Continuazione fra piu' reati: cosa si intende per unicita' del disegno criminoso?
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 maggio – 30 luglio 2014, n. 33803
Presidente Siotto – Relatore Casa
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza resa in data 18.7.2013, la Corte di Assise di Roma, in funzione di Giudice dell'Esecuzione, rigettava nei confronti di B.M. l'istanza volta ad ottenere l'applicazione della disciplina del reato continuato ex art. 671 c.p.p. tra sentenze genericamente indicate con riferimento all'istanza stessa.
Il Tribunale fondava il provvedimento sulla rilevata assenza della contiguità spaziale e temporale tra i reati, reputando insufficiente la circostanza relativa alla identità di tipologia dei reati oggetto di condanna.
2. Ha proposto personalmente ricorso per cassazione B.M., deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.
Il Giudice dell'Esecuzione non aveva considerato elementi significativi desumibili dalla motivazione delle sentenze di condanna, tra i quali la circostanza che quasi tutti i reati di furto e tentato furto aggravati oggetto di condanna (sentenza del Tribunale di Roma in data 25.7.2001, irrevocabile il 29.9.2001; sentenza del Tribunale di Roma in data 15.4.2002, irrevocabile il 29.4.2004; sentenza del Tribunale di Roma in data 6.6.2002, irrevocabile il 25.11.2002; sentenza del Tribunale di Siena in data 10.1.2002, irrevocabile il 2.4.2004) erano stati commessi in Roma e quella della contiguità temporale tra alcuni di essi (i due episodi del 19.7.2001 e del 6.6.2002).
In data 14.4.2014 è pervenuta via fax memoria dei difensore di fiducia con ampi richiami giurisprudenziali, ma senza formali censure al provvedimento ricorso.
3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua requisitoria scritta, ha concluso per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata, condividendo il contenuto dell'impugnazione.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato e va, pertanto, accolto.
2. Va premesso che appartiene al consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità l'affermazione, secondo la quale l'unicità dei disegno criminoso, presupposto indefettibile per la configurabilità della continuazione fra più reati anche quando l'applicazione dell'istituto sia invocata in sede esecutiva, richiede sotto il profilo soggettivo la rappresentazione dei singoli episodi criminosi, individuati almeno nelle loro linee essenziali sin dall'inizio dell'attività illecita, nel senso che l'autore deve avere già previsto e deliberato in origine ed in via generale l'"iter" criminoso da percorrere ed i singoli reati attraverso i quali attuarlo, che nella loro oggettività si devono presentare compatibili giuridicamente e posti in essere in un contesto temporale di successione o contemporaneità. Ne consegue che tale problema si risolve in una "quaestío facti" la cui soluzione è rimessa di volta in volta all'apprezzamento del giudice di merito.
Resta comunque escluso che l'unicità di disegno criminoso possa identificarsi con l'abitualità criminosa o con scelte di vita ispirate alla continua violazione delle norme penali, così come, sul fronte opposto, non può nemmeno pretendersi che tutti i singoli reati siano stati in dettaglio progettati e previsti nelle varie occasioni temporali e nelle modalità specifiche di commissione delle loro azioni, atteso che la disciplina normativa richiede identità del "disegno" criminoso, ossia che i singoli reati siano mezzo per il conseguimento di un unico intento, sufficientemente specifico e rintracciabile sin dalla commissione del primo di essi sulla scorta di un apprezzamento in punto di fatto spettante al giudice di merito, come tale, se congruamente motivato, insuscettibile di censura nel giudizio di legittimità (Sez. 5, n. 23370 dei 14/5/2008, Pagliara, Rv. 240489; Sez. 1, n. 18340 dell'11/2/2011, Scarda, Rv. 250305; Sez. 1, n. 12905 del 17/3/2010, Bonasera, Rv. 246838; Sez. 5, n. 49476 dei 25/9/2009, Notaro, Rv. 245833).
A tal fine l'analisi, da condurre sulla base degli accertamenti di fatto contenuti nelle sentenze che hanno giudicato le singole vicende criminose, deve riguardare una pluralità di indici sintomatici, rivelatori dell'ideazione e della determinazione volitiva unitaria, quali la prossimità temporale di commissione, l'omogeneità delle condotte sotto il profilo oggettivo, le circostanze concrete di tempo e luogo dell'azione, il bene giuridico leso, le finalità perseguite, le abitudini programmate di vita, con la specificazione che non è necessario rintracciare la compresenza di tutti questi elementi, potendo assumere valore significativo anche la ricorrenza di uno o più di essi e che tanto maggiore è il novero degli elementi indicativi tanto maggiore sarà la possibilità di riconoscere la continuazione.
3. Ciò posto, sussiste il vizio denunciato sotto il profilo della carenza ed illogicità della motivazione, in quanto il provvedimento in verifica ha omesso di prendere adeguatamente in esame, anche soltanto per respingerle - come pur avrebbe potuto fare nell'esercizio dei poteri valutativi discrezionali, spettanti anche al Giudice dell'Esecuzione, con l'onere del rispetto delle norme giuridiche e dei principi di logica, nonché della necessità di fornire appropriata giustificazione delle scelte effettuate - le argomentazioni a sostegno della richiesta del ricorrente, che aveva indicato l'omogeneità dei reati per natura giuridica e modalità esecutive, nonché, almeno per una parte di essi, la consumazione in un arco temporale limitato.
Né può ritenersi sufficiente il generico rilievo sulla mancanza di contiguità spaziotemporale dei reati oggetto di condanna, rilievo non tradottosi nella compiuta illustrazione delle ragioni di fatto giustificative in relazione alle circostanze concrete delle azioni, tra le quali, ad esempio, l'omogenea tipologia di reati, la parziale identità dei beni sottratti e il non eccessivo intervallo temporale tra gli episodi del 19.7.2001 e del 6.6.2002.
Sotto tali profili la motivazione dell'ordinanza impugnata risulta soltanto apparente, avulsa dalle risultanze processuali e fondata su argomentazioni generiche e assertive, sicché se ne impone l'annullamento con rinvio alla Corte di Assise di Roma in diversa composizione (v. sentenza C. Cost. n. 183 del 19.6.2013, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli articoli 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., nella parte in cui non prevedono che non possa partecipare al giudizio di rinvio dopo l'annullamento il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato, ai sensi dell'art. 671 del medesimo codice) perché proceda a nuovo esame dell'istanza dei ricorrente che tenga conto dei rilievi sopra esposti.
P.Q.M.
Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Assise di Roma.
31-07-2014 18:58
Richiedi una Consulenza