Un uomo viene condannato per aver causato la morte del conducente di un motorino che aveva effettuato una manovra di inversione ad U. Obbligo di prudenza.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 gennaio – 15 aprile 2013, n. 17122
Presidente Brusco – Relatore Dovere
Ritenuto in fatto
1. Il Giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Palermo, all'esito di rito abbreviato, pronunciava in data 20.4.2010 sentenza di condanna alla pena di anni uno e mesi due di reclusione nei confronti di B.U. , ritenuto responsabile della morte di R..C. , cagionata operando, alla guida di un'autovettura inizialmente in posizione di fermo, una manovra di inversione ad U omettendo di accertare che la stessa non costituisse pericolo per altri utenti e quindi senza tener conto del sopraggiungere dello C. alla guida di un ciclomotore proveniente da tergo.
2. La Corte di Appello di Palermo, su ricorso dell'imputato, riformava la menzionata sentenza unicamente quanto al trattamento sanzionatolo, riducendo.
2. La Corte di Appello di Palermo, su ricorso dell'imputato, riformava la menzionata sentenza unicamente quanto al trattamento sanzionatorio, riducendo la pena a mesi sei di reclusione e concedendo il beneficio della sospensione condizionale della pena. Il secondo giudice confermava quindi il giudizio di colpevolezza del B. , ritenendo non fondati i rilievi mossi dall'appellante. In particolare questi aveva evidenziato che la vittima era sprovvista di patente ed il ciclomotore privo di copertura assicurativa; il ciclomotore al momento dell'impatto percorreva la semicarreggiata opposta a quella di propria pertinenza, con i fari spenti e a velocità superiore a 70 Km/h; l'autovettura del B. non procedeva a fari spenti e la manovra di inversione non era stata repentina; la vittima si era accorta della manovra di inversione quando era ancora a 58 metri di distanza e ciò nonostante aveva deciso di proseguire nella marcia.
Ad avviso della Corte distrettuale, anche a voler ritenere provato il comportamento colposo della vittima, quale ricostruito dall'appellante, la responsabilità dell'imputato non risulta perciò esclusa, atteso che questi aveva iniziato la manovra di inversione senza accertarsi preventivamente che da tergo proveniva il ciclomotore condotto dalla vittima.
La circostanza, oggettivamente incidente sulla percepibilità del sopraggiungere del ciclomotore, secondo la quale il ciclomotore marciava a fari spenti, è stata esclusa dal giudice di seconde cure per il suo carattere meramente congetturale, atteso che tanto il c.t. della difesa che il teste B.S. ne avevano parlato in termini di mera ipotesi.
Per contro, il carattere repentino della manovra dell'automobilista era stato riferito dalla teste M.B. (coniuge della vittima) e nessun elemento processuale era emerso a negare tale circostanza, atteso che la diversa conclusione del et. era stata tratta da un calcolo matematico che la Corte territoriale ha ritenuto scorretto, perché non comprensivo delle "infinite possibili variabili" che potevano aver condizionato il moto della vettura nel caso concreto.
3. Ricorre per cassazione nell'interesse dell'imputato il difensore di fiducia avv. Giuseppe Sceusa, lamentando violazione dell'art. 606, lett. b) ed e) cod. proc. pen., in relazione agli artt. 192 cod. proc. pen., 43, 589 cod. pen. e 154 C.d.S..
In primo luogo la Corte di Appello ha assunto a perno della propria ricostruzione le dichiarazioni della M. omettendo ogni valutazione circa l'attendibilità della medesima; ad esempio in rapporto al fatto che, come risulta dagli atti, ella ha avviato azione civile per il risarcimento del danno derivante.
Su tali incongruenze la Corte di Appello non ha fornito alcuna risposta alle censure dell'appellante.
Inoltre essa ha disatteso le conclusioni della consulenza tecnica di parte con affermazione apodittica, non essendo state precisate quali fossero le infinite variabili delle quali il calcolo matematico eseguito dall'esperto non avrebbe tenuto conto. Per risolvere i dubbi in merito la Corte di Appello avrebbe dovuto disporre una perizia.
Ancora, nell'affermare il carattere congetturale delle affermazioni che indicano il ciclomotore come procedente a fari spenti, la Corte di Appello non ha tenuto conto delle dichiarazioni di B.S. ed ha omesso di considerare che a carico dell'imputato non era stata elevata contravvenzione per violazione dell'art. 154 C.d.S..
Infine, era stato asserito dall'appellante che nel caso di specie può trovare applicazione il principio di affidamento; anche su tale punto la Corte di Appello ha omesso la motivazione.
Considerato in diritto
4. Il ricorso è infondato, nei termini di seguito precisati.
4.1. Occorre premettere che tutte le censure che presuppongono una ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di Appello escludente un comportamento colposo della stessa vittima del reato non meritano specifica trattazione, atteso che la sentenza impugnata prende esplicitamente in considerazione e - sia pure a meri fini argomentativi - fa propria la tesi difensiva di un comportamento di guida trasgressivo di R..C. , che nel sinistro trovò la morte.
Come si è sopra ricordato, la Corte distrettuale ha ritenuto che in ogni caso la responsabilità dell'imputato non potesse essere esclusa, identificando nell'aver iniziato la manovra di inversione senza accertarsi preventivamente che da tergo non proveniva nessuno la condotta colposa rimproverabile al B. .
Tale accertamento viene fondato sulle dichiarazioni della M. e -attraverso il richiamo alla conforme sentenza di primo grado - ad alcune circostanze ritenute confermative delle affermazioni della donna, per la quale la manovra di inversione ad U fu repentina: l'assenza di tracce di frenata del ciclomotore ed il fatto che l'urto tra i veicoli era avvenuto quando l'autovettura era in fase avanzata nella manovra di inversione.
Siffatta piattaforma motivazionale viene criticata in primo luogo per l'inattendibilità della M. , che si assume essere promotrice di azione civile di risarcimento dei danni e fonte di un'affermazione rivelatasi non vera (l'avere l'autovettura i fari spenti); quindi sulla scorta delle conclusioni di una consulenza l'autovettura i fari spenti); quindi sulla scorta delle conclusioni di una consulenza tecnica di parte, disattesa dalla Corte di Appello con motivazione che si assume essere apodittica.
Orbene, come statuito di recente dalle S.U., "le regole dettate dall'art. 192 comma terzo cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell'affermazione di penale responsabilità dell'imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell'attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone. (Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell'Arte ed altri, Rv. 253214).
Le sentenze di merito, che come già rilevato si integrano tra loro, hanno valutato criticamente la deposizione della Maceo, come reso manifesto dall'evidenziazione fatta dal primo giudice dei riscontri rinvenibili alla versione dei fatti fornita dalla donna. Il dato di maggior sospetto verso la M. , ovvero l'aver promosso un'azione civile per il ristoro dei danni patiti a seguito dell'incidente che coinvolse il coniuge, non è stato portato alla cognizione del giudice di appello: l'atto di impugnazione, infatti, nel segnalare l'asserita inattendibilità della teste menziona la sola circostanza della non veridicità dell'affermata cecità dei fari dell'autovettura. Tanto esclude che possa valutarsi la congruenza della motivazione della sentenza impugnata alla luce del dato evidenziato (e non documentato come preteso dal principio di autosufficienza del ricorso) con il solo ricorso.
Per quanto concerne la motivazione resa dal giudice di seconde cure in ordine alla inidoneità della consulenza tecnica di parte a sovvertire la ricostruzione operata sulla scorta degli altri elementi acquisiti al processo, non vi è alcuna apoditticità - ma piuttosto v'è estrema sinteticità - nell'affermazione della Corte distrettuale che evoca le “infinite possibili variabili” che avevano potuto condizionare il moto della vettura nel caso concreto. Appare evidente che il Collegio abbia voluto riferirsi alla natura congetturale delle conclusioni dell'esperto, derivante dalla mancata conoscibilità degli innumerevoli dati fattuali rilevanti ai fini dell'accertamento e, per converso, dalla pochezza dei fattori noti, come realmente verificatisi.
4.2. Le osservazioni che il ricorrente svolge sulla scorta del rilievo che al B. non venne fatta contestazione della violazione dell'art. 154 C.d.S. non appaiono condivisibili. È senz'altro vero che l'attribuzione di responsabilità fatta al B. presuppone l'individuazione di regole cautelari violate. Ma è del tutto arbitrario affermare, come nella sostanza fa il ricorrente, che tali regole possono essere rinvenute solo nell'art. 154 cit., perché questa è la norma che disciplina il comportamento di chi si appresta a compiere una inversione ad U. Correttamente la Corte di Appello ha replicato che le regole cautelari possono essere regole di comune diligenza, prudenza, perizia. Questa Corte ha già affermato che "in tema di responsabilità da sinistri stradali, l'osservanza delle norme precauzionali scritte non fa venir meno la responsabilità colposa dell'agente, perché esse non sono esaustive delle regole prudenziali realisticamente esigibili rispetto alla specifica attività o situazione pericolosa cautelata, potendo residuare una colpa generica in relazione al mancato rispetto della regola cautelare non scritta dei "neminem laedere", la cui violazione costituisce colpa per imprudenza" (Sez. 4, n. 15229 del 14/02/2008, P.G. in proc. Fiorinelli, Rv. 239600).
Peraltro, nella specie si è ascritto al B. di non aver preventivamente accertato che la manovra non costituisse pericolo per altri utenti e di non aver tenuto conto del sopraggiungere del motociclo. Invero si evocano così comportamenti doverosi che già possono farsi rientrare nella previsione dell'art. 154, co. 1, laddove dispone che i conducenti che intendono eseguire una manovra per immettersi nel flusso della circolazione, per cambiare direzione o corsia, per invertire il senso di marcia, per fare retromarcia, per voltare a destra o a sinistra, per impegnare un'altra strada, o per immettersi in un luogo non soggetto a pubblico passaggio, ovvero per fermarsi, devono, tra l'altro, assicurarsi di poter effettuare la manovra senza creare pericolo o intralcio agli altri utenti della strada, tenendo conto della posizione, distanza, direzione di essi.
4.3. Si lamenta infine l'omessa motivazione in ordine al principio di affidamento. Siffatta carenza motivazionale non sussiste. L'esame dell'atto di appello evidenzia che in alcun passo è stato richiesto al giudice di seconde cure di riconsiderare la pronuncia impugnata alla luce di tale principio.
Il motivo risulta peraltro infondato. In tema di reati commessi con violazione delle norme sulla circolazione stradale, la giurisprudenza di legittimità è per lo più rigorosa, riconoscendosi per la più parte nel principio per il quale "costituisce di per sé condotta negligente l'aver riposto fiducia nel fatto che gli altri utenti della strada si attengano alla prescrizioni del legislatore, poiché le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza e diligenza proprio per far fronte a situazioni di pericolo, determinate anche da comportamenti irresponsabili altrui, se prevedibili (Cass. sez. 4, sent. n. 32202 del 15/7/2010, Filippi, rv. 248354). Altra parte della giurisprudenza, allo stato minoritaria, tende a riconoscere l'operatività del principio di affidamento anche con riferimento all'ambito della circolazione stradale: si veda, ad esempio, Cass. sez. 4, n. 46741 dell'8/10/2009, P.C. in proc. Minunno, rv. 245663). Quale che sia la tesi preferibile ed il piano dogmatico sul quale detto principio deve collocarsi, è indubbio che esso non può essere invocato da chi tiene una condotta a sua volta inosservante delle prescrizioni cautelari.
5. Segue al rigetto del ricorso la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
17-04-2013 23:55
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