Per la gestione di un Lido e del demanio marittimo: falso ideologico in atto pubblico contestati al sindaco di un Comune e ai funzionari dell'Ufficio Tecnico, ma i fatti per Cassazione non sussistono.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 settembre - 24 ottobre 2013, n. 43413
Presidente Dubolino – Relatore Pistorelli
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza dell'8 luglio 2011 la Corte d'appello di Lecce, in parziale riforma della pronunzia di primo grado e per quanto qui di interesse, condannava alle pene di giustizia ed a seguito di impugnazione del pubblico ministero F.F. , C.G. ed O.L. per i reati di falso ideologico in atto pubblico rispettivamente contestati e commessi nella loro qualità, il primo, di sindaco del comune di Gallipoli e gli altri due di funzionari dell'Ufficio Tecnico del medesimo comune. Sempre in parziale riforma della pronunzia di primo grado, che con riguardo a tali imputazioni lo aveva assolto, la Corte territoriale dichiarava non doversi procedere nei confronti del nominato F. per i reati di abuso d'ufficio, danneggiamento aggravato e diffamazione per l'intervenuta prescrizione dei medesimi.
1.1 Le contestazioni riguardano la tormentata vicenda della gestione del "(OMISSIS) " di (OMISSIS), di proprietà del Demanio Marittimo; vicenda trascinatasi per anni ed oggetto di plurimi pronunziamenti del giudice amministrativo, tesi a dirimere l'acceso contenzioso instauratosi tra i pretendenti alla concessione del bene, costituito da una porzione dell'arenile balneabile e da un complesso immobiliare asservito alla sua fruizione, comprensivo di cabine, "appartamenti estivi", relativi servizi, locali adibiti alla ristorazione e all'intrattenimento, ecc.
A partire dal 1993 la gestione del Lido era stata concessa a diversi soggetti (dapprima la CO.SPI. s.r.l. e successivamente la Immobiliare S. Anna s.p.a.) con provvedimenti di assegnazione provvisoria, tesi sostanzialmente a garantirne l'esercizio nel corso della stagione estiva a seguito dei ripetuti annullamenti da parte del giudice amministrativo dei provvedimenti dell'autorità demaniale con cui erano state invece accolte le domande di assegnazione in concessione pluriennale del bene. Annullamenti in parte sollecitati dalla menzionata CO.SPI., ma soprattutto dal terzo pretendente alla concessione, tale R.F. , al quale, all'esito di successivi pronunziamenti del T.A.R. e del Consiglio di Stato, il Comandante del Porto sostanzialmente "dovette" assegnare infine la gestione temporanea del Lido l'8 luglio 1999.
Va ancora rilevato come il complesso immobiliare del Lido fosse stato edificato negli anni cinquanta e richiedesse all'epoca in cui si sono svolti i fatti di urgenti interventi di manutenzione straordinaria (in difetto dei quali il bene si era fortemente deteriorato, tanto da impedire progressivamente l'utilizzazione in sicurezza di diverse sue porzioni), acuitisi proprio in ragione del protrarsi del regime di affidamenti temporanei e del conseguente disinteresse dei concessionari ad operare importanti ristrutturazioni in assenza di una assegnazione pluriennale del bene in grado di consentire quella continuità di gestione necessaria all'ammortamento dei relativi costi.
1.2 All'esito di tale vicenda dimostrava nel tempo crescente interesse il F. , preoccupato, nella sua qualità di sindaco, del progressivo stato di abbandono del sito e nel timore, rinnovatosi puntualmente di anno in anno, della mancata tempestiva apertura del Lido nella stagione balneare a causa dell'incapacità dell'Autorità proprietaria del bene di adottare una valida concessione che garantisse lo stabile affidamento del complesso ad un soggetto in grado di valorizzarlo secondo le sue effettive potenzialità. Preoccupazioni e timori determinati dal ruolo strategico rivestito dal Lido nell'ambito dell'offerta turistica del territorio di Gallipoli, comune la cui economia proprio al turismo, soprattutto estivo, è, come noto, inscindibilmente legata.
1.3 In tale contesto si inseriscono i fatti oggetto delle imputazioni per cui è ricorso. Infatti, nel giugno del 1999, pressoché alla vigilia dell'assegnazione del Lido in provvisoria gestione al R. , C. e O. , ingegneri dell'UTC di Gallipoli, operavano un sopralluogo del complesso immobiliare e nella relazione redatta a seguito di tale intervento, evidenziando la compromissione statica di alcune parti del complesso ed il conseguente pericolo per l'incolumità pubblica e privata, ne suggerivano la demolizione. Indicazione prontamente raccolta dal F. , che il 18 giugno 1999 emanava un'ordinanza ai sensi dell'art. 38 L. n. 142/1990 con cui imponeva al Comandante del Porto e al Direttore dell'Ufficio del Territorio di impedire l'accesso alla struttura demaniale e di transennare immediatamente le parti considerate pericolanti, provvedendo entro i successivi tre giorni alla loro demolizione. Trascorso invano il suddetto termine, il F. disponeva darsi esecuzione all'ordine di demolizione, la quale avveniva la notte del successivo 22 giugno a cura di una ditta all'uopo incaricata e nonostante personale militare inviato dal Comandante del Porto avesse cercato di impedirlo notificando ai rappresentati dell'amministrazione comunale presenti in loco una formale diffida a procedere. Peraltro l'attività di demolizione, eseguita con mezzi meccanici, finiva per interessare anche parti del complesso immobiliare non espressamente menzionate nell'ordinanza.
Su ricorso del R. , il giudice amministrativo annullava in seguito l'ordinanza di cui si è detto, mentre, come accennato, all'inizio di luglio il R. riceveva in concessione provvisoria il Lido, provvedendo agli interventi necessari a rendere agibile la parte della struttura non interessata dalla demolizione.
Va infine ricordato che, nel corso della notifica della diffida di cui si è detto, si registrava un acceso alterco tra i militari inviati all'uopo dal Comandante del Porto ed i Vigili Urbani che controllavano l'esecuzione dell'attività di demolizione. Episodio che nei giorni seguenti offrì al F. lo spunto per rilasciare un'intervista ad un giornale locale, poi riportata ed amplificata in volantini fatti affiggere dall'Amministrazione comunale e nei quali l'imputato avanzava aperte critiche alla presunta ed annosa inerzia del Comandante del Porto e stigmatizzava con toni ironici il suo estremo tentativo di bloccare l'opera di demolizione.
2. I fatti del giugno 1999 venivano tradotti dal titolare dell'azione penale nella contestazione - per quanto ancora qui di interesse - al F. dei reati di abuso d'ufficio, danneggiamento e falsità ideologica in atto pubblico in relazione all'adozione dell'ordinanza contingibile ed urgente e di quello di diffamazione in merito al contenuto del volantino, mentre al C. ed all'O. del reato di falsità ideologica in atto pubblico per quanto affermato nella loro relazione sullo stato della struttura demaniale.
Il Tribunale assolveva con formula piena tutti e tre gli imputati da tali imputazioni. Tralasciando quanto argomentato in merito al reato di diffamazione, non rilevante ai fini dell'odierna decisione, per quanto riguarda il reato di abuso d'ufficio il giudice di prime cure riteneva che i profili di illegittimità dell'ordinanza del 18 giugno 1999 rilevati da quello amministrativo non determinassero di per sé l'illiceità della medesima, collocandosi su un piano diverso rispetto a quello del delitto di abuso d'ufficio, posto che al più poteva riscontrarsi un eccesso di potere ovvero uno sviamento non penalmente rilevante atteso il perseguimento di un interesse pubblico. Né per lo stesso giudice poteva ritenersi configurabile il reato di danneggiamento, in quanto riferibile solo alle demolizioni ulteriori rispetto a quelle programmate, le quali però potevano addebitarsi alla responsabilità del F. soltanto eventualmente a titolo di colpa, per non aver disposto misure idonee ad impedirne la verificazione. In relazione ai falsi ideologici, la sentenza di primo grado osservava infine come l'obiettivo accertamento di pericoli per l'incolumità pubblica in seguito al progressivo degrado strutturale del bene demaniale impedisse di valutare come false le espressioni di discrezionalità tecnica contestate, ritenendo altresì irrilevante che in precedenza il F. avesse comunque già manifestato al Comandante del Porto l'intenzione di demolire il Lido, come testimoniato da quest'ultimo.
3. Come accennato la Corte territoriale, recependo i motivi dell'appello del pubblico ministero, ha ribaltato il verdetto di primo grado, ritenendo sussistenti tanto l'abuso d'ufficio, quanto il danneggiamento (per cui, come si è detto, vi è stata però declaratoria di non doversi procedere per l'intervenuta prescrizione, non impugnata dal F. ), che la falsità dell'ordinanza e della relazione.
3.1 Quanto ai primi due reati i giudici d'appello hanno osservato come non sussistessero i presupposti per ordinare la demolizione e come il sindaco potesse ordinare interventi meno invasivi di quelli disposti per arginare gli eventuali pericoli connessi alla situazione del complesso immobiliare, scegliendo invece intenzionalmente di ordinare la demolizione parziale della struttura e consumando così una palese violazione di legge foriera di danni sia per l'ente titolare del bene, che per il R. e realizzando in tal modo, oltre a quello di abuso d'ufficio, anche il reato di danneggiamento doloso, peraltro ad oggetto tutte le strutture abbattute e non solo quelle indicate nell'ordinanza.
3.2 Con riguardo alle due imputazioni di falso ideologico per cui è ricorso, la Corte territoriale ha evidenziato innanzi tutto la correlazione tra le diverse condotte attribuite agli imputati, in quanto gli atti loro rispettivamente contestati sarebbero inseriti nella medesima sequenza procedimentale.
3.3 La sentenza impugnata sostiene poi che dalle risultanze delle varie consulenze rese nel corso del processo sarebbe emerso come nel giugno del 1999 lo stato di deterioramento delle strutture del (OMISSIS) non fosse a tal punto progredito da imporne la demolizione, risultando peraltro scarsamente credibile che tale aggravamento fosse avvenuto in pochi mesi e cioè dall'ultima stagione estiva, nel corso della quale i tecnici della Immobiliare S. Anna (che all'epoca conduceva il Lido) avevano attestato la idoneità statica delle medesime ottenendo proprio dal comune le necessarie autorizzazioni per l'apertura al pubblico del sito. Peraltro poco più di un mese prima del sopralluogo di C. ed O. , analoga ispezione era stata compiuta dalla Capitaneria di Porto e dal Genio civile, che, pur rilevando il deterioramento di alcune parti dell'immobile, nulla avevano segnalato in ordine alla necessità di procedere urgentemente alla loro demolizione a salvaguardia della pubblica incolumità. Non meno rilevante per i giudici salentini sarebbe inoltre il fatto che le testimonianze acquisite nel dibattimento di primo grado e la relazione dei consulenti del pubblico ministero concordino nel ritenere che le prove sceloremitriche eseguite dagli stessi C. e O. non avessero evidenziato la compromissione statica dei manufatti abbattuti.
3.4 Sulla base di tale compendio probatorio la sentenza ha dunque ritenuto ideologicamente falsa l'ordinanza contingibile ed urgente del 18 giugno 1999, nella parte in cui attesta la sussistenza del presupposto cui era subordinato l'esercizio del potere autoritativo che ne legittimava l'adozione, nonché la relazione dei due tecnici dell'UTC, evidenziando come, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di prime cure, anche un atto valutativo può risultare falso, laddove il giudizio espresso si fondi su premesse contenenti false attestazioni, come dovrebbe ritenersi nel caso di specie in ragione delle menzionate risultanze delle misurazioni eseguite dai due imputati. Né per la sentenza osterebbe alla configurabilità del reato contestato a questi ultimi la circostanza che l'atto loro attribuibile abbia valenza endoprocedimentale, atteso che per consolidata giurisprudenza anche gli atti interni possono essere oggetto della fattispecie di falso ideologico quando offrano un contributo di conoscenza o di valutazione destinato a riflettersi sul prosieguo della sequenza procedimentale.
3.5 Sul versante dell'elemento soggettivo la sentenza precisa infine come l'intera ricostruzione della vicenda evidenzi come effettivamente il F. avesse l'intenzione di forzare la situazione per impedire che la concessione provvisoria per l'anno 1999 venisse attribuita a soggetto diverso dall'Immobiliare S. Anna. Intenzione invero rivelata già alcuni mesi prima dall'imputato nel colloquio con il Comandante del Porto il cui significato probatorio era stato evidentemente minimizzato senza motivo dal Tribunale.
4. Avverso la sentenza ricorrono tutti gli imputati.
4.1 Nell'interesse del F. sono stati presentati autonomi ricorsi da parte di entrambe i suoi difensori.
4.1.1 Il ricorso dell'avv. Conte articola tre motivi. Il primo deduce la violazione dell'art. 479 c.p., ricordando in tal senso come il reato di falso ideologico in atto pubblico non può, per conforme giurisprudenza, avere ad oggetto un atto a contenuto autoritativo -quale certamente dovrebbe considerarsi l'ordinanza del 18 giugno 1999 in contestazione - se non per la parte in cui implicitamente od esplicitamente esso assuma natura certificativa sulla sussistenza dei presupposti che legittimano il potere di emanarlo. Se questo è il principio cui la Corte territoriale si sarebbe richiamata, allora, secondo il ricorrente, erroneamente la stessa avrebbe ritenuto sussistere il reato contestato, giacché il F. non avrebbe autonomamente valutato e certificato la sussistenza delle condizioni che rendevano necessaria la demolizione delle strutture del Lido, bensì si sarebbe limitato a recepire il contenuto della relazione del C. e dell'O. . Non di meno viziate sarebbero anche le conclusioni assunte nella sentenza impugnata in merito alla sussistenza del dolo del reato, erroneamente confuso dai giudici d'appello con il movente dello stesso. Con il secondo motivo vengono poi dedotte analoghe violazioni della legge penale e il difetto assoluto di motivazione della sentenza in merito alla denegata concessione al F. delle attenuanti generiche, mentre con il terzo vengono denunciate ulteriori carenze motivazionali in relazione all'applicazione della regola di giudizio dell'oltre ogni ragionevole dubbio.
4.1.2 Con il ricorso redatto dall'avv. Aricò vengono proposti due ulteriori motivi. Il primo deduce a sua volta l'errata applicazione dell'art. 479 c.p. e vizi della motivazione della sentenza. In proposito il ricorrente innanzi tutto evidenzia sotto quest'ultimo profilo come la Corte distrettuale, a fronte dell'autonomia delle imputazioni sollevate nei confronti del F. e dei due funzionari comunali, non abbia spiegato per quale motivo l'eventuale falsità della premessa tecnica dell'ordinanza contingibile ed urgente non debba essere iscritta nello schema dell'art. 48 c.p. e perché l'imputato non avrebbe dovuto tenere conto delle risultanze della relazione dei due tecnici comunali. Non di meno, avendo invece implicitamente accolto una lettura unitaria dei due fatti oggetto delle diverse contestazione, in forza del quale sostanzialmente al F. sarebbe attribuito il ruolo di concorrente - quale istigatore - delle false rappresentazioni contenute nella relazione, parimenti la motivazione della sentenza risulterebbe carente nella misura in cui non giustificherebbe tale conclusione, che anzi integrerebbe un'aperta violazione dell'art. 521 c.p.p., atteso che mai una tale ipotesi concorsuale risulterebbe essere stata contestata all'imputato. Quanto all'errata applicazione della norma incriminatrice, i giudici d'appello, nel ritenere falsa l'ordinanza in quanto presupponente l'urgenza di una demolizione invece non necessaria, hanno finito indebitamente per traslare il giudizio sulla falsità dell'atto dal fatto che ne costituisce il presupposto, alla valutazione che ne aveva compiuto l'autorità amministrativa, finendo così per affermare la falsità del provvedimento sulla base della ritenuta eccessività della risposta amministrativa rispetto al pericolo concretamente rilevato; profilo attinente alla legittimità dello stesso, ma non per l'appunto alla sua liceità. In tal senso oggetto della censura avanzata in sentenza non sarebbe, infatti, l'esistenza o meno di un pericolo per la pubblica incolumità, quanto la mera possibilità che si verificassero crolli invece della certezza ritenuta dai giudici d'appello necessario presupposto per l'attivazione dei poteri autoritativi del sindaco, circostanza che per l'appunto renderebbe palese per il ricorrente come il sindacato di falsità abbia riguardato non già i presupposti della valutazione, bensì la valutazione medesima. Per lo stesso ricorrente non sfugge poi a censura nemmeno la ritenuta sussistenza in capo all'imputato dell'elemento soggettivo tipico del reato. Affermazione questa sostenuta facendo leva sul registrato interesse meramente potenziale del F. a disporre la demolizione della struttura demaniale, senza peraltro che la Corte territoriale abbia saputo dimostrare, come invece doveroso, la consapevolezza da parte del F. della falsità dell'accertamento tecnico svolto dai funzionari del comune, tenuto altresì conto del fatto che egli non era in possesso delle conoscenze tecniche necessarie per sindacarne il contenuto. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta infine il difetto assoluto di motivazione in merito alla determinazione del trattamento sanzionatorio, nonché, nuovamente, alla mancata concessione all'imputato delle attenuanti generiche.
4.2 Il ricorso proposto dal comune difensore nell'interesse del C. e dell'O. articola quattro motivi.
4.2.1 Con il primo i ricorrenti deducono l'inutilizzabilità ex art. 360 comma 5 c.p.p. delle considerazioni esposte dai consulenti tecnici del pubblico ministero in merito alla corrispondenza o meno delle condizioni di staticità del complesso del (OMISSIS) con quanto in merito riportato nella relazione redatta dagli imputati. In proposto il ricorso osserva che la consulenza era stata disposta nelle forme di cui all'art. 360 c.p.p., avendo ritenuto il pubblico ministero l'irripetibilità degli accertamenti delegati. Nonostante la difesa degli imputati avesse proposto ai sensi del quarto comma del citato art. 360 riserva di incidente probatorio - chiedendo altresì che nelle more venisse disposto il sequestro probatorio della struttura - il titolare dell'azione penale ordinava comunque l'esecuzione della consulenza ritenendo la stessa (Ndr: testo originale non comprensibile) in ragione dell'imminenza della stagione estiva e della prossima apertura del Lido al pubblico; evento che avrebbe comportato la modificazione dello stato dei luoghi. Ma in tal modo, secondo i ricorrenti, si sarebbe contravvenuto al disposto del menzionato quarto comma dell'art. 360, il quale consentirebbe, in presenza di riserva di incidente probatorio, di procedere comunque nell'accertamento tecnico solo qualora la sua irripetibilità dipenda dalla prevedibile modificazione che la cosa o il luogo oggetto dell'accertamento subirà in ragione del trascorrere del tempo. Diversamente, quando la prevista irripetibilità dell'accertamento sia da imputarsi all'intervento umano o alle caratteristiche dell'indagine tecnica, la consulenza sarebbe per il legislatore sempre fungibile con la perizia e dunque la riserva di incidente probatorio ne impedirebbe l'espletamento. In tal senso, sempre secondo i ricorrenti, la causa dell'irripetibilità individuata nel caso di specie sarebbe di questo secondo tipo e conseguentemente l'aver proceduto all'accertamento nonostante la riserva della difesa ne comporterebbe inevitabilmente l'inutilizzabilità. In proposito i ricorrenti denunciano anche carenze motivazionali della sentenza impugnata, essendosi la Corte territoriale limitata sul punto a ritenere corretta in maniera apodittica la condotta del pubblico ministero in ragione della necessità di procedere ai lavori tesi a garantire l'apertura del Lido.
4.2.2 Con il secondo motivo i ricorrenti eccepiscono la nullità dell'accertamento tecnico eseguito ai sensi dell'art. 360 c.p.p. in quanto, dopo il prelievo di campioni eseguito previo sopralluogo in data 21 luglio 1999, le operazioni dei consulenti proseguirono nel periodo feriale, nonostante la sospensione dei termini, senza dunque consentire la necessaria partecipazione dei difensori alla loro esecuzione, della cui data peraltro non venne dato avviso nemmeno ai consulenti di parte, che dunque non poterono assistere ai rilievi sclerometrici eseguiti sui campioni prelevati. Nullità tempestivamente eccepita dalla difesa degli imputati nell'udienza preliminare e reiterata dinanzi al Tribunale, senza che la stessa venisse presa in considerazione, mentre sul punto la sentenza impugnata nulla ha motivato.
4.2.3 Con il terzo motivo viene invece dedotta la nullità della richiesta di rinvio a giudizio per violazione dell'art. 416 c.p.p. nella sua formulazione previgente alle modifiche apportate dalla L. n. 479/1999, in quanto l'avviso di fissazione dell'interrogatorio degli imputati era stato dato al difensore lo stesso giorno della sua esecuzione e in orario successivo a quello in cui doveva avere inizio l'atto. Anche in questo caso i ricorrenti evidenziano di aver tempestivamente eccepito la nullità in questione nell'udienza preliminare e di averla poi reiterata nel dibattimento.
4.2.4 Con il quarto ed ultimo motivo si lamenta infine l'errata applicazione dell'art. 479 c.p. e correlati vizi motivazionali della sentenza impugnata. In proposito i ricorrenti osservano come tutte le rilevazioni tecniche succedutesi negli anni ad oggetto le condizioni statiche del bene demaniale (comprese quelle dei consulenti tecnici del pubblico ministero) concordano sostanzialmente con quelle contenute nella relazione degli imputati e oggetto di contestazione, anche in merito alla necessità che alcune porzioni della struttura dovessero essere demolite e ricostruite, come del resto contraddittoriamente ammesso dalla stessa sentenza impugnata, la quale ha dunque finito per ravvisare la falsità dell'atto non nella parte in cui documenta la realtà della struttura come per l'appunto rilevata, bensì in quella in cui esprime una valutazione degli imputati in ordine alla soluzione di intervento da adottare nell'immediato. Ma in tal senso sarebbe palese l'errata interpretazione della norma incriminatrice, in quanto tale valutazione, ancorché opinabile, non può essere misurata secondo il parametro di verità. Non di meno del tutto assente sarebbe per i ricorrenti la motivazione della sentenza in merito alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo del reato, atteso che la Corte territoriale si è limitata sull'argomento a brevi considerazioni dedicate esclusivamente alla posizione del F. , peraltro senza tenere conto del fatto che il movente attribuito a quest'ultimo (e cioè l'intenzione di favorire l'assegnazione del Lido alla Immobiliare S. Anna) non è certo estendibile ai due imputati, atteso che nella loro relazione gli stessi avevano tra l'altro evidenziato l'urgenza di interventi tesi comunque ad impedire l'ingresso al Lido.
Considerato in diritto
1. I ricorsi sono fondati nei limiti che di seguito verranno evidenziati. Innanzi tutto deve procedersi all'esame delle eccezioni processuali sollevate con il ricorso di C. ed O. ed in tal senso pregiudiziale appare la questione evocata nel terzo motivo, il quale appare peraltro inammissibile in quanto manifestamente infondato. Infatti, per come risulta dagli atti, l'avviso di fissazione dell'interrogatorio degli imputati per la data del 29 dicembre 1999 venne ritualmente notificato al loro difensore il 23 dello stesso mese a mani di un collega di studio ed a cura del personale della sezione di p.g. della Procura della Repubblica di Lecce, a nulla rilevando che lo stesso giorno stabilito per il compimento dell'atto tale avviso sia stato eventualmente nuovamente notificato direttamente a mani del difensore in orario successivo a quello fissato per l'espletamento dell'incombente, come sostenuto da quest'ultimo nel corso dell'udienza preliminare, dove per la prima volta venne sollevata l'eccezione.
2. Fondato è invece il primo motivo del ricorso menzionato. Gli esiti dell'accertamento tecnico non ripetibile disposto dal pubblico ministero posti dalla Corte territoriale a fondamento della propria decisione risultano effettivamente inutilizzabili ai sensi del quinto comma dell'art. 360 c.p.p., così come eccepito dai ricorrenti.
2.1 Sul punto va innanzi tutto rammentato come, ai sensi del quarto comma della norma da ultima menzionata, la riserva di incidente probatorio non impedisca l'esecuzione dell'accertamento disposto dal pubblico ministero quando questo risulti indifferibile; condizione la cui eventuale originaria insussistenza determina però la successiva inutilizzabilita dei risultati dell'accertamento medesimo (Sez. 3, n. 8342 del 4 aprile 2000, Chiarello, Rv. 217078).
2.2 Pur in assenza di particolari sforzi definitori da parte del legislatore e di una certa frammentazione semantica del dato normativo, l'art. 360 sembrerebbe enucleare nel suo complesso, distinguendoli, i concetti di irripetibilità e di indifferibilità, ancorando al primo il presupposto perché l'indagine tecnica possa formare anticipatamente una prova ed al secondo quello per cui l'accertamento possa essere utilmente eseguito nonostante la riserva di incidente probatorio proposta dall'indagato. Peraltro la distinzione concettuale tra irripetibilità e indifferibilità non è così netta come potrebbe apparire a prima vista. Infatti alla scarsamente impegnativa formula utilizzata nel primo comma della norma citata (“quando gli accertamenti previsti dall'art. 359 riguardano persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione”) devono essere ricondotte tanto l'ipotesi in cui l'indagine tecnica non sia più eseguibile (o utilmente eseguibile) in futuro (risultando dunque non rinviabile), sia quella in cui la stessa, una volta eseguita, non possa essere più ripetuta (risultando dunque non rinnovabile), vuoi per le sue intrinseche caratteristiche, vuoi per il suo impatto sull'oggetto dell'accertamento; fattispecie quest'ultima espressamente evocata a scanso di equivoci dallo stesso legislatore nell'art. 117 disp. att. c.p.p., dove per l'appunto il concetto di irripetibilità viene utilizzato in maniera più selettiva di quanto avvenga nella disposizione codicistica. Ma anche in quest'ultimo caso l'esigenza che si provveda con urgenza all'accertamento non può ritenersi aliena, atteso che altrimenti non sarebbe giustificabile la previsione di una deroga al principio di formazione della prova nel dibattimento o l'attribuzione di valenza probatoria diretta ad un atto di parte. In altri termini anche l'irripetibilità dell'accertamento - intesa come non rinnovabilità dello stesso - deve accompagnarsi ad un'effettiva esigenza di non rinviarne l'esecuzione, la quale può essere a sua volta determinata tanto dalla natura dell'accertamento medesimo o del suo oggetto, quanto dalla stessa necessità di sviluppare l'investigazione.
2.3 È dunque evidente che l'indifferibilità evocata dal quarto comma dell'art. 360 assume invece un carattere assoluto, tale da giustificare anche la rinunzia alla residua possibilità di predisporre, attraverso l'attivazione della procedura dell'incidente probatorio, un contesto più garantito all'espletamento dell'accertamento in grado di ridimensionare la cifra di eccezionalità che caratterizza l'istituto. In altri termini, per procedere ad accertamento probatorio nonostante la riserva di incidente probatorio deve rivelarsi non solo l'esigenza, bensì la necessità dell'immediata esecuzione dell'indagine tecnica e cioè l'effettiva impossibilità di effettuarla utilmente in un momento successivo con le identiche prospettive di risultato.
2.4 Per come risulta dagli atti, a seguito dell'avviso di fissazione dell'udienza di conferimento di incarico, il difensore del C. e dell'O. , aveva formulato riserva di incidente probatorio, ma il pubblico ministero, ritenendo indifferibile l'accertamento, ha disposto procedersi comunque al suo espletamento. Come emerge dal verbale del 20 luglio 1999, il titolare dell'azione penale ha argomentato sulla non rinviabilità degli accertamenti sottolineando che il (OMISSIS) era già stato oggetto di concessione ad un privato, il quale dunque risultava legittimato ad intervenire sullo stato dei luoghi modificandolo e che anzi era necessitato a provvedere in tal senso al fine di rendere agibile le parti della struttura ancora fruibili dal pubblico. Dallo stesso verbale si ricava peraltro come, tra gli accertamenti delegati dal pubblico ministero ai propri consulenti, solo quelli attinenti ai saggi ed ai prelievi di materiali erano eventualmente condizionati dalla conservazione dello stato dei luoghi e rivestivano dunque il carattere d'urgenza, atteso che le successive sperimentazioni sui campioni di materiali prelevati non presentavano il medesimo carattere - tanto da essere eseguite a distanze di alcune settimane dal prelievo - né potevano essere compromesse dagli eventuali interventi che prevedibilmente il concessionario del Lido avrebbe poi effettuato per consentire l'avvio della stagione balneare.
2.5 Alla luce di quanto esposto, nonché dei principi enucleati in precedenza, appare a questo punto evidente come i motivi per cui il pubblico ministero ha ignorato la riserva di incidente probatorio proposta dagli imputati risultino incompatibili con il dettato del quarto comma dell'art. 360 c.p.p., atteso che quella enucleata nel verbale del 20 luglio 1999 non è un'effettiva ed oggettiva causa di indifferibilità assoluta degli accertamenti disposti, ma solo l'opportunità di non differire ulteriormente un'indagine tecnica i cui tempi di utile esecuzione erano in realtà compatibili con quelli di attivazione della procedura ex art. 392 c.p.p..
In tal senso è innanzi tutto da escludere, infatti, l'oggettiva ineluttabilità della modificazione dello stato dei luoghi assunta dal pubblico ministero a giustificazione della sua decisione, atteso che egli aveva il potere di prevenirla provvedendo - come pervero invano sollecitato dalle difese - al sequestro probatorio dell'area, garantendo, come suo dovere, le tracce del reato. Ma anche a prescindere da ciò, alcuna spiegazione è stata fornita dallo stesso pubblico ministero o è implicitamente rinvenibile in merito alla non utile rinviabilità degli esami e degli studi svolti sui campioni prelevati e sui dati raccolti presso il complesso demaniale. Accertamenti questi che erano oramai svincolati dallo stato dei luoghi e che potevano dunque essere effettuati senza pregiudizio per la celerità dell'indagine o per il suo esito nelle forme dell'invocato incidente probatorio, tanto più che gli esami sclerometrici poi effettuati riguardavano materiali certamente non deperibili nel breve periodo. In altri termini, ammessa e non concessa - ed invero esclusa alla luce di quanto illustrato in precedenza - l'indifferibilità delle operazioni svolte dai consulenti il 21 luglio 1999 presso l'area interessata, ciò non era sufficiente a giustificare anche l'affermata non rinviabilità degli ulteriori accertamenti effettuati dai medesimi. Né può ritenersi che le due attività fossero inscindibili, atteso che le prime in realtà si sono risolte nella raccolta di dati pertinenti al reato e cioè in azioni riconducibili più al concetto di rilievi che a quello di accertamenti (Sez. 2, n. 34149 del 10 luglio 2009, Chiesa e altro, Rv. 244950).
2.6 La rilevata inutilizzabilità dell'accertamento tecnico ex art. 360 c.p.p. giova ovviamente anche alla posizione del F. , che pure non l'ha eccepita con il suo ricorso ed al quale è stato formalmente contestato - contrariamente a quanto sostenuto dai suoi difensori - il concorso con il C. e l'O. (cfr. Sez. Un., n. 30347 del 12 luglio 2007, Aguneche ed altri, Rv. 236756). Non di meno l'accoglimento del relativo motivo assorbe il secondo del ricorso proposto da questi ultimi, del quale, per desiderio di completezza, va comunque rilevata l'infondatezza, dovendosi in proposito ricordare come, ai sensi del quarto comma dell'art. 2 L. n. 742/1969, il pubblico ministero può procedere ad accertamenti tecnici non ripetibili anche nel periodo feriale, senza nemmeno necessità che l'urgenza dell'atto sia certificata dal giudice, potendo egli provvedere in tal senso con autonomo decreto motivato. Disposizione questa che è ragionevole ritenere riguardi non solo l'ipotesi in cui l'esigenza di procedere alla consulenza ex art. 360 c.p.p. insorga nel corso del suddetto periodo, ma altresì quella in cui, come nel caso di specie, nello stesso intervallo temporale debba proseguire l'espletamento degli accertamenti già disposti in precedenza.
3. Fondate risultano anche le doglianze avanzate da tutti gli imputati circa l'errata applicazione dell'art. 479 c.p. e le correlate carenze della motivazione della sentenza impugnata.
3.1 È innanzi tutto doveroso ricordare l'insegnamento delle Sezioni Unite, per cui il giudice di appello che riformi totalmente la decisione di primo grado ha l'obbligo di delineare le linee portanti del proprio, alternativo, ragionamento probatorio e di confutare specificamente i più rilevanti argomenti della motivazione della prima sentenza, dando conto delle ragioni della relativa incompletezza o incoerenza, tali da giustificare la riforma del provvedimento impugnato (Sez. Un., n. 33748 del 12 luglio 2005, Mannino, Rv. 231679). Principi che questa Corte ha costantemente ribadito dopo il pronunziamento del Supremo Collegio, premurandosi tra l'altro di precisare che il giudice dell'appello non può limitarsi ad imporre la propria valutazione del compendio probatorio perché preferibile a quella coltivata nel provvedimento impugnato (Sez. 5, n. 8361 del 17 gennaio 2013, p.c. in proc. Rastegar, Rv. 254638), ma deve provvedere ad una motivazione che, sovrapponendosi pienamente a quella della decisione riformata, dia ragione delle scelte operate e della maggiore considerazione accordata ad elementi di prova diversi o diversamente valutati (Sez. 5, n. 42033 del 17 ottobre 2008, Pappalardo, Rv. 242330), giungendo ad affermare l'illegittimità della sentenza d'appello che, in riforma di quella assolutoria condanni l'imputato sulla base di una alternativa interpretazione del medesimo compendio probatorio utilizzato nel primo grado di giudizio, occorrendo, invece, una forza persuasiva superiore della motivazione, tale da far cadere "ogni ragionevole dubbio" (Sez. 6, n. 49755 del 21 novembre 2012, G., Rv. 253909). In definitiva il giudice d'appello, quando, immutato il materiale probatorio acquisito al processo, afferma sussistente una responsabilità penale negata nel giudizio di primo grado, deve confrontarsi espressamente con il principio dell'oltre ogni ragionevole dubbio, non limitandosi pertanto ad una rilettura di tale materiale e quindi ad una ricostruzione alternativa, ma spiegando perché, dopo il confronto puntuale con quanto di diverso ritenuto e argomentato dal giudice che ha assolto, il proprio apprezzamento è l'unico ricostruibile al di là di ogni ragionevole dubbio, in ragione di evidenti vizi logici o inadeguatezze probatorie che abbiano caratterizzato il primo giudizio, minandone conseguentemente la permanente sostenibilità.
3.2 La motivazione adottata dalla Corte territoriale risulta, alla luce degli illustrati principi, irrimediabilmente viziata, giacché si impegna nella rilettura del significato del medesimo compendio probatorio valutato dal Tribunale, senza però confutare analiticamente gli argomenti spesi dal giudice di prime cure per negare che il suddetto materiale fosse in grado di dimostrare l'oggettiva falsità degli atti in contestazione e senza, dunque, evidenziare quali sarebbero gli insuperabili limiti dell'apprezzamento svolto nella sentenza di primo grado.
3.3 Peraltro la linea argomentativa seguita dai giudici dell'appello risulta altresì viziata da intrinseche carenze strutturali e contraddizioni che ne minano la tenuta sul piano logico. Infatti, dopo aver richiamato in maniera corretta gli approdi giurisprudenziali sulle condizioni di configurabilità del falso ideologico nell'atto pubblico autoritativo e in quello a contenuto valutativo, non ha spiegato perché l'ordinanza contingibile ed urgente avrebbe certificato in maniera autonoma la necessità di procedere alla demolizione delle strutture demaniali invece di limitarsi a recepire le conclusioni della relazione del C. e dell'O. ovvero perché tale ricezione dovrebbe ritenersi avvenuta nella consapevolezza della loro difformità dalla realtà. Non di meno, con riguardo alla suddetta relazione, i giudici dell'appello non hanno parimenti dimostrato perché la falsità riguarderebbe il contenuto attestativo e non quello prettamente valutativo dell'atto, tanto più che la sentenza riconosce come, in realtà, i due tecnici comunali non abbiano riportato dati non corrispondenti al vero, ma abbiano invece espresso un giudizio negativo sulla tenuta statica dell'immobile nonostante gli esiti delle prove tecniche non imponessero tale conclusione. A parte il fatto che l'apprezzamento sulla non concludenza degli esami sclerometrici è stato ricavato dalla consulenza tecnica dichiarata inutilizzabile, va ribadito in proposito che nel caso in cui il pubblico ufficiale sia chiamato ad esprimere un giudizio, questo non è destinato a provare la verità di alcun fatto. Ma se per la sua formulazione sia necessario fare riferimento, anche implicitamente, a parametri predeterminati che dettano criteri di valutazione che vincolano il giudizio ad una verifica di conformità della situazione fattuale ai medesimi, l'atto potrà risultare falso se il suddetto giudizio di conformità non sarà rispondente ai parametri cui esso è implicitamente vincolato (Sez. 2, n. 1417/13 del 11 ottobre 2012, P.C. in proc. Platamone e altro, Rv. 254305). Nel caso di specie la rilevata non criticità dei dati sclerometrici certamente non imponeva agli imputati di concludere per la necessità di una immediata demolizione dei manufatti - e dunque se la relazione avesse escluso tale evenienza non sarebbe stata "falsa" nel senso illustrato -, ma ciò non dimostra il contrario, come sostanzialmente ritenuto dalla Corte territoriale, giacché il mancato superamento della soglia di criticità non impediva di formulare una valutazione sulla necessità di procedere alla demolizione sulla base di altri parametri, come sostanzialmente avvenuto. Valutazione che poteva essere giudicata errata, ma non falsa, a meno di non dimostrare l'irrilevanza dei parametri assunti o l'assoluta ineludibilità di quelli invece trascurati. Dimostrazione questa che la Corte territoriale non ha fornito - limitandosi a richiamare le conclusioni dei consulenti tecnici, che, per come riportate nella stessa sentenza, non si sarebbero peraltro nemmeno espressi nei termini assoluti necessari - e che invece il Tribunale aveva motivatamente escluso potesse essere fornita, senza essere, come ricordato, specificamente confutato dalla sentenza impugnata.
3.4 Fondate sono infine anche le doglianze dei ricorrenti in ordine alla ritenuta sussistenza dell'elemento soggettivo dei reati contestati agli imputati e al concorso tra i medesimi nella consumazione dei medesimi. La Corte territoriale ha infatti ricavato la prova del dolo del F. dal presunto movente che questi avrebbe vantato alla consumazione dei reati attribuitigli, mentre ha invece di fatto taciuto su quella del dolo del C. e dell'O. . In definitiva i giudici salentini hanno implicitamente accreditato una ricostruzione dei fatti per cui il sindaco di Gallipoli, intenzionato a creare le condizioni per favorire la concessione della struttura demaniale alla Immobiliare S. Anna, avrebbe "commissionato" ai due tecnici comunali una relazione in grado di costituire il pretesto per il suo successivo intervento autoritativo. Ricostruzione che non sarebbe del tutto incompatibile con l'imputazione sollevata nei confronti del F. - al quale, come già ricordato, è stato effettivamente contestato il concorso con i coimputati, ancorché, singolarmente, non è avvenuto il contrario - ma che avrebbe dovuto trovare specifico e convincente riscontro nel compendio probatorio di riferimento, che invece evidentemente i giudici d'appello non hanno rinvenuto, avendo omesso alcuna precisazione sul punto. L'assenza della prova del concorso degli imputati - e più precisamente del concorso morale del F. nel falso del C. e dell'O. - si riverbera logicamente su quella dell'elemento soggettivo, atteso che il presunto movente individuato dalla Corte territoriale non è sufficiente a dimostrare la consapevolezza da parte del primo della eventuale falsità della relazione redatta dai secondi, condizione ineludibile per giungere ad affermare che il F. abbia emanato l'ordinanza nella consapevolezza della falsità dei presupposti legittimanti la sua adozione.
4. La sentenza deve dunque essere annullata limitatamente alla condanna per i reati di falso rispettivamente contestati agli imputati e l'annullamento disposto senza rinvio, con conseguente adozione della formula assolutoria già deliberata dal Tribunale. Per quanto evidenziato in precedenza, infatti, il giudice d'appello è pervenuto ad una lettura alternativa del medesimo materiale probatorio valutato nel primo grado di giudizio, con argomentazione articolata che ha valorizzato tutti gli elementi d'accusa disponibili. Ma poiché tale prospettazione alternativa, per un verso, già in sé non propone argomenti dirimenti e significativi di oggettive carenze e insufficienze della prima decisione e, per l'altro, risulta, alla luce della riconosciuta inutilizzabilità degli esiti dell'accertamento tecnico non ripetibile, ora deprivata del suo principale sostegno probatorio, appare del tutto ragionevole presumere che il giudizio di rinvio non potrebbe introdurre elementi probatori ed argomenti ulteriori caratterizzati dalla connotazione necessaria per procedere alla legittima riforma della pronunzia di primo grado.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata senza rinvio perché i fatti non sussistono.
26-10-2013 13:43
Richiedi una Consulenza