblico comunque destinato a diventare la nuova sede della caserma della Guardia Forestale di XXXXX.
La cui pacifica destinazione in tal senso era indipendente dalla questione circa il Ministero competente a disporne.
L'immobile, in degrado, era, in origine, in uso al Corpo Forestale dello Stato; era unico e i due piani che lo componevano erano collegati da una scala interna, eliminata durante la ristrutturazione sicché si era creata volutamente l'indipendenza dei due piani, dotati di ingressi separati, più sacrificato quello in uso alla Forestale e neppure munito di accesso per i disabili.
Per quanto risulta dalle sentenze di merito, la destinazione dei locali era a uso ufficio; per quelli al primo piano (poi adibiti dal L. a dimora familiare), erano previste attività di archivio, sosta e riposo del personale. In sostanza si trattava di locali di appoggio, da utilizzare per le finalità collegate alle attività di ufficio, onde consentire al personale del Corpo Forestale dello Stato di meglio espletare i suoi compiti, particolarmente importanti nella Regione Liguria, per le caratteristiche morfologiche, al fine di prevenire ed intervenire in caso di incendi boschivi.
Si ebbe pertanto la radicale trasformazione dell'immobile rispetto alla globale ristrutturazione prevista che avrebbe dovuto consentire il mantenimento dell'uso, una volta sistemata la struttura, da parte del Corpo forestale.
Secondo le emergenze processuali, il L. , senza alcuna autorizzazione, si attribuì dunque una parte dell'immobile, distraendola dalle finalità istituzionali, epilogo confermato dalla fondamentale circostanza che una parte di esso (il solo piano terra e non anche il primo piano) fu riconsegnato al Corpo Forestale dello Stato, mentre la consegna (in base all'art. 6 d.P.R. 13 luglio 1998 n. 367) doveva avvenire nelle forme previste, integralmente e a prescindere dall'amministrazione pubblica formalmente detentrice del bene pubblico, vertendosi in materia di "consegna dei fabbricati o terreni statali ad altre amministrazioni e la riconsegna di essi" (art. 6 d.P.R. n. 367 del 1998).
Da tutto ciò consegue come non si desuma dal testo della sentenza impugnata alcuna causa di proscioglimento più favorevole, derivando da ciò l'infondatezza del motivo.
9. Il terzo motivo è inammissibile.
Con esso il ricorrente si duole del fatto di non aver ricevuto, essendo peraltro contumace, l'avviso di deposito della sentenza di primo grado al quale aveva diritto essendo stata la sentenza depositata oltre il termine previsto per la stesura della motivazione.
A parte il difetto di interesse rilevabile per le medesime ragioni in precedenza enunciate con riferimento al primo motivo di gravame, va comunque osservato che la nullità, che scaturisce dall'omissione dell'avviso di deposito di sentenza (nella specie, di primo grado) depositata fuori termine, è sanata se la difesa non abbia tempestivamente formulato la relativa eccezione nel giudizio d'appello.
Siccome tale eccezione non risulta essere stata proposta ed è stata formulata per la prima volta nel giudizio di cassazione, il motivo è inammissibile, conseguendo il rigetto del ricorso e la condanna del ricorrente al pagamento del spese processuali.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la impugnata sentenza nei confronti di M.A. in relazione al reato sub I (art. 323 cod. pen.) perché estinto per prescrizione ed elimina la pena relativa di mesi due di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso del M..
Rigetta il ricorso di L.W. che condanna al pagamento delle spese processuali.
Avv. Antonino Sugamele

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