Clan casalesi. Commando esplode tre colpi di calibro 12, uccidendo la vittima che si assumeva essere dei servizi segreti. Confermata la misura cautelare in carcere.
Cassazione penale sez. I
Data:
23/05/2014 ( ud. 23/05/2014 , dep.18/07/2014 )
Numero: 31759
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SIOTTO Maria Cristin - Presidente -
Dott. NOVIK Adet Ton - rel. Consigliere -
Dott. DI TOMASSI Mariastefania - Consigliere -
Dott. CAPRIOGLIO Piera M.S. - Consigliere -
Dott. LA POSTA Lucia - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI NAPOLI;
nei confronti di:
B.F. N. IL (OMISSIS);
B.A. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 8267/2013 TRIB. LIBERTA' di NAPOLI, del
11/11/2013;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ADET TONI NOVIK;
sentite le conclusioni del PG Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso
per l'annullamento con rinvio dell'ordinanza impugnata.
Fatto
RILEVATO IN FATTO
Il G.I.P. del Tribunale di Napoli, in data 21/10/2013, emise ordinanza con la quale applicò la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di B.A. e B. F., in relazione ai delitti di cui agli artt. 81 cpv. e 110 c.p., art. 112 c.p., n. 1, art. 575 c.p., art. 577 c.p., n. 3 perchè "in concorso fra loro e con D.G., D.B.F., D'.Ci., P.N., P.S., S.F., S.W. per i quali si è proceduto separatamente, agendo in numero superiore a cinque, e con più azioni esecutive di medesimo disegno criminoso, esplodendo distanza ravvicinata tre cartucce di fucile calibro 12 caricate a pallettoni in direzione di Sc.Al. ed attingendolo in parti vitali del corpo, ne cagionavano il decesso, avendo B.A., B.F. e S.A. agito quali mandanti e organizzatori". Fatto aggravato dalla premeditazione e dall'aver agito al fine di agevolare il clan dei casalesi, in particolare della fazione facente capo alla famiglia Schiavone. In (OMISSIS).
Per tale vicenda, con sentenza del 29/10/2004 la Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere aveva condannato D.G., S.F., S.W., D.B.F., mentre aveva assolto D'.Ci., P.N. e P. S..
Il (OMISSIS) D'., a seguito della scelta di collaborare con la giustizia, si era accusato dell'omicidio di Sc., dichiarando di essere stato incaricato di commettere il reato da S.A., fratello di S.W. e di S.F., detto (OMISSIS). S.W. lo aveva convocato a casa sua e lo aveva inviato a casa di S.A. che doveva riferirgli cose importanti. Si era incontrato con S.A. nel suo studio e lui aveva un "pizzino" di carta velina arrotolato trasmessogli dal fratello S.F., dove era scritto che bisognava uccidere Sc.Al., ritenuto confidente della polizia. Il "pizzino" era stato consegnato a S.A. da N.G., moglie di S. F., che lo aveva ricevuto dalla moglie di R.G..
Il collaborante aveva quindi particolarmente descritto le modalità con cui era stato eseguito il delitto e i soggetti che vi avevano preso parte.
A seguito delle propalazioni di D'. era seguita attività di indagine e assunzione di dichiarazioni da parte di altri collaboratori di giustizia tra cui i fratelli D.L., esponente di spicco del clan dei casalesi, e D.A. che già in precedenza avevano reso informazioni, C.A., V. R..
Ripercorrendo in ordine cronologico le dichiarazioni rilasciate dai collaboratori il GIP poneva in evidenza che:
D.L.:
- nell'interrogatorio del 3 maggio 2005 aveva riferito che l'omicidio Sc. era strettamente collegato a quello di D.F.. Egli aveva ricevuto, da parte di S.F., detto (OMISSIS), per il tramite del fratello S.A. e da parte di B.F., per il tramite del figlio B. A., l'"imbasciata" unica di uccidere D.F. e S., destinata anche a S.W. e Z.M..
La decisione di procedere agli omicidi doveva rimanere riservata in quanto le vittime erano collegate con i servizi segreti, ma S.W. ne aveva parlato con S.C..
Successivamente egli era stato arrestato e aveva appreso dal fratello A. che l'omicidio era imminente. Questi successivamente gli raccontò i particolari. Aveva avuto conferma dello svolgimento dei fatti da B.F..
- Dichiarazioni sovrapponibili erano state rese da D. nel successivo interrogatorio del 22 settembre 2005. - Nell'interrogatorio del 12 settembre 2013 D. dettagliò ulteriormente l'episodio. Fu B.F. a dare al figlio B.A. l'ordine di uccidere le predette persone.
B.A. venne a casa sua e insieme andarono a casa di Z.M. che si dichiarò d'accordo. La sera D. e Z.M. si recarono a casa di S.W. e qui trovarono anche S.A.. D. e Z. riferirono a S.W. l'ordine ricevuto e questi rispose di aver ricevuto analoga "imbasciata" da parte di An., che l'aveva ricevuta da S.F. detto (OMISSIS).
An. aveva dato conferma di quanto appena detto e li aveva avvisati di stare attenti perchè le persone da uccidere avevano rapporti con le forze dell'ordine e appartenevano ai servizi segreti.
Precisava che mentre andavano a casa di Z.A. gli aveva riferito di aver già parlato con S.A. e S. W. dell'incarico omicidiario ricevuto dal padre, i quali gli avevano detto che anche loro avevano ricevuto lo stesso incarico da S.F. per il tramite di An.. Per regola interna al clan nessun omicidio poteva essere commesso da D. e Z. se non ricevevano l'ordine congiunto da B. F. e S.F., detto (OMISSIS) (ord. G.I.P., pag. 4). Mentre era detenuto, D. aveva avuto notizia dell'omicidio e dei particolari dal fratello A.. Il fratello gli aveva anche detto che gli organizzatori dell'omicidio di Sc. erano stati S.W., B.F. e S.F. detto (OMISSIS), che erano liberi, ma il mandato era pervenuto da S.F., detto (OMISSIS), per il tramite del fratello An. durante i colloqui.
D.A.:
- Nell'interrogatorio del 20 marzo 2006 D.A. dichiarò di aver riferito al fratello D.L., non ricordandosi se prima o dopo l'omicidio, che B.A. gli aveva detto che la famiglia Schiavone aveva comunicato alla famiglia BIDOGNETTI che Sc. doveva essere ucciso perchè amico di D.F. e confidente delle forze dell'ordine. Aveva saputo che gli omicidi erano stati compiuti da esponenti del clan Schiavone.
- Nell'interrogatorio del 5 giugno 2013, ricostruita la genesi degli omicidi, D.A. espose che B.A. gli aveva raccontato che lui ed An., nel corso dei colloqui con i rispettivi familiari, B.F. e S.F., avevano chiesto l'autorizzazione ad uccidere Sc.Al..
S.A. aveva riferito che questa decisione in realtà era stata già presa da S.W., all'epoca reggente del clan, per timore di delazioni da parte di Sc..
S.A. aveva dovuto richiedere l'autorizzazione a S.F. nel corso di un colloquio, dal momento che S.W. non si recava più a colloquio con il fratello per timore di attentati. S.F. aveva autorizzato l'omicidio durante un colloquio con An. e questi lo aveva riportato a S.W.. S.A. aveva parlato di ciò con B.A., che aveva a sua volta informato D. A. quando insieme si recavano a fare i colloqui con i rispettivi congiunti. D.A. aveva ricevuto questa informazione in quanto all'epoca era ancora affiliato al gruppo BIDOGNETTI. Comunque, B.A. aveva sentito direttamente S.F., detto (OMISSIS), quando questi aveva autorizzato l'omicidio, incaricando il fratello di riferirlo a S.W. per l'organizzazione.
Il G.I.P. ripercorreva anche le deposizioni rese da C. e D. B. relative al contesto in cui erano maturati gli omicidi D. F. e Sc..
Ritenuta quindi l'attendibilità dei collaboratori e fondata l'accusa nei confronti degli indagati emetteva la misura della custodia cautelare in carcere.
Avverso il provvedimento cautelare proponevano tempestivo riesame gli indagati.
Con ordinanza emessa il 11/11/2013, il Tribunale di Napoli in sede di riesame annullava l'ordinanza custodiale.
Il Tribunale rilevava in primo luogo una prima carenza nelle fonti probatorie utilizzate dal G.I.P. nella mancata trasmissione della sentenza emessa dalla Corte di Assise di appello di Napoli il 18 giugno 2008, confermata dalla Corte di cassazione, con cui S. F., detto (OMISSIS), era stato assolto dall'accusa di aver avuto il ruolo di mandante nell'omicidio di Sc.Al..
Detta sentenza era stata prodotta dalla difesa degli indagati sia nel procedimento di riesame a carico dei B., sia nel procedimento a carico di S.A.. La circostanza appariva di indubbia rilevanza dal momento che S.A. era accusato di aver riportato l'ordine di uccidere Sc. impartito da suo fratello (OMISSIS), che invece era stato assolto per non aver commesso il fatto con sentenza passata in giudicato.
Il Tribunale dava poi atto che la difesa degli indagati aveva prodotto altre dichiarazioni rese da D.L., diverse e contraddittorie rispetto a quelle prese in esame dal G.I.P., tali da evidenziare in maniera incontrovertibile l'assoluta inadeguatezza indiziaria relativamente all'omicidio Sc..
D.L.:
Il collaboratore era stato sentito in sede dibattimentale innanzi alla Corte di Assise di Appello di Napoli nell'udienza del 19/10/2006; 7 dicembre 2007 e 19/12/2007.
Nella prima udienza egli aveva dichiarato di avere ricevuto la notizia del mandato omicidiario da S.W., alla quale l'aveva riportata S.A. che, a sua volta, l'aveva ricevuta direttamente dal fratello "(OMISSIS)" durante un colloquio in carcere. Rispondendo alle domande di un difensore aveva puntualizzato di esserne stato informato da B.A., dopo un colloquio di questi con il padre. Insieme erano andati a casa di Z.M. ed B.A. li aveva invitati a parlare con S.W., cui la notizia di dover uccidere D. F.E. e successivamente l'avvocato Sc. era stata portata del fratello An.. D. e Z. erano andati a casa di S.W. che aveva dato conferma del fatto.
Nell'udienza del 7/12/2007 D. aveva ribadito la stessa versione.
Nell'udienza del 19 dicembre 2007, D. aveva dichiarato di aver parlato dell'omicidio di Sc., sospettato di essere un delatore delle forze dell'ordine, con B.F. prima del cosiddetto blitz di (OMISSIS) ((OMISSIS)), in cui erano stati arrestati S.F. ((OMISSIS)) e B. F.. B. gli aveva detto che dopo D.F. bisognava uccidere anche Sc.. D. si era recato insieme a Z. e a S.W. a casa di S.C., che aveva confermato che dopo D.F. bisognava uccidere anche Sc., cosa di cui Ca. aveva già parlato con B. e con S.F.. B.A. dal carcere gli aveva fatto pervenire l'ordine di uccidere soltanto D. F.. D. precisava di aver saputo i particolari dell'omicidio da B.F., D.G., P.N., P. S., D'.Ci., dopo la sua scarcerazione.
Il Tribunale del riesame aveva quindi fatto il raffronto tra queste ultime dichiarazioni di D. o quanto riferito il 12 settembre 2013. Evidenziava quindi le discordanze esistenti:
- solo nell'ultimo interrogatorio D. aveva ricordato la presenza di S.A. nel corso dell'incontro casa di S. W.; all'udienza del 19 ottobre 2006 alla domanda del Procuratore generale che gli aveva chiesto se avesse parlato con S. A., D. aveva risposto "con A. no. Io ho parlato sia con S.W., sia con B.A..... loro mi dissero che l'"imbasciata" la aveva portata S.A.";
- mentre nell'interrogatorio del 19 dicembre 2007 D. aveva riferito che l'ordine di uccidere riguardava soltanto D.F. E., in quello del 2013 riferisce che il mandato concerneva D. F. e Sc.;
- l'ondivaga indicazione sulla fonte delle sue conoscenze sull'omicidio, indicate nel fratello A. e, dopo la sua scarcerazione, in B.F., peraltro arrestato prima dell'omicidio di Sc. e mai più tornato in libertà;
- sulla posizione assunta da S.C., che per il collaborante aveva confermato che subito dopo D.F. bisognava uccidere Sc., mentre in dibattimento innanzi alla Corte di Assise di Appello aveva dichiarato di ritenere illogica l'eliminazione di Sc., non più in grado di nuocere dopo l'uccisione di D.F., precisando di essersi meravigliato ed arrabbiato quando seppe da S.W. che l'esecuzione era stata decisa da S.F., detto (OMISSIS), e da S.W..
Ad avviso del Tribunale quindi, quanto esposto, evidenziare in maniera incontrovertibile l'assoluta inadeguatezza indiziaria delle dichiarazioni di D.L. in merito all'omicidio dello Sc..
D.A.:
Anche D.A. "a distanza di sette anni ha ricordato meglio".
Anche in relazione alle sue dichiarazioni il Tribunale del riesame evidenzia le discordanze:
- il 23 marzo 2006, il collaboratore aveva dichiarato che, quando avvenne l'omicidio, suo fratello L. era detenuto e di avergli parlato del fatto che B.A. gli aveva detto che la famiglia Schiavone aveva mandato a dire alla famiglia BIDOGNETTI che Sc. doveva essere ammazzato perchè era amico di D.F. e confidente delle forze dell'ordine. Aveva saputo da B. A. che l'omicidio era stato realizzato da componenti della famiglia Schiavone. Poi non aveva saputo più nulla perchè era stato arrestato nel 1993;
- nel 2013, il recupero della memoria era stato prodigioso perchè aveva aggiunto ulteriori particolari: B.A. gli aveva riferito che nel corso dei colloqui in carcere lui e S. A. avevano chiesto ai rispettivi familiari, B. F. e S.F., l'autorizzazione ad uccidere Sc.. Sc.An. aveva riferito che la decisione di commettere l'omicidio era stata già presa da S.W., ma che comunque lui aveva dovuto richiedere l'autorizzazione a S.F. ((OMISSIS)). Nel dibattimento non era stato rilevato il contrasto con la precedente dichiarazione del 2006, pur essendo stato l'interrogatorio preceduto dalla conferma delle precedenti dichiarazioni;
- D. nel 2013 aveva ricordato che S.W. non si recava ai colloqui con il fratello detenuto perchè temeva per la sua incolumità, mentre invece era accertato che colloqui erano intervenuti dal 5/2/1991 al 26/2/1991 e dal 3/12/1991 al 31/12/1991.
Ragione per cui, ad avviso del Tribunale, non si vede il motivo per cui S.F. avesse dovuto servirsi del fratello An., per comunicare un ordine che avrebbe potuto tranquillamente dare direttamente a S.W. nel colloquio del 19/9/1991, cioè 30 giorni prima dell'omicidio di Sc.;
- mentre D.A. aveva dichiarato di non conoscere i nomi degli esecutori materiali dell'omicidio, D.L. li aveva espressamente enunciati, affermando di averli appresi dal fratello A. mentre era detenuto.
Ad avviso del Tribunale quindi, l'inattendibilità delle dichiarazioni di D.L. e D.A., per quanto atteneva l'omicidio Sc., determinava il crollo di tutto l'impianto accusatorio, non potendo le loro dichiarazioni costituire riscontro di quelle di D'., che non aveva fatto nessun riferimento agli indagati B.: oltretutto l'episodio del "pizzino" appariva inverosimile, considerando i rischi altissimi nel passaggio di un biglietto attesa la sorveglianza in essere nella sala colloqui.
D'. aveva infine motivi di rancore verso S. A. che gli aveva negato un aiuto economico.
Il Tribunale quindi escludeva nelle dichiarazioni dei collaboratori l'esistenza di riscontri individualizzanti e riteneva insufficiente la circostanza che in altre occasioni essi avessero potuto fornire un valido contributo per l'accertamento di altri fatti. Il G.I.P. si era limitato ad esporre in maniera acritica le dichiarazioni dei collaboranti, senza alcuna valutazione della reciproca compatibilità e verosimiglianza, e lo stesso pubblico ministero era criticabile perchè aveva trasmesso al giudice solo gli atti che aveva ritenuto utili ai fini della convalida della ricostruzione accusatoria, mentre aveva omesso di allegarne altri, tra cui la sentenza di assoluzione emessa dalla Corte di Assise di Appello nei confronti di S. F., detto (OMISSIS), dall'accusa di essere stato il mandante dell'omicidio Sc..
Avverso l'ordinanza, depositata l'11 dicembre 2013, ha proposto ricorso per cassazione il procuratore della Repubblica di Napoli con atto depositato il 20 dicembre, deducendo violazione di legge e manifesta illogicità della motivazione.
Il requirente ritiene in primo luogo che il Tribunale del riesame abbia omesso ogni valutazione degli indizi a carico degli indagati, avendo limitato la motivazione del provvedimento in base alla inattendibilità delle fonti di prova rispetto alla posizione dell'altro indagato S.A., nonostante la diversità delle posizioni.
Ritiene ancora l'irrilevanza, rispetto alla posizione degli indagati B., della mancata produzione della sentenza di assoluzione emessa nei confronti di S.F., dal momento che B.A. si era fatto portatore dell'ordine impartito dal padre.
Passando ad esaminare la posizione dei collaboranti, il Procuratore della Repubblica ritiene insufficiente e contraddittoria la motivazione del Tribunale del riesame circa la presunta contraddittorietà ed inattendibilità dei collaboratori di giustizia.
Quanto a D.L. esclude che le sue dichiarazioni siano mai state contraddittorie; al contrario nel corso del tempo si era assistito ad un importante recupero della memoria che gli aveva permesso, confermando quanto già dichiarato, di precisare ulteriormente il ruolo degli indagati nella vicenda relativa all'omicidio Sc.. D. nei vari interrogatori si era limitato a dare informazioni ulteriori senza mai contraddirsi in ordine al ruolo di B.F. (mandante) e B. A. (intermediario). I contrari convincimenti esposti da S.C. costituivano una mera ipotesi personale.
Anche per quanto attiene il collaboratore D.A., il Tribunale del riesame non motivava le ragioni che rendevano inattendibili le sue dichiarazioni solo per il fatto che nel tempo i ricordi erano divenuti più chiari, senza che vi fossero contrasti con le precedenti dichiarazioni.
Quanto alla circostanza che erano emersi colloqui tra S. W. e S.F. nel carcere di (OMISSIS), quella fatta dal Tribunale secondo cui se questi avesse deliberato l'omicidio di Sc. ne avrebbe parlato direttamente con S.W., era una semplice deduzione di cui non era stata spiegata la maggiore verosimiglianza rispetto a quella ritenuta dall'accusa. Nulla escludeva che l'omicidio fosse stato deliberato durante un colloquio con S.A. e che durante il colloquio con S.W. si fosse parlato dell'omicidio già autorizzato. In ogni caso, la motivazione era dissonante rispetto alla posizione dei B..
In uguale errore di motivazione era incorso il Tribunale laddove, esaminando le dichiarazioni rese da D'., aveva argomentato le ragioni dell'annullamento con riferimento alla posizione di S.A., ma non rispetto a B. F. e B.A..
Anche se D'. aveva fatto riferimento ad un "pizzino", è altresì vero che nel nucleo essenziale del fatto le sue dichiarazioni erano assolutamente collimanti con quelle rese dagli altri.
Poichè, secondo quanto ritenuto dalla giurisprudenza di legittimità, le dichiarazioni del collaborante apparivano convergenti in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione;
indipendenti da suggestioni e condizionamenti che avrebbero potuto inficiare il valore della concordanza; specifici sul nucleo centrale e significativo della questione fattuale da decidere, ad avviso del ricorrente, vertendosi in tema di misure cautelari e non di giudizio pieno, anche le dichiarazioni di D'. apparivano totalmente coincidenti con quelle rese da D.L. e D. A..
B.A., a mezzo del difensore di fiducia, ha depositato una memoria difensiva e chiede in primo luogo che il ricorso venga dichiarato inammissibile per la genericità dei motivi, essendosi il PM limitato a formulare censure di merito, offrendo una personale ricostruzione dei fatti.
Passando all'esame delle dichiarazioni dei collaboratori rileva, in sintesi, che D'. non aveva mai fatto il nome dei B. e il Tribunale del riesame aveva ampiamente sottolineato la discordanza tra le dichiarazioni di D.L. e quelle di D.A.. La rilettura delle dichiarazioni dei collaboratori nel giudizio di legittimità non era consentita, potendosi verificare solo la coerenza logica delle argomentazioni adottate dal giudice di merito.
Con memoria depositata il 16/5/2014, l'avv. Barbieri per conto di B. deduce la genericità dell'impugnazione del PM limitata a motivi di merito. La motivazione del Tribunale del riesame aveva ampiamente valutato le dichiarazioni dei fratelli D. ed evidenziato le discordanze esistenti. Nel ricorso il PM chiedeva la rivalutazione delle chiamate di correo, compito questo esulante dai poteri del giudice di legittimità.
Il Procuratore Generale ha chiesto l'annullamento con rinvio.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e va rigettato.
Il Tribunale del riesame, affrontando il punto della gravità indiziaria, ha spiegato con puntualità, nel rispetto dei criteri normativi dettati dall'art. 192 c.p.p., le ragioni per cui, nella vicenda specifica sottoposta al suo esame, le dichiarazioni dei collaboranti D.L., D.A. e D. C. erano inattendibili e inidonee a fondare "un giudizio di qualificata probabilità sulla responsabilità dell'indagato" in ordine ai reati addebitati. Si è di fronte ad una valutazione in fatto, che, in quanto prerogativa esclusiva del giudice di merito, non può essere posta in discussione in sede di legittimità, per accreditare, in linea con quanto si prospetta nel ricorso, una diversa e alternativa interpretazione dei materiale acquisito, operazione questa non idonea ad attivare il sollecitato sindacato di legittimità. Ed invero, il sindacato di legittimità in tema di provvedimenti cautelari deve limitarsi al riscontro dell'esistenza di una motivazione che rispetti i canoni logici, nel senso che deve sussistere la coordinazione logica tra le varie proposizioni della motivazione e che devono essere rispettate le norme del codice di rito in relazione alla sussistenza dei presupposti normativi per l'emissione del provvedimento cautelare, senza alcuna possibilità di rivalutare, in questa sede, le emergenze delle indagini, essendo limitati i vizi denunciabili in sede di legittimità, quanto alla motivazione, alla mancanza di questa o alla contraddittorietà o alla illogicità risultante dal testo ovvero da altri atti specificamente indicati nei motivi di gravame.
Va in primo luogo rilevato, diversamente da quanto ritenuto nel ricorso, che avendo il G.I.P nell'ordinanza cautelare posto in evidenza che per l'omicidio Sc., S.F., detto (OMISSIS), indicato quale mandante unitamente a B. F. (pag. 23), era stato condannato alla pena dell'ergastolo con sentenza 29/10/2004 della Corte di assise di S. Maria C. V., non era irrilevante il fatto che nel prosieguo egli fosse stato assolto da questo reato con sentenza definitiva. Non si tratta di preclusione derivante da giudicato, nè il Tribunale del riesame lo ha trattato come tale, ma di un fatto storico su cui il primo giudice, se ne fosse stato informato, avrebbe dovuto prendere specificamente posizione, indicando quanto meno le ragioni per cui la statuizione assolutoria di S.F. non influiva su una imputazione che lo vedeva ancora concorrente in quel reato (situazione peraltro non priva di rilievo nell'ottica dell'art. 630 c.p.p., lett. a).
Nemmeno è corretto limitare la rilevanza della produzione della sentenza alla sola posizione di S.F., e ritenerla irrilevante per quella di B., dal momento che è lo stesso pentito D.L. ad accomunare le due posizioni, allorquando afferma che la realizzazione dell'omicidio era possibile solo su ordine congiunto di S.F. e B.F..
Se si esclude, come parrebbe evincersi dalla sentenza assolutoria, che S.F. abbia assunto un ruolo di concorrente, o di mandante, nell'omicidio è di tutta evidenza che B. F. da solo non avrebbe potuto impartire l'ordine di uccidere Sc..
Una presa di posizione su questo aspetto era obbligatoria e, correttamente, il Tribunale del riesame ha stigmatizzato l'incompletezza degli atti trasmessi al giudice della cautela.
Sul punto specifico dell'attendibilità dei dichiaranti, le giurisprudenza di questa Corte di cassazione è costante nel ritenere che "Ai fini della corretta valutazione del mezzo di prova di cui si discute, infatti, la metodologia a cui il giudice di merito deve conformarsi non può che essere quella "a tre tempi" indicata da Sez. U, n. 1653 del 21/10/1992, dep. 22/02/1993, Marino, Rv. 192465: a) credibilità del dichiarante, desunta dalla sua personalità, dalle sue condizioni socio-economiche e familiari, dal suo passato, dai rapporti col chiamato, dalla genesi remota e prossima delle ragioni che lo hanno indotto all'accusa nei confronti del chiamato; b) attendibilità intrinseca della chiamata, in base ai criteri della precisione, della coerenza, della costanza, della spontaneità; c) verifica esterna dell'attendibilità della dichiarazione, attraverso l'esame di elementi estrinseci di riscontro alla stessa" (S.U. 20804/13, Aquilina).
Allorquando poi i riscontri alla accusa del dichiarante si rinvengono in dichiarazioni di pari natura, la dichiarazione accusatola utilizzabile come riscontro di altra di analogo tenore soggiace allo stesso controllo di attendibilità intrinseca che vale per quest'ultima. Nel richiamato arresto è stato precisato che "Il giudice deve poi procedere alla verifica che le ulteriori dichiarazioni accusatorie siano connotate da: a) convergenza delle chiamate in ordine al fatto materiale oggetto della narrazione; b) indipendenza - intesa come mancanza di pregresse intese fraudolente - da suggestioni o condizionamenti inquinanti; c) specificità, nel senso che la c.d. convergenza del molteplice deve essere sufficientemente individualizzante e riguardare sia il fatto nella sua oggettività che la riferibilità soggettiva dello stesso alla persona dell'incolpato, fermo restando che deve privilegiarsi l'aspetto sostanziale della concordanza delle plurime dichiarazioni d'accusa sul nucleo centrale e più significativo della questione fattuale da decidere; d) autonomia "genetica", vale a dire derivazione non ex unica fonte, onde evitare il rischio della circolarità della notizia, che vanificherebbe la valenza dell'elemento di riscontro esterno e svuoterebbe di significato lo stesso concetto di convergenza del molteplice.
Dall'esito positivo di tale delicata e complessa operazione valutativa è agevole dedurre la prova della res iudicanda".
L'applicazione di questi principi ha indotto il Tribunale del riesame, con motivazione logica e coerente, a non ritenere attendibili i dichiaranti, in ragione delle incostanti dichiarazioni e delle contraddizioni riscontrate su aspetti non marginali tra quanto da essi dichiarato nei diversi esami cui furono sottoposti.
Il Tribunale individua le principali contraddizioni:
- quanto a D.L., mentre nell'interrogatorio del 19/10/2006 relativamente al mandato omicidiario aveva escluso di aver parlato con S.A., nell'esame del 12/9/2013 aveva ricordato la presenza di S.A. nel corso dell'incontro a casa di S.W.;
- mentre nell'esame del 3/5/2005 aveva dichiarato di aver ricevuto l'ordine di uccidere D.F. e Sc., in quello del (OMISSIS) l'ordine ricevuto era stato di uccidere solo D.F. E.;
l'ondivaga indicazione della fonte delle sue conoscenze: "ora il fratello D.A., ora gli esecutori materiali, ora B.F., dopo la sua scarcerazione", affermazione inattendibile in quanto B. dopo l'arresto del (OMISSIS), prima dell'omicidio di Sc., non era più tornato in libertà.
Quanto a D.A., mentre nell'esame del 20/3/2006 aveva parlato genericamente dell'uccisione di Sc. affermando di aver saputo da B.A. che la famiglia Schiavone aveva fatto sapere a quella di B. che bisognava uccidere Sc. perchè amico di D.F., in quello del 5/6/2013 aveva riferito che B.A. gli aveva raccontato che in carcere lui è Sc.An. avevano chiesto l'autorizzazione di uccidere Sc., precisando che la detta decisione era già stata presa da S.W. che però non si recava più ai colloqui con S.F. per paura di attentati:
affermazione questa riscontrata falsa in quanto era emerso che S.W. aveva tenuto colloqui con il congiunto un mese prima dell'omicidio.
Quanto a D'., oltre a non far mai menzione di B., il Tribunale, con motivazione logica, ritiene inattendibili (e comunque non riscontrate) le dichiarazioni, apparendo incongruo che S.F., pur sottoposto a stretta sorveglianza, avesse inteso ribadire l'ordine, in tesi già impartito oralmente, mediante la trasmissione di un "pizzino", di cui non si percepiva la necessità.
Il ricorrente procuratore della Repubblica giustifica queste discordanze invocando per un verso il recupero della memoria dei collaboranti e per altro verso la convergenza delle dichiarazioni sul nucleo essenziale del fatto.
In ordine al primo profilo, è sufficiente ricordare che la massima di esperienza depone in senso contrario: con il passare del tempo i ricordi si accavallano e diventano confusi, e la memoria degrada.
Come ha acutamente osservato uno studioso del processo, proprio in tema di chiamate di correo "nello stadio del tempo l'oblio corre più veloce della memoria". A fronte di cambiamenti così radicali nelle dichiarazioni, era necessario un approfondimento che spiegasse adeguatamente il motivo per cui il ricordo si era modificato e quali ragioni lo avessero "rinverdito", così da evitare ogni sospetto di falsità, di collusioni o di semplice voglia di compiacimento verso le tesi accusatorie.
Quanto al secondo, sulla possibilità di valutazione frazionata delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, occorre sottolineare che essa non può trasformarsi in un espediente per eludere i criteri di attendibilità innanzi indicati, giacchè il c.d. principio di frazionabilità delle dichiarazioni e la possibilità di utilizzare quelle ritenute credibili ed estrinsecamente riscontrate presuppongono l'attendibilità del dichiarante.
Ciò è tanto vero che, in caso di eventuali accertate falsità di parte delle dichiarazioni, per utilizzare le altre parti di dichiarazioni ritenute vere, il giudice deve giustificare logicamente la ragione che ha originato la falsità, spiegare come e perchè questa non mina la generale attendibilità del dichiarante dimostrare la mancanza di interferenza tra parti false e il resto del narrato (cfr. Cass. Sez. 6, n. 7627 del 31/01/1996, Rv. 206590, Alleruzzo;
Sez. 6 n 6221/2006, Agheri; Sez. 5, n. 37327/2008, Palo; Sez. 4, n. 12349/2008, De Angioletti; Sez. 4, n. 9450/2008, Soldano).
Ne consegue il rigetto del ricorso.
PQM
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 23 maggio 2014.
Depositato in Cancelleria il 18 luglio 2014
16-08-2014 15:16
Richiedi una Consulenza