Accusa falsamente un’altra persona di aver rubato un computer (fatto commesso in realtà dallo stesso imputato) nel corso di alcune dichiarazioni spontanee alla polizia. L’imputato ricorre in Cassazione, sostenendo di aver fatto la falsa accusa durante delle dichiarazioni spontanee, rese nell’esercizio del proprio diritto di difesa, il quale avrebbe dovuto, quindi, esonerarlo da responsabilita'. La Cassazione rigetta.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 16 luglio – 11 settembre 2014, n. 37487
Presidente Agrò – Relatore Fidelbo
Ritenuto in fatto
1. Con la decisione in epigrafe indicata la Corte d'appello di Genova ha confermato la sentenza del 26 ottobre 2010 con cui il G.u.p. dei Tribunale di Chiavari, in sede di giudizio abbreviato, aveva condannato L. D'A. alla pena di undici mesi di reclusione in ordine al reato di calunnia, per avere accusato falsamente il sergente dell'Aeronautica Militare M.F. dei furto di un computer di proprietà di L.B., che, invece, era stato commesso dallo stesso D'A..
La falsa accusa nei confronti dei F. venne rivolta dall'imputato nel corso delle dichiarazioni spontanee rese il 10 novembre 2006, in cui indicò il F. come l'autore dei furto e per giustificare il fatto che il computer era stato rinvenuto nel suo zaino disse di aver avuto l'incarico dall'accusato di trasportarlo all'esterno della caserma.
2. L'imputato ha presentato personalmente ricorso per cassazione.
Con il primo motivo deduce l'erronea applicazione dell'art. 368 c.p. in quanto la falsa incolpazione è stata pronunciata durante le spontanee dichiarazioni rese, quindi, nel pieno esercizio del diritto di difesa, sicché si sarebbe dovuto applicare la scriminante di cui all'art. 51 c.p.; inoltre, assume la non configurabilità della calunnia dal momento che era già evidente la sua responsabilità per il reato di furto, con conseguente esclusione della astratta possibilità che l'autorità giudiziaria desse inizio alle indagini a carico del F..
Con il secondo motivo sostiene, sotto un altro profilo, che non esorbita dai limiti dei diritto di difesa attribuire un determinato fatto di reato ad altra persona quando ciò avvenga nell'immediatezza dell'accertamento per negare la propria responsabilità, come è accaduto nel caso in esame in cui è stato sentito dalla polizia giudiziaria subito dopo il fatto e senza l'assistenza di un difensore.
Con il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 350 comma 7 e 64 comma 3 c.p.p., in quanto, nonostante gravemente indiziato dei furto, è stato sentito senza gli avvisi previsti dall'art. 64 comma 3 c.p.p. e senza la presenza dei difensore, con la conseguenza della inutilizzabilità assoluta delle sue dichiarazioni, anche nel giudizio abbreviato.
In data 24 giugno 2014 il difensore di fiducia dell'imputato ha depositato una memoria difensiva ribadendo i motivi dei ricorso.
Considerato in diritto
3. I motivi proposti sono tutti manifestamente infondati.
3.1. La giurisprudenza di questa Corte ha, da sempre, evidenziato come il delitto di calunnia non possa essere escluso dalla volontà di scagionarsi da un'accusa, precisando che l'animus defendendi non esclude la calunnia in tutti i casi in cui l'agente, oltre che contestare i fatti addebitatigli, finisce con l'incolpare terzi che egli sa essere innocenti. L'imputato può, nel corso del procedimento penale a suo carico, negare, anche mentendo, ogni sua responsabilità, ma qualora non si limiti a ribadire l'insussistenza delle accuse a suo carico e assumi ulteriori iniziative dirette a coinvolgere altre persone di cui conosce l'innocenza, travalica il diritto di difesa e deve ritenersi configurabile nei suoi confronti il delitto di calunnia.
Ed è quanto accaduto nel caso in esame, in cui l'imputato, nel corso delle spontanee dichiarazioni rese, non si è limitato a negare ogni sua responsabilità, ma ha accusato del furto dei computer il sergente F., che sapeva essere innocente.
Nessun rilievo ai fini della sussistenza del reato contestato può avere la circostanza che la falsa accusa sia stata resa in sede di dichiarazioni spontanee una volta accertato che sia stato travalicato l'ambito dell'esercizio del diritto di difesa.
3.2. Quanto alle questioni processuali poste dal ricorrente, con cui si assume l'inutilizzabilità delle dichiarazioni calunniose in conseguenza del fatto che l'imputato sia stato sentito senza alcuna assistenza difensiva, nonostante fosse già indiziato del furto, si osserva che nella specie il D'A. ha reso spontanee dichiarazioni alla polizia giudiziaria la cui inutilizzabilità dibattimentale può riguardare le sole affermazioni inerenti al fatto già costituente oggetto delle indagini - cioè il reato di furto - e non si estende alle dichiarazioni calunniose, il cui compimento ha dato luogo ad un reato diverso da quello oggetto dell'indagine già avviata (cfr., Sez. VI, 8 maggio 2009, n. 22456, Ricciardi; Sez. VI, 12 febbraio 2004, n. 15483, Torri).
4. Alla manifesta infondatezza dei motivi consegue l'inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si ritiene equo determinare in euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende.
11-09-2014 22:14
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