Vanta 16.000 euro per lavori edili. Minaccia attraverso dei complici che se non avesse pagato "sarebbe stato scannato davanti ai suoi figli". Tentata estorsione.
TRIBUNALE DI CASTROVILLARI - 18 marzo 2013
Fatto
IN FATTO E IN DIRITTO
Con decreto che dispone il giudizio emesso dal Gup in data 25.05.11, I.C.veniva tratto al giudizio di questo Tribunale in composizione monocratica per rispondere del reato di cui all' art. 629 c.p..
Nel corso del dibattimento, costituitosi parte civile D.S.V., si procedeva all'escussione del predetto testimone nonché a quella di S.C. (escusso ai sensi dell'art. 210 c.p.p. avendo definito la propria posizione processuale per gli stessi fatti oggetto del presente giudizio con sentenza di condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato) e del maresciallo D.M., prove indicate nella lista testimoniale della pubblica accusa e di Forestiero Anna, moglie dell'imputata indicata quale testimone nella lista depositata e autorizzata su richiesta della difesa. All'esito di tali audizioni le parti rinunciavano concordemente all'escussione del maresciallo G.S. e il Tribunale ne revocava la relativa ordinanza di ammissione; le parti prestavano, inoltre, il consenso alla piena utilizzabilità ai fini del decidere delle dichiarazioni rese in sede di indagini da P.P., G.M., P.L. e S.A.. Le parti producevano altresì documentazione (trattasi rispettivamente di contratto di appalto di opere edili stipulato tra F.A., moglie del D.S., e I.C. in data 30.04.2007, missiva inviata alla signora Fortunata Alessandra dalla Impresa di costruzione di I.C. in data 27.10.2007 volta a sollecitare il pagamento di un debito di euro 16.671,41 asseritamente vantato dalla predetta, missiva inviata dal legale della Fortunata in data 7.11.2007 con la quale veniva contestata l'esistenza del debito di cui alla comunicazione sopraccitata).
All' odierna udienza il Tribunale dichiarava chiuso il dibattimento e pubblico ministero e difensore dell'imputato concludevano come da separato verbale, rassegnando altresì la parte civile rituali conclusioni scritte.
Ad avviso del Tribunale l'imputato deve essere ritenuto responsabile del reato ascrittogli poiché le risultanze dibattimentali hanno consentito di raggiungere la prova in ordine all'effettiva tentata estorsione consumata ai danni del D.S. da parte di I..
Invero, ciò che emerso dalle deposizioni dibattimentali della stessa parte lesa è che egli si recò dai Carabinieri della Stazione di Mormanno in data 1 dicembre 2007 perché quel pomeriggio due persone che lo stesso D.S. non conosceva si erano recate presso la sua abitazione per parlargli presentandosi alla moglie del predetto come "gli amici di Scalea"; appreso che lo stesso non era in casa gli ignoti visitatori lo contattarono subito dopo dall'utenza cellulare 3284227402. L'interlocutore del D.S. gli rappresentò che la telefonata era fatta per nome e per conto dello I. e che la sua identità non avrebbe dovuto interessargli ma che avrebbe dovuto saldare immediatamente il debito di 16.000 euro che I. vantava nei suoi confronti per i lavori edili nel suo interesse realizzati dalla ditta intestata all'odierno imputato perché in caso contrario "sarebbe stato scannato davanti ai suoi figli". Sempre nel corso della stessa giornata, il D.S. ricevette altre due chiamate provenienti dalla stessa utenza telefonica mobile sopraindicata alla presenza dello stesso maresciallo M., in servizio presso la Stazione Carabinieri di Mormanno, ove lo stesso si era immediatamente recato per denunciare l'accaduto (cfr. pag.4 del verbale fonotrascritto dell'udienza del 17.12.2013, in cui il predetto militare riferisce di aver ascoltato le minacce profferite - vale a dire che il D.S. sarebbe stato bruciato vivo se non avesse pagato entro una settimana - poiché la vittima attivò la modalità vivavoce alla presenza del maresciallo). In ordine al rapporto contrattuale intercorso tra il D.S. e lo I., la parte civile ha spiegato che il 30 aprile 2007 egli stipulò un accordo con l'imputato, titolare di una ditta edile, per la realizzazione di alcuni lavori all'interno di un cantiere di sua proprietà ma che l'imprenditore non portò mai a termine le opere pattuite smontando nel mese di settembre del 2007 i mezzi presenti nel cantiere e abbandonando del tutto ingiustificatamente i lavori. Aggiunge la vittima che, all'epoca dell'abbandono del cantiere da parte di I., egli aveva già corrisposto la cifra di euro 25.000,00 (a tal proposito, cfr. contratto di appalto in data 30.04.2007 in calce al quale sono indicate le date e le somme corrisposte in favore dello I., per un totale ammontante a 25.000 euro).
Il testimone assistito S.C., decidendo di sottoporsi ad esame, ha reso delle dichiarazioni evidentemente minate nella loro credibilità dall'intento chiaro dello stesso di difendersi e preservare la propria posizione processuale (giova ribadire che lo stesso è stato già giudicato con sentenza di condanna emessa a seguito di giudizio abbreviato, non ancora irrevocabile) ma che allo stesso tempo ha illuminato la veridicità delle dichiarazioni del D.S. nella parte relativa al pieno coinvolgimento di I. nella vicenda estorsiva oggetto di esame; egli ha riferito di conoscere l'imputato poiché aveva realizzato dei lavori edili vicino alla sua abitazione di Scalea e che un giorno si trovò - in modo alquanto bizzarro ed estemporaneo, stante il suo racconto - a fare una passeggiata in macchina col predetto il quale, nel corso del tragitto, gli chiese la cortesia di fare una telefonata col suo apparecchio telefonico cellulare; il S. prestò il cellulare a I. e questi fece una telefonata i cui toni inizialmente pacati si fecero in un secondo momento accesi; incalzato sui contenuti della telefonata intercorsa tra lo I. e il suo ignoto interlocutore, il teste, dopo aver goffamente dichiarato di non aver prestato attenzione al contenuto della conversazione, ha riferito che lo I. non aveva proferito alcuna minaccia limitandosi a chiedere il pagamento di alcuni lavori in precedenza realizzati. Quando S. e I. si salutarono, a dire del S. , il D.S. lo avrebbe ricontattato sulla sua utenza telefonica mobile 3284227402 e questi gli avrebbe intimato di non chiamarlo poiché assolutamente ignaro della vicenda sottesa. Interrogato in merito alle telefonate asseritamente ricevute dal D.S., il S. afferma che la prima telefonata del D.S. avvenne dopo circa un'ora da quella effettuata dall'imputato col suo telefonino, sostenendo dapprima che I. era ancora con lui e, qualche istante dopo, che invece lo stesso era già andato via.
Il maresciallo D.M. ha, peraltro, confermato che l'utenza cellulare mobile 3284227402 è intestata e in uso a S.C..
Tale essendo la ricostruzione dei fatti pacifica appare la responsabilità dell'imputato in ordine alla tentata estorsione a lui contestata.
Gli elementi offerti dalle dichiarazioni accusatorie di D.S. possono certamente ritenersi sufficienti ad integrare la responsabilità di I. in ordine al reato ascrittogli e ciò alla luce di alcune considerazioni; nessun dubbio può residuare in ordine al pieno coinvolgimento dello I. nella tentata estorsione ordita ai danni del D.S., in primis alla luce delle stesse asserzioni della vittima la quale riferisce chiaramente che la telefonata ricevuta nel primo pomeriggio era stata effettuata da un interlocutore che, pur non essendo lo stesso imprenditore edile, aveva dichiarato espressamente di agire per nome e per conto dello I. e con la finalità di recuperare il credito di 16.000,00 euro da quest'ultimo avanzato nei confronti del D.S.. Addirittura, nella seconda telefonata ricevuta innanzi al maresciallo M., l'interlocutore evoca inequivocabilmente "lo sgarbo effettuato nei confronti della famiglia I.". Le telefonate, partite dall'utenza telefonica intestata al S., sono state effettuate non da I., come escluso dalla stessa persona offesa che non ne ha riconosciuto la voce, bensì dallo stesso S., il quale, pur rendendo delle dichiarazioni inverosimili, non ha potuto negare la presenza di I. mentre quelle telefonate avvenivano, con ciò rendendo ancor più evidente il coinvolgimento dell'imputato nella minaccia ordita ai danni di D.S.. A ciò si aggiunga, a dimostrazione che la minaccia e l'estorsione conseguitane sono state pianificate nell'interesse della ditta dello I. e col suo totale coinvolgimento, che l'interlocutore telefonico del D.S. conosceva esattamente l'importo preteso dalla stessa ditta I. per il lavori effettuati (l'importo di 16.000 euro preteso telefonicamente è pienamente coincidente con quello richiesto due mesi prima tramite una missiva inviata dal legale dello I. e, peraltro, immediatamente contestata dallo stesso D.S. tramite il proprio avvocato).
Quanto alla qualificazione giuridica dei fatti, non vi è dubbio come sia corretta la qualificazione offerta dalla pubblica accusa di tentata estorsione.
Invero, secondo massime tralaticie di legittimità il criterio di differenziazione fra le due ipotesi delittuose previste dall'art. 629 cod. pen. e dall'art. 393 cod. pen. risiede nell'elemento soggettivo: nel reato di estorsione l'intenzione dell'agente si concretizza nel fine di conseguire un profitto, pur sapendo di non averne alcun diritto, mentre, nel reato di ragion fattasi, l'agente persegue il conseguimento di un profitto nella convinzione ragionevole, anche se giuridicamente infondata, di attuare un suo preciso diritto, di realizzare, cioè personalmente e direttamente una pretesa che potrebbe formare oggetto di azione giudiziaria (Cass., sez. 2 n. 6445 del 14/2/1989, Stanovich, Rv. 181179; Cass., sez. 2 n. 47972 del 1/10/2004, Caldara, Rv. 230709).
Nel caso di specie dalla valutazione complessiva delle risultanze processuali è emerso in termini inequivocabili come la p.o. avesse corrisposto la somma complessiva di euro 25.000,00 per l'esecuzione del contratto di appalto stipulato con la ditta I. (v. dichiarazioni rese dal D.S., nonché addenda in calce al contratto di appalto del 30 aprile 2007), di modo che il titolare di quest'ultima non avanzava alcuna pretesa creditoria nei confronti del D.S..
Ad ogni buon conto, la fattispecie concreta è inquadrabile in quella di estorsione, atteso che anche là dove si volesse ritenere la non illiceità della pretesa creditoria (tenuto conto della missiva del 27 ottobre 2007 inviata dall'Avv. M. per conto della ditta I. con la quale si pretendeva il pagamento della somma di euro 16.671,41), ciò che rileva ai fini della diversa qualificazione del fatto come estorsione sono la gravità e la notevole sproporzione degli atti di intimidazione realizzati nei confronti della persona offesa, come accaduto nella concreta vicenda.
Al riguardo, i giudici di legittimità hanno più volte ribadito che quando la minaccia si estrinseca in forme di tale forza intimidatoria da andare al di là di ogni ragionevole intento di far valere un proprio (preteso) diritto, allora la coartazione dell'altrui volontà assume ex se i caratteri dell'ingiustizia, con la conseguenza che, in situazioni del genere, anche la minaccia tesa a far valere quel diritto si trasforma in una condotta estorsiva (Sez. 6, 28 ottobre 2010, dep. 23 novembre 2011, n. 41365, Sez. 2, 1 ottobre 2004, dep. 10 dicembre 2004, n. 47972; Cass., sez. VI, 2 aprile 2012, n. 25176, ove è stata confermata la sentenza di merito che aveva condannato il ricorrente per il delitto di estorsione sul rilievo della gravità delle minacce indirizzate "all'incolumità dei famigliari e del figlio del debitore").
Ebbene nel caso di specie, la p.o. ha dichiarato che l'interlocutore nel corso delle telefonate ricevute il 1° dicembre 2007 più volte lo aveva minacciato che ove non avesse corrisposto la somma di euro 16.000,00 entro una settimana lo avrebbe scannato davanti ai suoi figli, ovvero lo avrebbe bruciato vivo.
L'imputato va, pertanto, ritenuto responsabile del reato ascrittogli.
Quanto alla pena, ritenuto di non poter riconoscere le circostanze attenuanti generiche alla luce della gravità delle minacce rivolte al D.S., si stima equa la pena di anni due e mesi sei di reclusione (pena base anni cinque di reclusione ed euro 900,00 di multa, ridotta della metà ai sensi dell'art. 56 c.p.).
Alla condanna seguono le statuizioni civili di cui in dispositivo.
PQM
P.Q.M.
Visti gli artt. 533 e 535 c.p.p.
DICHIARA
I.C. colpevole del reato a lui ascritto in rubrica e, per l'effetto lo condanna alla pena di anni due e mesi sei di reclusione ed euro 400,00 di multa, oltre al pagamento delle spese processuali.
Letti gli artt. 538 e ss c.p.p.,
Condanna l'imputato al risarcimento dei danni patiti dalla parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio nonché condanna il predetto al pagamento in favore della stessa parte civile della provvisionale di euro 10.000,00;
Pone a carico dell'imputato le spese di costituzione e rappresentanza della parte civile che liquida in complessivi euro 1.000,00 , oltre IVA e CAP come per legge;
Motivazione contestuale.
Castrovillari, 18 marzo 2013
Il Giudice
Dr.ssa Luna Calzolaro
09-06-2013 13:06
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