Un'anziana incarica un'amica per l'acquisto di un gratta e vinci che risulta vincente. L'amica sostiene di 10 euro e l'anziana di 10.000 Euro. Volano insulti («ladra» e «le auguro che tutti i 10.000 euro le servano per i medicinali») è reato.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 gennaio - il 30 aprile 2013, n. 18971
Presidente Zecca – Relatore Oldi
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza in data 12 gennaio 2012 il Tribunale di Pavia, confermando la decisione assunta dal giudice di pace di Corteolona, ha riconosciuto I..L. responsabile dei delitti di ingiuria e diffamazione ai danni di A..B. ; ha quindi tenuto ferma la sua condanna alla pena di legge e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, da liquidarsi in separata sede.
1.1. Secondo l'accusa la L. , sia rivolgendosi alla B. in sua presenza, sia comunicando con altre persone, l'aveva definita “ladra” e accusata di essersi appropriata di una vincita dell'imputata al “gratta e vinci” dell'importo di 10.000 Euro, corrispondendole soltanto la somma di 10 Euro.
1.2. La prova dei commessi reati è stata ravvisata nelle dichiarazioni della persona offesa, ritenute attendibili e corroborate dalle conferme rivenienti dalle deposizioni testimoniali assunte.
2. Ha proposto ricorso per cassazione l'imputata, per il tramite del difensore, affidandolo a quattro motivi.
2.1. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione degli artt. 211 e 507 cod. proc. pen., per essersi fatto luogo a un confronto fra testi, sebbene non sussistesse - come riconosciuto dal giudice di appello - un contrasto fra le loro deposizioni.
2.2. Col secondo motivo denuncia travisamento della prova in ordine al narrato del teste don A..P. , sostenendo non potersi trarre dalla sua deposizione l'affermazione della L. di aver avuto in pagamento dieci Euro soltanto, mentre la sua vincita era stata di diecimila. Deduce, altresì, esservi stata immutazione del fatto relativamente all'identità delle persone raggiunte dalle propalazioni offensive ai danni della B. .
2.3. Col terzo motivo contesta che possa integrare il reato d'ingiuria il solo augurio di spendere i 10.000 Euro in medicinali. Sotto altro profilo si duole che non sia stata applicata l'esimente del fatto ingiusto altrui, quanto meno sotto il profilo putativo.
2.4. Col quarto motivo deduce l'illegittimità della disposta rimessione al giudice civile della liquidazione anche dei danni patrimoniali, pur avendo il Tribunale riconosciuto la mancanza di prova in ordine ad essi.
Considerato in diritto
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito esposte.
1.1. Pur denunciando una violazione di norme di rito (artt. 211 e 507 cod. proc. pen.), facendo implicito richiamo alla causa di annullamento prevista dall'art. 606, comma 1, lett. c) cod. proc. pen., la ricorrente non specifica quali conseguenze se ne dovrebbero trarre sul piano delle sanzioni processuali: il che pone un interrogativo ineludibile, atteso che la norma citata limita l'esperibilità del motivo di ricorso in questione ai soli casi in cui dalla violazione di legge consegua una nullità, inutilizzabilità o inammissibilità. Esclusa quest'ultima ipotesi, non essendo qui in discussione alcun atto di parte la cui ammissibilità possa essere dipesa dal disposto confronto, resta da chiedersi se dalla denunciata inosservanza delle norme indicate nel ricorso, ove ritenuta esistente, possa essere derivata una nullità dell'atto istruttorio o una inutilizzabilità della prova in tal modo acquisita.
1.2. La prima ipotesi è senz'altro da escludere, posto che le norme assertivamente violate non pongono alcuna sanzione per il caso di inosservanza; né può ravvisarsi la astratta riconducibilità ad alcuna delle nullità di ordine generale di cui all'art. 173 cod. proc. pen..
1.3. Ugualmente da escludere è la seconda ipotesi, atteso che la sanzione di inutilizzabilità colpisce, ai sensi dell'art. 191 cod. proc. pen., soltanto le prove acquisite in violazione dei divieti di legge e non anche quelle la cui acquisizione sia consentita in presenza di determinati presupposti (Sez. 1, n. 2607 del 04/12/1997 - dep. 27/02/1998, Petralia, Rv. 209959; Sez. 4, n. 7926 del 13/01/1999, Valentino, Rv. 214247). Sicché, non essendo il confronto fra testi vietato in modo assoluto, ma soltanto disciplinato con riguardo al momento processuale (solo dopo che ambedue le persone da sottoporre a confronto siano state sentite) e alla finalità dell'atto (risolvere il disaccordo su fatti e circostanze importanti), l'eventuale irritualità della sua assunzione non può in alcun caso tradursi in una causa di inutilizzabilità della prova.
1.4. Una volta escluso, per le ragioni fin qui evidenziate, che la dedotta carenza dei presupposti per l'assunzione del confronto possa assurgere a causa di annullamento della sentenza, deve concludersi che il motivo di ricorso in esame esula dal novero di quelli consentiti dall'art. 606 cod. proc. pen.: donde la sua inammissibilità.
2. Il secondo motivo è, a sua volta, non consentito là dove, dietro l'apparente denuncia di travisamento della prova, s'indirizza a sollecitare una rinnovata valutazione della deposizione del teste P. , per farne scaturire una ricostruzione del fatto più favorevole alla ricorrente.
2.1, In argomento è opportuno ricordare che, per consolidata giurisprudenza, pur dopo la modifica legislativa dell'art. 606, comma l, lett. e) cod. proc. pen. introdotta dall'art. 3 L. 20 febbraio 2006, n. 46, al giudice di legittimità resta preclusa - in sede di controllo sulla motivazione - la rivisitazione degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti; e il riferimento ivi contenuto anche agli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” non vale a mutare la natura del giudizio di legittimità come dianzi delimitato, rimanendovi comunque estraneo il controllo sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali (così Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, Cugliari, Rv. 233780; v. anche le più recenti Sez. 5, n. 44914 del 06/10/2009, Basile, Rv. 245103; Sez. 6, n. 25255 del 14/02/2012, Minervini, Rv. 253099). Infatti l'attribuzione alla Corte di Cassazione del potere di rilevare, quale vizio di motivazione, il rapporto di contraddizione esterno al testo della sentenza impugnata deve intendersi riferita a quella forma di errore revocatorio sul significante, che viene abitualmente definita “travisamento della prova”: il che si verifica quando l'errore denunciato ricada non già sul significato dell'atto istruttorio, ma sulla percezione del testo nel quale si estrinseca il suo contenuto. Non è questo il caso segnalato dalla ricorrente nel presente giudizio, in cui sotto l'insegna del travisamento della prova viene svolta una deduzione intesa a confutare l'apporto probatorio ricavato dalla testimonianza, in termini di interpretazione del dichiarato e non di segnalazione di un errore revocatorio.
2.2. Dovendo restar ferma, per quanto or ora chiarito, la valutazione data alla prova dal giudice di merito, ineccepibile è la conclusione tratta nella sentenza impugnata, secondo cui la reputazione della B. venne lesa nel corso di almeno due comunicazioni con terze persone indicate nominativamente nel capo d'imputazione, costituite dal già menzionato don A..P. e da G.G. ; e ciò a prescindere dalla rilevanza riconosciuta dal Tribunale alla percezione delle propalazioni diffamatorie da parte di molte altre persone, la cui omessa menzione nell'editto accusatorio per nulla incide sulla correlazione fra contestazione e condanna.
3. Il terzo motivo, riguardante l'imputazione di ingiuria, è privo di fondamento in entrambe le censure che lo strutturano.
3.1. Non giova alla ricorrente osservare che la frase “le auguro che tutti i diecimila Euro le servano per i medicinali” non è dotata, in sé e per sé, di una carica offensiva. In effetti l'ingiuria è stata ravvisata dal Tribunale nell'accusa mossa alla B. di essersi appropriata della somma di diecimila Euro che la L. riteneva di aver vinto al “gratta e vinci”: accusa che, indipendentemente dall'utilizzo del termine “ladra” (sul quale comunque la sentenza si esprime motivatamente in termini di certezza), è resa evidente dal senso della frase dianzi trascritta; il tenore del cattivo augurio rivolto alla B. , infatti, presupponeva che i diecimila Euro da spendere in medicinali fossero quelli della creduta vincita, indebitamente rimasti in mano all'interlocutrice.
3.2. Quanto alla causa di non punibilità di cui all'art. 599, comma secondo, cod. pen., il giudice di appello non ha mancato di motivare il diniego. Con notazione immune da vizi logici ha, infatti, rimarcato come l'imputata avesse perseverato nella propria condotta offensiva pur dopo che la B. , unitamente al figlio, le aveva mostrato il risultato elettronico della macchina erogatrice delle vincite, così dissipando ogni possibile dubbio. La statuizione assunta è dunque perfettamente allineata al principio, già da tempo enunciato da questa Corte Suprema e che va qui ribadito, a tenore del quale per l'applicabilità a titolo putativo dell'invocata esimente si richiede che l'errore sia plausibile, ragionevole e logicamente apprezzabile (Sez. 5, n. 13942 del 16/10/1986, Tivioli, Rv. 174568).
4. Privo di fondamento, infine, è anche il quarto motivo di ricorso.
4.1. L'art. 539 cod. proc. pen. espressamente dispone che il giudice, ove pronunci la condanna penale dell'imputato e la conseguente responsabilità agli effetti civili, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, si limiti a una condanna generica rimettendo le parti davanti al giudice civile. Ciò è quanto ha fatto nel caso di specie il giudice di pace, con statuizione correttamente confermata dal Tribunale.
4.2. Non ha, dunque, ragion d'essere la doglianza con cui la ricorrente pretende di valorizzare la mancanza di prova del danno. Ed invero, anche a prescindere dall'inequivocabilità della disposizione in concreto applicata, giova il richiamo al principio giuridico, mutuabile dalla giurisprudenza formatasi in sede civile, secondo cui la condanna generica al risarcimento dei danni contenuta nella sentenza penale, pur presupponendo che il giudice abbia riconosciuto il relativo diritto alla costituita parte civile, non esige e non comporta alcuna indagine in ordine alla concreta esistenza di un danno risarcibile, postulando soltanto l'accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e dell'esistenza - desumibile anche presuntivamente, con criterio di semplice probabilità - di un nesso di causalità tra questo ed il pregiudizio lamentato, mentre resta impregiudicato l'accertamento riservato al giudice della liquidazione e dell'entità del danno (Cass. civ. Sez. 3, n. 24030 del 13/11/2009, Rv. 609978).
5. Il rigetto del ricorso, che pianamente consegue a quanto fin qui argomentato, comporta la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
02-05-2013 18:49
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