Promette in vendita un immobile tacendo di non esserne proprietario e loca ad uso abitativo un altro immobile di cui era stato era stato locatario per il quale aveva già ricevuto un'intimazione di sfratto.
Promette in vendita un immobile tacendo di non esserne proprietario e loca ad uso abitativo un altro immobile di cui era stato era stato locatario per il quale aveva già ricevuto un'intimazione di sfratto.
Cassazione penale sez. II data: 17/07/2013 ( ud. 17/07/2013 , dep.23/07/2013 )
Numero: 31927
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETTI Ciro - Presidente -
Dott. IANNELLI Enzo - Consigliere -
Dott. FIANDANESE Franco - Consigliere -
Dott. MANNA Antonio - rel. Consigliere -
Dott. BELTRANI Sergio - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
F.G.E.;
avverso la sentenza 29.2.12 della Corte d'Appello di Roma;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita in pubblica udienza la relazione del Consigliere Dott. Antonio
Manna;
udito il Procuratore Generale nella persona del Dott. Mario
Fraticelli, che ha concluso per l'annullamento con rinvio della
sentenza impugnata limitatamente alla misura del risarcimento dei
danni in favore di S.M. e per il rigetto nel resto del
ricorso;
udito il difensore della parte civile Z.A., che ha
depositato nota spese e conclusioni scritte con cui ha chiesto il
rigetto del ricorso;
udito il difensore del ricorrente - Avv. Pugliese Alberto, in
sostituzione dell'Avv. Massimilla Antonella -, che ha concluso per
l'annullamento dell'impugnata sentenza in virtù dei motivi di cui al
ricorso.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza 29.2.12 la Corte d'Appello di Roma confermava la condanna emessa il 17.9.10 dal Tribunale capitolino nei confronti di F.G.E. per i delitti di truffa aggravata.
In sintesi, questi i fatti come ricostruiti in sede di merito: il F. aveva promesso in vendita a S.M. un immobile tacendo di non esserne proprietario e aveva locato ad uso abitativo a W.B. un altro immobile di cui era stato era stato locatario e relativamente al quale aveva già ricevuto un'intimazione di sfratto.
Tramite il proprio difensore il F. ricorreva contro la sentenza, di cui chiedeva l'annullamento per i motivi qui di seguito riassunti nei limiti prescritti dall'art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1:
a) nullità della sentenza di primo grado per aver il Tribunale rigettato l'istanza di rinvio per legittimo impedimento presentata per l'udienza del 7.6.10 da parte del difensore, impedito a presenziare perchè affetto da faringite acuta febbrile con prescrizione di tre giorni di riposo e cure, come attestato dal certificato medico che aveva trasmesso;
b) nullità della sentenza di secondo grado per erronea dichiarazione di contumacia dell'imputato, giacchè il decreto di citazione per l'appello era stato notificato al difensore il 22.7.11 nonostante che già in precedenza, vale a dire il 7.7.11, il F. avesse revocato la precedente elezione di domicilio presso di lui;
c) omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione nella parte in cui la Corte territoriale aveva ravvisato gli estremi della truffa pur in assenza di artifici e raggiri da parte del F., che ben poteva subaffittare l'immobile di proprietà di Z.A. (non esistendo alcun divieto di subaffitto nel contratto locativo con lei stipulato) e ben potendo procedere a vendita di cosa altrui ai sensi dell'art. 1478 c.c., anche perchè il successivo art. 1479 c.c. attribuiva al compratore il diritto di chiedere la risoluzione del contratto di vendita obbligatoria nel caso in cui avesse ignorato che la cosa non era di proprietà del venditore;
d) insussistenza del danno (e quindi del delitto di truffa) lamentato dalla S., perchè se da un lato ella aveva anticipato al F. la somma di Euro 25.000,00 a titolo di caparra per un contratto poi non concluso, dall'altro non aveva versato al ricorrente i canoni locativi dovutigli dal marzo 2004 al dicembre 2006 per complessivi Euro 35.700,00;
e) mancanza di condotta fraudolenta da parte del ricorrente;
f) riconducibilità della vicenda a illecito meramente civile e non penale;
g) mancata dimostrazione del dolo proprio del delitto p. e p. ex art. 640 c.p.;
h) inesistenza dei danni patrimoniali lamentati dalle parti civili;
i) vizio di motivazione per avere i giudici del merito subordinato la sospensione condizionale della pena al risarcimento dei danni in favore delle parti civili, nonostante che le condizioni economiche in cui si trovava il F. non gli consentissero di adempiere;
j) ingiustificato rigetto delle attenuanti generiche malgrado l'incensuratezza del ricorrente;
k) con motivi aggiunti pervenuti il 1.7.13 il nuovo difensore del F. deduceva l'avvenuta prescrizione dei reati, in quanto commessi con due contratti stipulati l'uno (il preliminare di vendita) il (OMISSIS) e l'altro (il contratto di locazione) il (OMISSIS).
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
1 - Il ricorso è inammissibile perchè manifestamente infondato.
Il motivo che precede sub a) è inammissibile perchè con esso il ricorrente non esamina specificamente - per confutarle - tutte le rationes decidendi adottate dai giudici di merito, che hanno rigettato il motivo d'appello relativo al diniego del rinvio per legittimo impedimento non solo perchè la certificazione inviata non specificava il grado febbrile e l'assoluta impossibilità fisica, per il difensore del F., di presenziare all'udienza, ma anche perchè il certificato non specificava il domicilio del professionista (il che di fatto impediva un'eventuale visita fiscale) e perchè la richiesta di rinvio non allegava neppure l'impossibilità di nominare un sostituto.
A riguardo è appena il caso di ricordare che è inammissibile - per mancanza della specificità del motivo prescritta dall'art. 581 c.p.p., lett. c) - il ricorso per cassazione quando manchi l'indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell'atto d'impugnazione, che non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato senza cadere nel vizio di aspecificità (cfr.
Cass. n. 19951 del 15.5.2008, dep. 19.5.2008; Cass. n. 39598 del 30.9.2004, dep. 11.10.2004; Cass. n. 5191 del 29.3.2000, dep. 3.5.2000; Cass. n. 256 del 18.9.1997, dep. 13.1.1998).
2 - Il motivo che precede sub b) è manifestamente infondato per l'assorbente rilievo che, ad ogni modo, la doglianza trascura che, per giurisprudenza di questa S.C. da tempo consolidata, è affetta da nullità di ordine generale a regime intermedio (riconducibile all'art. 178 c.p.p., lett. c) la notifica operata con forme diverse da quelle previste, ove non appaia in astratto, o risulti in concreto, inidonea a determinare la conoscenza effettiva dell'atto da parte del destinatario. E' questo il caso della notificazione del decreto di citazione per il giudizio d'appello presso lo studio del difensore di fiducia, sull'erroneo presupposto che l'imputato avesse mantenuto il domicilio in precedenza eletto, mentre detta elezione di domicilio era stata in realtà revocata (espressamente nel senso della mera nullità a regime intermedio in un caso identico a quello dedotto dall'odierno ricorrente v. Cass. Sez. 4, n. 6211 del 12.11.09, dep. 16.2.10; cfr., altresì, Cass. Sez. 2, n. 35345 del 12.5.10, dep. 30.9.10).
Nello stesso senso è anche la giurisprudenza relativa all'erroneo utilizzo della modalità di notifica prevista dall'art. 161 c.p.p., comma 4, che integra una nullità a regime intermedio riconducibile all'art. 178 c.p.p., lett. c) e deducibile entro i termini indicati dall'art. 180 c.p.p., oltre che suscettibile di sanatoria ex art. 184 c.p.p. (cfr. Cass. Sez. F n. 39159 del 12.8.2008, dep. 17.10.2008;
Cass. Sez. 6, n. 37177 dell'8.7.2008, dep. 30.9.2008; Cass. Sez. 2, n. 45990 del 7.11.2007, dep. 7.12.2007; Cass. Sez. 2, n. 32855 del 4.7.2007, dep. 13.8.2007; Cass. Sez. 5, n. 8826 del 10.2.2005, dep. 7.3.2005; Cass. S.U. n. 119 del 27.10.2004, dep. 7.1.2005).
E' indubbio che un'errata applicazione dell'art. 161 c.p.p., comma 4, che importa nullità rientrante nel novero di quelle dell'art. 178 c.p.p., lett. c), non attiene alla fase del giudizio (che è propriamente quella disciplinata dal libro 7^ del codice di rito, comprendente gli atti preliminari al dibattimento, il dibattimento stesso e la deliberazione della sentenza), ma si colloca in quel segmento procedimentale che sta tra il decreto dispositivo del giudizio (art. 429 c.p.p.) o il decreto di citazione diretta a giudizio (art. 552 c.p.p.) e la prima udienza innanzi al giudice del dibattimento. Non è una nullità relativa, che debba essere eccepita ex art. 181 c.p.p. tra le questioni preliminari previste dall'art. 491 c.p.p.; ma è una nullità generale non assoluta (nullità a regime intermedio, appunto) che, ai sensi dell'art. 180 c.p.p., non essendosi verificata nel giudizio non può essere più rilevata o dedotta dopo la deliberazione della sentenza di primo grado.
Questa ricognizione va applicata analogicamente anche al processo d'appello, pur se in questo gli atti che precedono il giudizio, comprendenti le notifiche delle citazioni delle parti e dei difensori, sono denominati nella rubrica dell'art. 601 c.p.p. come atti preliminari al giudizio. Il segmento procedimentale è analogo a quello di primo grado e la differente terminologia si spiega perchè nel secondo grado è lo stesso giudice deputato al giudizio d'appello a provvedere agli adempimenti e non, come nel primo grado, il giudice dell'udienza preliminare o il pubblico ministero. Ma i diritti processuali delle parti e il connesso regime delle nullità si configurano allo stesso modo.
La stessa sentenza n. 19602/08 delle S.U. invocata dal ricorrente stabilisce che è sì nulla la notificazione eseguita a norma dell'art. 157 c.p.p., comma 8 bis presso il difensore di fiducia, qualora l'imputato abbia dichiarato o eletto domicilio per le notificazioni, ma che tale nullità è a regime intermedio e, quindi, priva di effetti se non dedotta tempestivamente.
Pertanto, nel caso di specie, trattandosi di nullità che, a tutto voler astrattamente e dialetticamente concedere all'assunto dell'odierno ricorrente, si sarebbe verificata nella fase degli atti preliminari al giudizio, ex art. 180 c.p.p. essa si sarebbe dovuta dedurre non oltre la deliberazione dell'impugnata sentenza, il che non è avvenuto.
Infatti, compulsando il verbale d'udienza non risulta che innanzi alla Corte d'appello la difesa del F. abbia dedotto alcunchè a riguardo.
3 - I motivi che precedono sub c), e), f), g) - da esaminarsi congiuntamente perchè connessi - sono manifestamene infondati.
Come l'impugnata sentenza ha correttamente rimarcato, la vendita di cosa altrui non integra artificio o raggiro penalmente rilevante ex art. 640 c.p. solo se l'altruità della cosa è resa nota dal venditore all'altro contraente: diversamente, integra il delitto di truffa contrattuale (cfr. Cass. Sez. 2 n. 5877 del 15.3.85, dep. 14.6.85; Cass. Sez. 2, n. 432 del 25.2.70, dep. 29.3.71).
E nel caso di specie i giudici del merito hanno accertato che il F. tacque tale circostanza.
Nè valga invocare gli artt. 1478 e 1479 c.c. per ricavare, dal secondo, una pretesa liceità del tacere, da parte del sedicente alienante, la reale situazione di proprietà del bene: infatti, la questione non è se la legge civile consenta o non di tacere l'altruità della cosa (per altro, si tenga presente che il disposto dell'art. 1479 c.c. regola le mere conseguenze civilistiche d'una vendita obbligatoria, ma di certo non conferisce al venditore il diritto di tacere o di dissimulare aspetti assai rilevanti nella negoziazione, che - anzi - ex art. 1337 c.c. deve svolgersi secondo buona fede), bensì se tale condotta integra il delitto di truffa contrattuale.
La risposta non può che essere positiva, alla stregua di amplissima giurisprudenza per cui il silenzio o la dissimulazione di circostanze decisive del contratto che si va stipulare integra ipotesi paradigmatica di raggiro o artificio ai sensi e per gli effetti dell'art. 640 c.p. (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 2, n. 32859 del 19.6.12, dep. 21.8.12).
Valgano analoghe considerazioni in relazione all'asserita liceità della sublocazione, che però presuppone che il locatario subaffittante renda nota tale circostanza (e non finga di essere proprietario del bene) e che egli si trovi nella legittima detenzione dell'immobile (il che non è allorquando, come avvenuto nel caso di specie, abbia già ricevuto un'intimazione di sfratto).
Dunque, il sopra ricordato consapevole silenzio serbato dal F. sulla altruità degli immobili che prometteva di vendere o che dava in locazione costituisce di per sè gli elementi oggettivo e soggettivo del delitto p. e p. ex art. 640 c.p., non potendosi dubitare del fatto che il presentarsi (anche soltanto per fatti concludenti) all'altro contraente come proprietario d'un immobile (pur sapendo di non esserlo) sia una condotta non dolosa.
4- I motivi che precedono sub d) e sub h), da trattarsi congiuntamente perchè connessi, da un lato si collocano al di fuori del novero di quelli spendibili ex art. 606 c.p.p., perchè presupporrebbero un accesso diretto agli atti per verificare l'esattezza e la veridicità delle allegazioni del F. circa i canoni locativi a suo dire dovutigli (e il relativo importo), operazione preclusa in sede di legittimità; dall'altro, le censure del ricorrente non investono specificamente - per confutarle - le considerazioni svolte dalla Corte territoriale circa l'esistenza non solo del danno patrimoniale, ma anche di quello morale, il che evidenzia la genericità del motivo per ragioni analoghe a quelle esposte nel precedente paragrafo 1.
Per il resto, il ricorso svolge mere censure sulla valutazione operata in punto di fatto dai giudici del gravame, invocandone una non consentita terza lettura.
5 - Il motivo che precede sub i) è manifestamente infondato perchè trascura la costante giurisprudenza di questa S.C,, secondo la quale, mentre incombe sul condannato l'onere di provare l'assoluta impossibilità dell'adempimento, non spetta al giudice della cognizione svolgere alcun accertamento circa le condizioni economiche del reo (cfr., ex aliis, Cass. Sez. 3, n. 3197 del 13.11.08, dep. 23.1.09; Cass. Sez. 6, n. 48534 del 19.11.03, dep. 18.12.03).
6- Ancora manifestamente infondato è il motivo che precede sub j), noto essendo in giurisprudenza che ai fini della determinazione della pena e dell'applicabilità delle circostanze attenuanti di cui all'art. 62 bis c.p. non è necessario che il giudice, nel riferirsi ai parametri di cui all'art. 133 c.p., li esamini tutti, essendo invece sufficiente che specifichi a quale di essi ha inteso fare riferimento. Ne consegue che con il rinvio alla spregiudicatezza dimostrata dall'odierno ricorrente, alla pluralità degli episodi truffaldini e alla loro gravità (non alla gravità del titolo di reato, che è cosa diversa e che, infatti, la Corte territoriale non ha considerato), indici concreti della personalità del reo, l'impugnata sentenza ha adempiuto l'obbligo di motivare sul punto (cfr., ad esempio, Cass. Sez. 1, n. 707 del 13.11.97, dep. 21.2.98;
Cass. Sez. 1, n. 8677 del 6.12.2000, dep. 28.2.2001 e numerose altre).
7- L'inammissibilità del ricorso si estende, ex art. 585 c.p.p., comma 4, secondo periodo, anche ai motivi aggiunti che precedono sub k), con i quali si deduce l'avvenuta prescrizione dei reati.
Nè eventuali prescrizioni sarebbero rilevabili d'ufficio: valga in proposito il noto principio - ormai consolidatosi a partire da Cass. S.U. n. 32 del 22.11.2000, dep. 21.12.2000 - per cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione, anche se per manifesta infondatezza dei relativi motivi, non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude, pertanto, la possibilità di rilevare e dichiarare le cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p. (cfr. ad es. Cass. Sez. 1 n. 24688 del 4.6.2008, dep. 18.6.2008; Cass. Sez. 4, n. 18641 del 20.1.2004, dep. 22.4.2004, e numerosissime altre).
8 - All'inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento a favore della Cassa delle Ammende di una somma che stimasi equo quantificare in Euro 1.000,00 alla luce dei profili di colpa ravvisati nell'impugnazione, secondo i principi affermati dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 186/2000.
Consegue, altresì, la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese sostenute dalla parte civile Z.A., liquidate come da dispositivo.
PQM
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione, Sezione Seconda Penale, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende e alla rifusione di quelle sostenute dalla parte civile Z.A. liquidate in Euro 2.500.00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
Così deciso in Roma, il 17 luglio 2013.
Depositato in Cancelleria il 23 luglio 2013
28-08-2013 11:02
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