Tassista investe il cane sfuggito al controllo della proprietaria: aggredito con calci e pugni muore in ospedale.
Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 24 aprile - 23 maggio 2013, n. 22060
Presidente Giordano – Relatore Locatelli
Ritenuto in fatto
Con sentenza del 14.7.2011 il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Milano dichiarava C.M.M. colpevole del reato di concorso (con Ci.Pi. e Ci.St. giudicati separatamente) nell'omicidio volontario aggravato del tassista M.L. . In particolare, mentre procedeva alla guida della propria autovettura di servizio lunga una via cittadina, M.L. investiva un cane che, privo di guinzaglio, era sfuggito al controllo della proprietaria P.S. (fidanzata di Ci.Pi. ) attraversando la strada; arrestato il veicolo, il tassista scendeva e si scusava dell'accaduto venendo aggredito dapprima da Ci.St. , quindi da Ci.Pi. e C.M. (rispettivamente fratello e fidanzato della predetta) che lo colpivano ripetutamente con pugni e calci; l'aggressione terminava con una ginocchiata in pieno volto sferrata da C. a M. dopo avergli abbassato la testa, dando quindi una forte spinta alla vittima che cadeva all'indietro battendo violentemente il capo sul marciapiede dove rimaneva esanime; la morte sopraggiungeva un mese dopo il ricovero ospedaliero e la sottoposizione immediata ad intervento chirurgico di craniotomia, a causa dei numerosi focolai emorragici celebrali e polmonari che inducevano acuta insufficienza respiratoria ed arresto cardiocircolatorio. Con le aggravanti di aver agito per motivi futili e con crudeltà. In (OMISSIS) .
Il Giudice dell'udienza preliminare, concesse le attenuanti generiche equivalenti all'aggravante dei futili motivi, esclusa nella motivazione l'aggravante della crudeltà ed applicata la riduzione per il rito, condannava l'imputato alla pena di anni 16 di reclusione.
La Corte di assise di appello di Milano con sentenza del 21.3.2012 confermava la decisione del Giudice dell'udienza preliminare appellata dall'imputato.
Con ricorso sottoscritto congiuntamente, il difensore dell'imputato e l'imputato personalmente impugnano la decisione della Corte di assise di appello per i seguenti motivi: 1) nullità della sentenza ai sensi dell'art.522 cod.proc.pen. nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza della circostanza aggravante dei futili motivi, considerato che il capo di imputazione contiene il riferimento agli articoli di legge che prevedono l'aggravante ma non ai dati fattuali che la costituiscono; le argomentazioni in proposito della Corte non sono condivisibili dal momento che nella imputazione non vi è alcun riferimento ad una "causale", ed il giudice di primo grado aveva individuato il movente nel dispiacere che era stato arrecato alla fidanzata dell'imputato alla vista del cane investito; 2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ed erronea applicazione degli artt. 575 e 584 cod. pen. nella parte in cui è stata ritenuta la sussistenza della volontà omicida in luogo del delitto preterintenzionale: la Corte di assise di appello ha rinnovato gli errori del Tribunale che aveva ritenuto la sussistenza del dolo eventuale, indicando circostanze inidonee a provare che l'imputato si fosse rappresentato l'evento morte 3) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della decisione nella parte in cui ha ritenuto la sussistenza dell'aggravante dei futili motivi, la quale non può essere applicata qualora risulti incerta la reale spinta a delinquere; il requisito della enorme sproporzione deve essere posto in relazione alla condotta del reato e non all'evento dello stesso.
Considerato in diritto
1. Il primo ed il terzo motivo di ricorso, entrambi inerenti alla circostanza aggravante dei futili motivi, sono infondati. A norma dell'art. 522 cod.proc.pen. l'ipotetico difetto di contestazione di una circostanza aggravante non determina la nullità dell'intera sentenza ma della sola parte relativa alla aggravante ritenuta in assenza di contestazione.
La censura di mancata contestazione dell'aggravante, già oggetto di specifico motivo di appello, è stata espressamente esaminata dalla Corte di assise di appello, la quale ha ritenuto che "essa è stata regolarmente contestata, sia attraverso il richiamo alla norma violata che mediante la completa descrizione del fatto a partire dalla causale da cui sono scaturite le condotte aggressive; il capo di imputazione riporta nei dettagli l'intera sequenza dell'accaduto... da cui emerge immediatamente il dato più rilevante, ovvero l'enorme sproporzione tra il fatto iniziale e scatenante, costituito dall'investimento del cane, e la condotta omicida dell'imputato". L'argomentazione, priva di vizi logici, corrisponde esattamente al significato letterale e logico espresso dalla concatenazione dei dati fattuali enunciati nel capo di imputazione.
2. La Corte di assise di appello ha escluso la natura preterintenzionale dell'azione omicida evidenziando le seguenti circostanze: da più dichiarazioni di testimoni oculari risultava che la vittima non aveva reagito all'aggressione, cercando solo di proteggersi il volto; la natura particolarmente violenta dell'aggressione era stata coralmente percepita da tutti gli astanti: la teste B. riferiva delle grida provenienti da un balcone "Basta P. siete in tre lo state ammazzando”, “vergognatevi lo avete ammazzato per un cane”; nelle telefonate pervenute ai numeri di emergenza, tutte registrate, i chiamanti riferivano di un uomo “massacrato”, “ammazzato in mezzo alla strada”; nonostante l'inerzia della vittima, l'imputato aveva proseguito nel pestaggio con colpi sempre più forti indirizzati verso parti vitali e delicate del corpo, sino a sferrare personalmente l'ultimo violentissimo colpo al viso della vittima, assestandogli la spintarelle lo faceva cadere all'indietro battendo violentemente la testa sul selciato in quelle condizioni essendo del tutto probabile che non può non essersi rappresentato.
La motivazione del giudice di merito che, dalle circostanze di fatto specificamente descritte, trae la conclusione della sussistenza dell'elemento psicologico del dolo proprio del delitto di omicidio volontario, non presenta i denunciati vizi di carenza o contraddittorietà della motivazione, ed è conforme al costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui la fattispecie dell'omicidio preterintenzionale è configurabile unicamente nel caso in cui possa ritenersi esclusa in capo all'agente ogni forma di volizione, anche eventuale o indiretta, ed ogni forma di accettazione del rischio di verificazione dell'evento mortale (conformi Sez. 1, n. 30304 del 30/06/2009, Montagnoli, Rv. 244743; Sez. 1, n. 35369 del 04/07/2007, Zheng, Rv. 237685).
A norma dell'art.616 cod.proc.pen. il ricorrente C.M.M. deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo giudizio dalla parte civile che liquida in Euro tremila oltre accessori come per legge.
26-05-2013 18:04
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