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Sentenza

Agli arresti domiciliari un indagato per avere utilizzato un terminale del gioco del Lotto, nella sua disponibilità in quanto coniuge della titolare della ricevitoria, per un ammontare complessivo di giocate fraudolente pari a circa 2.000.000 di Euro.
Agli arresti domiciliari un indagato per avere utilizzato un terminale del gioco del Lotto, nella sua disponibilità in quanto coniuge della titolare della ricevitoria, per un ammontare complessivo di giocate fraudolente pari a circa 2.000.000 di Euro.
Cassazione penale  sez. II   
Data:
    12/02/2014 ( ud. 12/02/2014 , dep.20/02/2014 ) 
Numero:
    8068

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                           SEZIONE SECONDA PENALE                        
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. ESPOSITO  Antonio        -  Presidente   -                     
    Dott. TADDEI    Margherita     -  Consigliere  -                     
    Dott. IASILLO   Adriano        -  Consigliere  -                     
    Dott. RAGO      Geppino        -  Consigliere  -                     
    Dott. DI MARZIO Fabrizio       -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
               F.M., nato il (OMISSIS); 
    avverso  la  ordinanza  del  Tribunale della  libertà  di  Roma  del 
    14.10.2013. 
    Sentita  la  relazione della causa fatta dal consigliere Fabrizio  Di 
    Marzio; 
    udita  la  requisitoria  del  sostituto  procuratore  generale  Luigi 
    Riello,  il quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato 
    inammissibile. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    Con l'ordinanza in epigrafe la sezione del riesame del Tribunale di Roma, decidendo sull'appello proposto nell'interesse di F. M. avverso l'ordinanza emessa dal Gip di quel Tribunale in data 18.9.2013 - che aveva applicato il predetto la misura degli arresti domiciliari per il delitto di truffa aggravata ed accesso abusivo al sistema informatico oltre che simulazione di reato - ha confermato l'ordinanza impugnata.

    Nel ricorso presentato si contestano violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari affermate nel provvedimento impugnato, non emergendo agli atti nessun concreto pericolo di commissione di ulteriori reati ed avendo il Tribunale argomentato, al contrario, la sussistenza dello stesso, limitandosi a richiamare la gravità dei fatti e la personalità dell'indagato, senza tuttavia evidenziare concreti dati da cui desumere la sussistenza del pericolo in parola.

    Il Tribunale, inoltre, nemmeno avrebbe ritenuto di valorizzare il fatto oggettivo della condizione di incensuratezza dell'imputato, e tanto meno avrebbe logicamente apprezzato l'inserimento dello stesso in un sano contesto familiare e lavorativo.

    Si contesta infine violazione di legge in relazione all'art. 284 c.p.p., comma 3 avendo ritenuto il Tribunale ricorrere, nel caso di specie, i presupposti per il diniego della richiesta di allontanamento dal luogo di esecuzione degli arresti domiciliari per l'esercizio dell'attività lavorativa benchè ciò fosse stato argomentato dalla difesa come necessario per la soddisfazione di ogni bisogno primario per sè e la famiglia.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Il ricorso è manifestamente infondato.

    Senza incorrere in violazioni di legge ed esponendo un ragionamento del tutto esente da manifeste illogicità, il Tribunale ha motivato, a p. 4 del provvedimento impugnato, l'esistenza di un rilevante allarme sociale determinato dalla oggettività del fatto contestato:

    il fraudolento utilizzo di un terminale del gioco del Lotto del quale l'indagato era nella disponibilità in qualità di coniuge della titolarità della ricevitoria, per un ammontare complessivo di giocate fraudolente pari a circa 2.000.000 di Euro. Argomenta il Tribunale che da simili condotte oltre che dall'aver commesso concrete attività di intralcio delle indagini su tali fatti, deve desumersi una negativa personalità dell'indagato, quale soggetto incline a reiterare le tenute condotte delittuose. Pertanto, in linea con la giurisprudenza, anche richiamata nel ricorso presentato davanti a questa Corte di legittimità (cfr. Cass. sez. 4, 29.1.2007, n. 10980; sez. 6, 8.3.2012, n. 38763), la pericolosa e negativa personalità dell'indagato non è meramente affermata in astratto, bensì desunta dalle circostanze concrete relative ai fatti contestati. Cosicchè appare del tutto conseguente la conclusione secondo cui tale profilo personale giustifica il necessario contenimento dell'indagato con misure cautelari idonee a scongiurare il concreto pericolo di condotte di reiterazione del reato: pericolo stimato effettivo dal Tribunale in ragione della condizione sociale ed economica dell'indagato: il quale, pur svolgendo o potendo svolgere una lecita attività lavorativa, al fine di ripianare i propri ingenti debiti, non ha esitato dal porre in essere le condotte contestategli.

    Circa l'ulteriore motivo di ricorso, deve osservarsi che i giudici di merito si sono attenuti, nella decisione, alla giurisprudenza di questa Corte in tema di autorizzazione dell'imputato sottoposto agli arresti domiciliari ad assentarsi per svolgere un'attività lavorativa. E' stato infatti applicato l'orientamento secondo cui la valutazione del giudice in ordine alla situazione di assoluta indigenza del cautelato deve essere improntata, stante l'eccezionalità della previsione, a criteri di particolare rigore, pur potendo ricomprendersi nei bisogni primari dell'individuo anche le necessità ulteriori rispetto alla fisica sopravvivenza, quali quelle relative alla comunicazione, l'educazione e la salute.

    (Fattispecie di ritenuta insussistenza dell'assoluta indigenza stante il reddito complessivo di Euro 1.200 mensili goduto dal nucleo familiare dell'imputato, composto da quattro persone) (Cass. sez. 3 15.7.2010, n. 34235; v. anche Cass. sez. 4, 29.1.2007, n. 10980).

    E' stato, ulteriormente, osservato come tali rigorosi presupposti non siano stati minimamente soddisfatti nelle argomentazioni difensive, che si sono limitate ad un generico richiamo alle necessità dell'indagato e della propria famiglia. Del resto, anche nel ricorso in esame, nessun concreto elemento è fornito al fine di valutare la reale sussistenza delle necessità, pur dichiarate sussistenti, ma in modo generico e senza alcun riferimento alle effettive condizioni economiche dell'indagato e della sua famiglia.

    Ne consegue, per il disposto dell'art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonchè al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1000.
    PQM
    P.Q.M.

    Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 alla Cassa delle ammende.

    Così deciso in Roma, il 12 febbraio 2014.

    Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2014
Avv. Antonino Sugamele

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