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Sentenza

Condannati due genitori troppo possessivi. Il reato contestato: molestie continuate in danno della figlia, perché l’avevano attesa nei pressi della pensione dove alloggiava, l’avevano poi seguita per strada, recandole molestia e disturbo, dato che la stessa non voleva più intrattenere alcun tipo di rapporto con i genitori. La Cassazione conferma la condanna.
Condannati due genitori troppo possessivi. Il reato contestato: molestie continuate in danno della figlia, perché l’avevano attesa nei pressi della pensione dove alloggiava, l’avevano poi seguita per strada, recandole molestia e disturbo, dato che la stessa non voleva più intrattenere alcun tipo di rapporto con i genitori. La Cassazione conferma la condanna.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 marzo – 9 aprile 2014, n. 15846
Presidente Chieffi – Relatore Boni

Ritenuto in fatto

1. Con sentenza resa il 6 ottobre 2011 il Tribunale di Lucca, sezione distaccata di Viareggio, dichiarava gli imputati F.N. e S.M.A. responsabili del reato di molestie continuate in danno della figlia F.O. , che per petulanza o altri biasimevoli motivi avevano atteso nei pressi della pensione ove era alloggiata ed avevano seguito per strada, recando molestia e disturbo alla stessa, che non aveva inteso intrattenere rapporti con gli stessi, in (omissis) e, per l'effetto, li aveva condannati alla pena di Euro 500,00 di ammenda ciascuno, oltre al pagamento in solido delle spese processuali ed al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, da liquidare in separata sede, nonché alla rifusione delle spese di costituzione da essa sostenute.
2. Avverso detta pronuncia hanno proposto appello, riqualificato come ricorso per cassazione dalla Corte di Appello di Firenze, gli imputati, i quali hanno dedotto che il Tribunale avrebbe dovuto mandarli assolti per l'insufficienza della prova dei fatti contestati, risoltasi nelle dichiarazioni inattendibili della parte lesa, soggetto già tossicodipendente e con problemi psicologici, animata da rancore verso i genitori per avere costoro instaurato nei suoi confronti un giudizio d'interdizione, conclusosi col rigetto della domanda; inoltre, la motivazione della sentenza era infondata ed insufficiente.

Considerato in diritto

Il ricorso è inammissibile perché fondati su motivi non consentiti e manifestamente infondati.
1. La sentenza impugnata ha fondato il giudizio di colpevolezza non soltanto sulle dichiarazioni rese dalla persona offesa, ma anche su quanto emerso dalla sentenza del Tribunale di Lucca che aveva respinto la domanda di interdizione proposta dagli imputati nei confronti della figlia e dalla documentazione allegata: ne ha dedotto la prova che costei per un periodo protratto di oltre due anni, iniziato dal momento in cui, dimessa da comunità per tossicodipendenti, aveva deciso di andare a vivere per conto proprio, era stata oggetto di plurime condotte moleste e fastidiose, poste in essere dai propri genitori, i quali le avevano rivolto offese, minacce ed anche percosse in un episodio, in ragione dell'aperto dissenso con la sua decisione di convivere con altra persona e dei sentimenti di possessività e di prevaricazione, manifestati soprattutto dal padre. Tali atteggiamenti avevano interferito negativamente sulla sua sfera privata e sulla sua vita e non erano stati determinati da affetto e sollecitudine genitoriale, dal momento che il rapporto personale tra di essi si era da tempo deteriorato, come confermato dal giudizio civile.
1.1 Ebbene, a fronte di pronuncia supportata da apparato motivazionale sintetico, ma sufficiente nell'indicazione delle fonti di prova e del convincimento del giudice, strutturato in modo logico ed aderente ai dati fattuali acquisiti, il ricorso si limita ad invocare un diverso e più favorevole approdo decisorio in termini di assoluzione e sviluppa censure in ordine all'inattendibilità della teste d'accusa ed ai vizi di capacità dai quali sarebbe affetta, non deducibili nel giudizio di legittimità, trattandosi delle tipiche doglianze riguardanti il materiale probatorio e la sua valutazione, operazione appartenente al patrimonio esclusivo del giudice di merito. Al giudice di legittimità compete soltanto la verifica della contrarietà di un provvedimento a norme di legge ed ai principi di logica e non contraddizione.
1.2 Invero, giova ricordare che in linea generale, pur nell'attuale formulazione, la norma di cui all'art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di cassazione una diversa considerazione dei dati processuali (Cass., sez. 6, n. 299 del 30/11/1994, Baldi, rv. 200842; Cass., sez. 1, n. 9290 del 27/7/1995, Chiadò, rv. 202228), o una diversa interpretazione delle prove (Cass., sez. 1, n. 4676 del 5/11/1993, Molino, rv. 196353, Cass., sez. un., n. 30 del 27/09/1995, Mannino, rv. 202903), perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati probatori; inoltre, l'art. 606 cod.proc.pen., lett. e), quando esige che il vizio della motivazione risulti dal testo del provvedimento impugnato, si limita a fornire solo una corretta definizione del controllo di legittimità sul vizio di motivazione (ex multis: Cass. sez. 5, n. 39843 dei 9/11/2007, Gatti; sez. 5, n.1004 del 30/11/1999, Moro, rv. 215745; sez. 2, n. 2436 del 21/12/1993, Modesto, rv. 196955).
La sentenza impugnata resiste dunque alle censure mosse col ricorso, che va dunque dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno, in ragione dei profili di colpa insiti nella proposizione di impugnazione di tale tenore, della somma che si stima equa di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e ciascuno al versamento della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende.
Avv. Antonino Sugamele

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