Presidente del Consiglio Comunale condannato per truffa aggravata e tentata violenza: rimborsi non dovuti (per manicure, pedicure e massaggi estetici e cena offerta a persone estranee all'Amministrazione comunale).
Cassazione penale sez. VI
Data:
06/02/2013 ( ud. 06/02/2013 , dep.20/02/2013 )
Numero:
8411
Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GARRIBBA Tito - Presidente -
Dott. GRAMENDOLA Francesco - Consigliere -
Dott. PAOLONI Giacomo - Consigliere -
Dott. CITTERIO Carlo - rel. Consigliere -
Dott. DI STEFANO Pierluigi - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
C.S. N. IL (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 26391/2011 CORTE DI CASSAZIONE di ROMA, del
29/11/2011;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CARLO CITTERIO.
Fatto
CONSIDERATO IN FATTO
1. C.S., presidente del Consiglio comunale di Lecce, era stato condannato per truffa aggravata e tentata violenza privata pluriaggravata in danno del dirigente del servizio economato del Comune, in relazione a rimborsi non dovuti (tra l'altro per manicure, pedicure e massaggi estetici, cena offerta a persone estranee all'Amministrazione comunale), richiesti e ottenuti, per la partecipazione alla Borsa internazionale del turismo in Milano.
A mezzo dei difensori di fiducia, il C. ricorre ai sensi dell'art 625 bis c.p.p. avverso la sentenza della Seconda sezione di questa Corte suprema n. 2767 del 29.11.11-2,3.12, con cui veniva rigettato il suo originario ricorso in ordine alla sentenza 711/09 della Corte d'appello di Lecce, deducendo essere occorso "errore di fatto" nella decisione del quarto e del secondo motivo.
Quanto al primo, enunciante la censura di violazione degli art. 521 e 522 c.p.p. in ordine alla condotta truffaldina ritenuta accertata in appello e secondo il ricorrente diversa da quella contestata, i Giudici della Cassazione sarebbero incorsi in una "svista" o in un "equivoco" nel richiamare una condotta di alterazione di documenti di spesa "mai emersa dalle carte processuali" nè contestata, il titolare del ristorante interessato avendo confermato che le fatture si riferivano a servizi effettivamente prestati, nè il contrario essendo emerso dalle altre dichiarazioni testimoniali pertinenti, allegate al ricorso.
Quanto al secondo, relativo alla censura di inutilizzabilità delle dichiarazioni di due testimoni per la preesistente presenza di indizi di reità a loro carico, erroneamente la Corte suprema avrebbe giudicato generica in concreto la censura, perchè invece nel preambolo del secondo paragrafo dell'originario ricorso in cassazione si era fatto espresso richiamo alle lettere da quelle firmate ed in atti nonchè alle loro dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria nei verbali di sommarie informazioni testimoniali ed alla conseguente configurabilità del reato ex art. 479 c.p. o di altra ipotesi di falsità in atti, con successiva evidenziazione delle ragioni per cui tali dichiarazioni "erano false ed inattendibili, riportandone ampi stralci".
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il ricorso è manifestamente infondato.
Le Sezioni unite di questa Corte suprema hanno ribadito, con sentenza 37505/2011 precedente l'odierno ricorso, che non costituisce errore di fatto rilevante per l'operare dell'eccezionale istituto ex art. 625 bis c.p.p., bensì eventualmente mero errore di giudizio (inidoneo all'attivazione del rimedio), quello la cui causa non sia identificabile esclusivamente in una fuorviata rappresentazione percettiva (di ciò che dagli atti risulti in maniera incontrovertibile e che abbia condotto il giudicante ad affermare o supporre l'esistenza di un fatto risolutivo indiscutibilmente escluso ovvero l'inesistenza di un fatto decisivo pacificamente acclarato:
Sez. 3, sent23903/2003) e che sia relativo a punto o aspetto della vicenda che sia stato oggetto di decisione con contenuto comunque valutativo.
Nella fattispecie, la sentenza di legittimità "attaccata" dall'odierno ricorso aveva dato puntuale ed articolato conto dei due motivi richiamati in ricorso (p. 3 sub 2 e 4 sub 4 sent.), per poi esaminarli analiticamente (spiegandone l'infondatezza: p. 6, 8 e 9).
In particolare, quanto al secondo motivo, la Corte di cassazione ha spiegato perchè le deduzioni del ricorso, che l'odierno ricorrente richiama proprio a sostegno dell'enunciazione dell'errore di percezione, dovevano invece considerarsi generiche e non congrue all'introduzione del vizio nel giudizio di legittimità (anche p. 6 ult. paragrafo): sicchè risulta evidente che nella fattispecie si verte proprio in uno specifico apprezzamento sull'inidoneità delle concrete modalità di deduzioni del vizio o della violazione di legge asserita, quindi in una valutazione del punto, il cui esito esula del tutto dalla nozione di erronea percezione in fatto.
Medesima è la conclusione che si impone quanto al quarto motivo, posto che i temi della diversità tra contestato e ritenuto e dell'attendibilità del contenuto della documentazione contabile sono stati anch'essi oggetto specifico di puntuale valutazione (p. 8 ultimo capoverso; p. 9, con dettagliato richiamo alle risultanze probatorie commentate dalle sentenze di merito sul punto) in relazione al contenuto effettivo dell'originario ricorso sul punto (p. 4).
All'inammissibilità dell'odierno ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma, equa al caso, di Euro 2000 in favore della Cassa delle ammende.
PQM
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 6 febbraio 2013.
Depositato in Cancelleria il 20 febbraio 2013
14-03-2013 23:03
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