Condannati tre animalisti per avere assaltato un ristorante, un’azienda agricola, un salumificio e un impianto di macellazione. Danneggiamento seguito da incendio e minaccia, comprovata dalle rivendicazioni scritte sui muri degli edifici assaltati.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 23 aprile – 16 maggio 2014, n. 20453
Presidente Giordano – Relatore Boni
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza resa in data 2 aprile 2013 la Corte d'Appello di Trieste riformava parzialmente la sentenza emessa il 20 gennaio 2012 dal G.U.P. del Tribunale di Pordenone all'esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato e, riqualificati i fatti contestati ai capi 1) e 9) della rubrica ai sensi dell'art. 424 cod. pen., comma 1, ritenuta in riferimento al reato di cui al capo 10) la circostanza aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 cod. pen. ed escluso l'assorbimento dei fatti di minaccia nel reato di cui all'art. 639 cod. pen., rideterminava la pena inflitta a R.D. in anni tre, mesi due di reclusione, quella inflitta ad A.A. in anni uno, mesi due di reclusione e quella inflitta a D.D.P. in mesi sei di reclusione, condannandoli al pagamento delle spese processuali del grado ed alla rifusione in favore delle parti civili delle spese di costituzione; confermava nel resto l'impugnata decisione che aveva affermato la loro responsabilità in ordine ad una pluralità di azioni di danneggiamento, minaccia, ingiurie, incendio, poste in essere in danno di un esercizio di ristorazione sito in Sedegliano e del suo titolare, dei titolari di un salumificio di Forgaria del Friuli, di un impianto di macellazione di Osoppo e di azienda agricola di S. Vito al Tagliamento quali atti dimostrativi e lesivi a sostegno di una campagna di sensibilizzazione contro l'uccisione di animali.
1.1 Entrambe le sentenze di merito, dopo avere riscontrato che i tre imputati, individuati grazie alle segnalazioni della parte lesa M.T., gestore del ristorante Al Cacciatore di Sedegliano, ed ai particolari offerti sui mezzi di trasporto ed alle utenze cellulari utilizzati, avevano ammesso la loro partecipazione ai fatti rispettivamente loro ascritti, si erano differenziate quanto alla qualificazione giuridica degli episodi di cui ai capi nr. 1) e 9), in quanto la Corte di Appello, accogliendo sul punto l'impugnazione del Procuratore Generale, aveva ritenuto di rapportare i fatti alla fattispecie di danneggiamento seguito da incendio in ragione: delle dimensioni del rogo che aveva interessato il salumificio C.P., che aveva richiesto l'impiego di due squadre di Vigili del Fuoco nelle operazioni di spegnimento, protrattesi per un'ora con l'uso anche di schiumogeno e del concreto pericolo di propagazione delle fiamme sia al capannone industriale, situato ad appena cinque metri dai quattro furgoni incendiati, sia ad altro insediamento industriale nei pressi tramite il liquido infiammabile riversato sull'asfalto; delle caratteristiche del fuoco appiccato al macello Tuttocarni, domato con l'utilizzazione di due "naspi", ovvero lance ad acqua ad alta pressione per 15/20 minuti, propagatosi ad una adiacente tettoia coperta in vetroresina andata poi completamente distrutta, così come era stato distrutto l'impianto di climatizzazione contenente gas sotto pressione, che, fuoriuscendo improvvisamente, avrebbe potuto veicolare scintille e quindi diffondere le fiamme, coinvolgendo anche una tubatura di gas metano fissata alla parete dell'edificio, tanto che prudenzialmente era stata disposta l'interruzione a monte del flusso del gas nell'incertezza sulla capacità di tenuta del condotto. Inoltre, la Corte di Appello riteneva che i delitti di ingiurie e minacce non potessero essere assorbiti in quello di danneggiamento aggravato per la diversità di beni giuridici lesi e che l'imbrattamento con scritte offensive e minacciose fosse legato teleologicamente ai predetti reati, tanto da integrare la circostanza aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 cod. pen..
2. Avverso detta sentenza hanno proposto ricorso per cassazione con atti separati a firma dei loro difensori i tre imputati.
2.1 D.D.P. ha lamentato l'erronea applicazione della legge penale in relazione all'art. 424 cod. pen. quanto ai reati di cui ai capi sub 1) e 9); la Corte territoriale non aveva tenuto conto di quanto riferito dai testi dei Vigili del Fuoco sulle caratteristiche delle fiamme e sull'assenza del pericolo di propagazione per l'ubicazione degli oggetti attinti dal rogo, l'assenza di vento ed il difficile innesco determinato dall'impiego di gasolio, anziché benzina, e che gli imputati, convinti animalisti, erano stati ispirati dal proposito di compiere un'azione dimostrativa nei confronti di quanti erano connessi alla uccisione degli animali. Nei fatti non era dunque rintracciabile il pericolo di incendio, da intendersi come rilevante probabilità che un incendio si verifichi, mancando i requisiti della vastità delle proporzioni delle fiamme, della diffusibilità come tendenza a progredire e della difficoltà di spegnimento, dal momento che: a) gli automezzi erano stati collocati all'aperto, b) erano distanti dai fabbricati, c) era stata utilizzata la tecnica di spargere il liquido infiammabile solo sulla carrozzeria dei mezzi, d) l'assenza di vento e le temperature invernali avevano escluso la possibilità che le fiamme si estendessero in modo da dar luogo ad un incendio vero e proprio, sicchè gli episodi dovevano essere considerati quali forme di danneggiamento.
2.2 R.D. ha dedotto identico primo motivo rispetto al ricorso proposto nell'interesse del D.P. ed in più ha lamentato l'erronea applicazione della legge penale in relazione agli artt. 594, 612, 635 e 639 cod. pen. in riferimento ai capi 2), 3), 7), 8), 13), e 14), dal momento che i reati di ingiuria e di minaccia aggravata devono ritenersi assorbiti dai reati di danneggiamento, come già correttamente affermato nella sentenza di primo grado, ove era stato rilevato che le scritte tracciate sui muri esterni degli edifici presi di mira non rappresentano una minaccia, ma al più una sorta di rivendicazione dell'azione commessa in difesa dei diritti degli animali, ragione per quale doveva escludersi anche l'aggravante di cui all'art. 61 n. 2 cod. pen..
2.3 A.A. ha dedotto:
a) violazione di legge ed illogicità della motivazione in ordine alla qualificazione giuridica dei fatti sub 1) e 9) della rubrica. Richiamati i principi interpretativi offerti dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, il ricorrente ha sostenuto che la Corte territoriale, nel ritenere che la probabilità di verificazione dell'incendio dovesse valutarsi "ex ante", era incorsa in errore avendo confuso la potenzialità del sorgere di un incendio con la verificazione del pericolo, che può essere apprezzata soltanto a "posteriori" e deve essere accuratamente dimostrata in quanto la punizione da parte dell'art. 424 cod. pen. riguarda un evento non voluto dall'agente. La Corte di Appello aveva ignorato le valutazioni tecniche espresse da personale specializzato, che aveva escluso il pericolo di diffusione del fuoco ed aveva accolto l'impugnazione del Procuratore generale in base a rilievi fattuali opposti a quelli esposti nella sentenza di primo grado, che aveva recepito opinioni espresse dai testi a posteriori ed in assenza di competenze specifiche. b) Violazione della legge penale in relazione al disposto dell'art. 612 cod. pen. e dell'aggravante di cui all'art. 61 n. 2, cod. pen. e manifesta illogicità della motivazione: il delitto di minaccia doveva essere escluso perché nelle scritte "fuoco alle fabbriche di morte" e "macellai al macello, animali liberi" non era espressa la prospettazione di un male futuro, ma soltanto la rivendicazione dell'azione realizzata mediante l'imbrattamento.
c) Violazione della legge penale in relazione alla ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 625, n. 7 cod. pen. e mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione; nel caso de quo non sembra affatto sussistere la ratio dell'aggravante, dal momento che gli automezzi dati alle fiamme si erano trovati all'interno di un'area munita di recinzione, strumento efficace ed idoneo a tutela dei fabbricati interessati dall'azione finalizzata al danneggiamento.
Considerato in diritto
I ricorsi sono inammissibili perché fondati su motivi affetti da manifesta infondatezza.
1. Le impugnazioni all'odierno esame investono in via principale, pur con modulazioni differenti a livello argomentativo, la questione della corretta qualificazione giuridica dei fatti contestati ai capi 1) e 9), che le due sentenze di merito hanno diversamente risolto, la prima ritenendo trattarsi di distinti episodi di danneggiamento aggravato, quella di appello di danneggiamento seguito da incendio ai sensi dell'art. 424, cod. pen., comma 1.
1.1 Al riguardo la sentenza impugnata, dopo avere affermato che in entrambi gli episodi commessi in danno del salumificio C. di Flagogna di Forgaria del Friuli, capo 1), e del macello Tuttocarni di Osoppo, capo 9), doveva escludersi l'intenzione degli imputati di cagionare un incendio in senso proprio, avendo le loro azioni dimostrato piuttosto il proposito di danneggiare quegli impianti e quei beni per il loro valore simbolico di strumenti dell'avversata produzione di carni animali e di impedirne l'ulteriore prosecuzione, in punto di fatto ha ravvisato il concreto pericolo di insorgenza di un incendio.
1.1.1 In particolare, con riferimento all'azione compiuta ai danni del salumificio C.P., sulla scorta dei dati desumibili dalla documentazione fotografica e dalle dichiarazioni rese dal personale dei Vigili del Fuoco intervenuti, ha evidenziato che:
- le fiamme avevano attinto e distrutto completamente quattro furgoni e stavano per propagarsi ad un quinto veicolo grazie al carburante cosparso sulla relativa carrozzeria, al punto che lo specchietto retrovisore esterno di tale mezzo era stato deformato dal calore, mentre la sua distruzione era stata evitata per il trasferimento in altro punto ad opera del figlio del titolare;
- le operazioni di spegnimento del rogo, definito anche dal primo giudice "importante e generalizzato", avevano richiesto l'intervento di due squadre di Vigili del Fuoco per un'ora e l'impiego di acqua e schiumogeno;
- la propagazione delle fiamme ad altro insediamento industriale, situato nei pressi, era stata evitata dal lancio di getti di acqua sul tetto di tale edificio, effettuato dagli operatori per impedire che fosse aggredito dalle fiamme;
- la distanza tra i furgoni, parcheggiati con la parte anteriore rivolta verso il fabbricato, e l'edificio stesso sede dell'impresa era di appena cinque metri, sicchè facilmente una scintilla avrebbe potuto raggiungerlo;
- la presenza di liquido infiammabile riversatosi sull'asfalto circostante avrebbe potuto costituire altro fattore di diffusione del fuoco.
1.1.2 In ordine all'episodio commesso in danno dell'impianto di macellazione Tuttocarni, ha rilevato che:
- le fiamme, appiccate ad un furgone frigorifero ed estesesi ad una tettoia soprastante, fissata all'edificio sede del macello, con danneggiamento dell'impianto elettrico, di quello di climatizzazione, del motore del cancello elettrico e di una idropulitrice, erano state estinte con l'utilizzo di due "naspi" ovvero lance ad acqua ad alta pressione nel corso di intervento protrattosi per quindici-venti minuti;
- la tettoia, completamente avvolta dalle fiamme, era stata distrutta;
- la distruzione dell'impianto di climatizzazione avrebbe potuto determinare la fuoriuscita di gas sotto pressione, con la conseguente veicolazione di scintille e diffusione ulteriore delle fiamme;
- il fuoco aveva lambito la tubatura di gas metano, fissata alla parete dell'edificio del macello, tanto che i Vigili del Fuoco avevano deciso di interrompere l'afflusso di gas a monte nell'incertezza sulla capacità di tenuta del condotto, che, se già lesionato dalle intemperie, avrebbe potuto produrre una fiammata continua, proprio perché alimentata dal gas.
1.1.3 In entrambi i casi i pregiudizi subiti dagli automezzi combusti dimostravano il raggiungimento di temperature elevate, causa del concreto pericolo di esplosioni con l'ulteriore possibile diffusione delle fiamme, che facilmente avrebbero potuto raggiungere gli edifici contigui, cosa verificatasi parzialmente per la tettoia del macello, mentre, come già detto, per scongiurare tale possibilità il tetto del fabbricato confinante con il salumificio di Flagogna era stato irrorato d'acqua. La Corte di merito ha quindi dissentito anche dalla valutazione, operata dal G.U.P., circa le dichiarazioni rese dai testi Z. e L.M., i quali avevano escluso la possibilità di ulteriore propagazione del rogo ad altri edifici o ad altre zone prossime per mancanza di vento e per essersi le fiamme sviluppate all'aperto, perché tali informazioni erano provenienti da soggetti che, seppur esperti nel settore specifico, non erano stati in grado di fornire dati precisi sulle condizioni meteorologiche e climatiche in modo da far escludere in modo attendibile e scientifico il pericolo di diffusione delle fiamme sino alla boscaglia nel caso del salumificio. Del resto anche la possibilità di aggressione degli infissi e dei vetri delle aperture dell'edificio sede di tale impianto industriale, secondo quanto riportato nei ricorsi, attesta di un evento lesivo che aveva capacità diffusiva e penetrativa all'interno del fabbricato.
2. Deve dunque affermarsi che i giudici di appello hanno ampiamente giustificato la sussistenza del pericolo di incendio in base ad una pluralità di dati fattuali, non contestati nei ricorsi, richiamatisi ai difformi giudizi emessi dal G.U.P., relativi alle dimensioni del fuoco, alle sue caratteristiche, alla ubicazione dei punti di innesco ed alla conformazione dei luoghi, tutti elementi già tenuti in considerazione dai giudici di appello, la cui motivazione appare adeguata e logicamente coerente, tale da escludere la sussistenza dei vizi dedotti dai ricorrenti, le cui contrarie asserzioni si profilano quali contestazioni in fatto, di per sè estranee all'ambito cognitivo proprio del giudizio di legittimità.
2.1 La decisione impugnata si è allineata al principio di diritto per cui l'elemento oggettivo che distingue il danneggiamento dal danneggiamento seguito da incendio consiste nel pericolo di incendio che caratterizza quest'ultima fattispecie: premesso che per incendio s'intende un rogo che divampa in vaste proporzioni, diffusivo e non facilmente estinguibile, tale da esporre a pericolo l'incolumità di un numero indeterminato di persone e che il pericolo di incendio consiste nella probabilità che le fiamme appiccate abbiano uno sviluppo distruttivo nei termini sopra esposti, da desumersi dalla situazione di fatto verificatasi quanto alle dimensioni e caratteristiche del fuoco, rapportate all'oggetto del danneggiamento, nel caso del delitto di cui all'art. 635 cod. pen. l'autore della condotta impiega il fuoco per compromettere il bene proprio o altrui allo scopo di danneggiarlo, ma realizza il proprio l'intento senza dar luogo ad incendio e nemmeno alla possibilità del suo verificarsi; mentre se dal fuoco può derivare il pericolo di incendio, allora è ravvisabile la diversa fattispecie di cui all'art. 424 cod. pen., comma 1 (Cass. sez. 6, n. 35769 del 22/04/2010, P.G. in proc. Musco e altri, rv. 248585; sez. 1, n. 16295 del 04/03/2010, Paragona, rv. 246660; sez. 2, n. 29921 del 24/07/2002, Leone, rv. 222118; sez. 3, n. 1731 del 26/11/1998, Buda G, rv. 212549; sez. 1, n. 5251 del 14/01/1998 , Pozzi, rv. 210486; sez. 1, n. 2252 del 05/04/1996, Samaritani, rv. 204814).
3. Le difese del D. e dell'A. contestano poi la correttezza della decisione impugnata laddove ha configurato il concorso formale tra i delitti di ingiurie e minaccia e quello di imbrattamento, che pretendono assorba i primi, secondo quanto già ritenuto dal primo giudice.
3.1 Anche sul punto la sentenza offre esauriente e logica illustrazione delle ragioni della decisione: ha, infatti, considerato che l'ipotesi criminosa prevista dall'art 639 cod. pen., forma meno grave rispetto a quella di danneggiamento, prevista dall'art. 635 stesso codice, è posta a tutela della proprietà ed è finalizzata ad impedire la menomazione della situazione patrimoniale del soggetto passivo attraverso il deturpamento o l'imbrattamento di cosa che gli appartiene. Diversamente, le norme di cui agli artt. 594 e 612 cod. pen. proteggono beni giuridici immateriali, perché puniscono la violazione dell'onore e della libertà personale, sicchè, qualora l'azione, come nel caso in esame, sia consistita nel tracciare sui muri degli edifici ove si erano compiuti i "raid" animalisti delle scritte con vernice, contenenti epiteti offensivi perchè marcatamente negativi quali "nazisti", "stupratore", oppure frasi preannuncianti conseguenze temibili future, quali ""fuoco alle fabbriche di morte" e "macellai al macello, animali liberi", allusive alla distruzione degli impianti industriali con il fuoco ed all'uccisione dei loro proprietari e gestori, deve ritenersi che sussista il concorso formale fra le fattispecie penali e non l'assorbimento invocato dalle difese. A nulla vale opporre che le scritte avrebbero finalità di rivendicazione dell'iniziativa criminosa, dal momento che tale rilievo attiene al movente e non coinvolge la plurioffensività oggettiva delle condotte e la conseguente sussistenza della circostanza aggravante di cui all'art. 61 nr. 2 cod. pen., dal momento che il reato di cui all'art. 639 cod. pen. era stato posto in essere per esprimere e con particolare efficacia il messaggio ingiurioso e minaccioso.
3. Infine, in ordine alla circostanza aggravante di cui all'art. 625 nr. 7 cod. pen., che la difesa dell'A. sostiene insussistente, la Corte di merito ha già rilevato che l'esposizione alla pubblica fede dei veicoli dati alle fiamme era deducibile dal fatto che gli stessi erano stati lasciati in sosta in aree facilmente raggiungibili anche solo scavalcando una rete di recinzione, peraltro assente nel caso della trattoria "Al Cacciatore", senza fosse stata approntata alcuna forma di sorveglianza specifica, né mediante dispositivi antifurto o antieffrazione, né a mezzo di servizio di vigilanza. A tal fine la presenza di una recinzione di modeste dimensioni e di non impenetrabile consistenza non costituiva ostacolo alla possibilità di configurare l'aggravante in questione, secondo quanto già affermato in casi similari da questa Corte con orientamento del tutto condivisibile (sez. 5, n. 15009 del 22/02/2012, Maltese, rv. 252486; sez. 5, n. 9022 del 08/02/2006, Giuliano, rv. 233978; sez. 2, n. 7059 del 28/02/1986, Baccani, rv. 173330; sez. 2, n. 8798 del 17/01/1991, Crisafulli, rv. 188119).
Invero, posto che per pubblica fede s'intende il senso di rispetto per l'altrui bene da parte di ciascun consociato, sul quale fa affidamento chi lasci la cosa propria in luogo incustodito e non protetto, tale condizione può ravvisarsi anche se l'oggetto sia collocato in luogo privato in cui, per mancanza di recinzioni o di vigilanza, sia consentito accedere senza ostacoli, oppure facilmente grazie a recinzioni o barriere di semplice superamento, in modo tale che il compimento dell'azione criminosa ne sia agevolato, situazione che la sentenza impugnata ha ben illustrato con motivazione giuridicamente corretta.
4. Infine, va rilevato che, per avere subito il procedimento vari periodi di sospensione per totali mesi quattro e giorni ventiquattro, determinati da richieste difensive, il termine massimo di prescrizione di tutti i reati è decorso in un momento successivo alla sentenza della Corte di Appello; pertanto, come affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, l'inammissibilità genetica dell'impugnazione per difetto di specificità o manifesta infondatezza delle censure, come già rilevato, non consentendo il formarsi di un valido rapporto d'impugnazione, interdice la possibilità di far valere o rilevare d'ufficio la causa estintiva maturata nelle more della trattazione del ricorso per cassazione (Cass. S.U. n. 32 del 22/11/2000, De Luca, rv. 217266; S.U. n. 33542 del 27/6/2001, Cavalera, rv. 219531, S.U. n. 23428 del 22/3/2005, Bracale, rv. 231164).
Per le considerazioni esposte, i ricorsi vanno dichiarati inammissibili con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di impugnazioni di tale tenore, al versamento della somma, che si stima equo determinare in euro 1.000,00, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno della somma di euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
17-05-2014 00:43
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