Non provvede a mantenere la figlia maggiorenne invalida, ma non inabile al lavoro. Non c'è reato..
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 13 febbraio - 30 maggio 2013, n. 23581
Presidente Milo – Relatore Carcano
Ritenuto in fatto
1. A..L.P. impugna la sentenza in epigrafe indicata con la quale è stata confermata la decisione di primo grado, resa all'esito di giudizio abbreviato, che lo dichiarò responsabile del delitto di violazione agli obblighi di assistenza famigliare, per avere fatto mancare alla figlia minore i mezzi di sussistenza, non corrispondendo l'assegno famigliare di mantenimento anche per il periodo successivo al raggiungimento della maggiore età della figlia, bisognosa di cure ed affetta da gravi problemi di salute.
Il giudice d'appello condivide le conclusioni della sentenza di primo grado e ritiene correttamente affermata la responsabilità di L.P. , per il periodo successivo alla maggiore età della figlia, poiché ritenuta l'inabile permanente al lavoro in misura inferiore al 74% e pari al 46 % a decorrere dal 24 febbraio 2000, come risultante dal verbale di visita medica collegiale acquisito agli atti. L'imputato, ad avviso dei giudici di merito, era consapevole di tale circostanza nonché dello stato di bisogno della figlia S. e della madre affidataria.
Ad avviso della Corte d'appello, è corretto il diniego della continuazione, poiché i due reati di violazione degli obblighi di assistenza morale e quelli di assistenza materiale si riferiscono a un solo reato, previsto dal primo e secondo comma dell'art. 570 c.p., come da indirizzo prevalente della giurisprudenza di legittimità.
Non vi sono elementi che, per il giudice d'appello, possano far ritenere che vi sia stata una interruzione nella consumazione del reato, poiché la documentazione prodotta dall'imputato non offre certezza alcuna al riguardo.
Per tale ragione, è stata rigettata la richiesta di estinzione del reato per prescrizione. Peraltro, anche a voler considerare la documentazione prodotta idonea a interrompere la consumazione del reato, il giudice d'appello rileva che il tempo richiesto per la prescrizione, in ogni caso, non sarebbe maturato, posto che, anche a considerare i due unici pagamenti come prova della consumazione del reato, il termine di prescrizione scadrebbe il 21 agosto del 2013, anziché il 25 novembre 2013,
2. La difesa deduce:
- nullità del decreto di citazione a giudizio, per l'udienza del 27 gennaio 2011, davanti alla Corte d'appello nonché della notificazione dello stesso decreto all'imputato, con conseguente nullità di tutti gli atti conseguenti e, in particolare, della sentenza pronunciata il 14 luglio 2011.
La nullità del decreto di citazione, ad avviso del ricorrente, è dovuta all'erronea indicazione della data di nascita dell'imputato.
Mentre la nullità della notifica è dovuto all'erronea applicazione dell'art. 161, comma 4, c.p.p., in quanto non preceduta da regolare accesso nel luogo di residenza.
- erronea applicazione dell'art. 570 comma 2, n. 2 c.p. e vizio di motivazione.
La figlia S. , ormai maggiorenne alla data del (omissis) , non è inabile al lavoro, come accertato il 12 settembre 2002 dalla Commissione medica provinciale che le ha riconosciuto una invalidità nella misura del 46%. Non vi è, pertanto, l'elemento costitutivo richiesto per la configurazione del reato.
Il compimento della maggiore età, il 28 gennaio 1999, avrebbe dovuto comportare la cessazione della permanenza del reato, non costituendo reato la mancata corresponsione del mantenimento dopo tale data, in ragione della eccepita non configurabilità del reato previsto dall'art. 570, comma 2, n. 2 c.p..
Peraltro, l'azione penale è stata esercitata il 21 gennaio 2005 e, in mancanza di atti interruttivi, la prescrizione sarebbe maturata per il decorso dei cinque anni dalla data del compimento della maggiore età e non sei anni, come erroneamente ritenuto in sentenza, non applicandosi la legge n. 251 del 2005. In ogni caso, non potrebbe che ritenersi decorso il tempo massimo di prescrizione a decorrere dal (omissis).
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
Integra il reato di cui all'art. 570, comma secondo, n. 2 c.p. la mancata corresponsione dei mezzi di sussistenza ai figli di "età minore" ovvero maggiorenni "inabili a lavoro".
L'obbligo, penalmente sanzionato, di prestare i mezzi di sussistenza ha dunque un contenuto soggettivamente e oggettivamente più ristretto di quello delle obbligazioni previste dalla legge civile.
Il genitore separato, infatti, è obbligato ex art. 155 quinquies c.c. a concorrere al mantenimento del figlio anche dopo il raggiungimento della maggiore età da parte di quest'ultimo; obbligo che perdura finché il genitore interessato non dia prova che il figlio abbia raggiunto l'indipendenza economica (Sez., I, civile, 8 febbraio 2012, n. 1773; Sez. VI, civile, 15 febbraio 2012, n. 2171). Per i figli maggiorenni, portatori handicap grave, il secondo comma del citato art. 155 quinquies prevede l'applicazione delle disposizione stabilite in favore dei figli minori.
Posto che la lettera della norma fornisce "la cornice" per l'interpretazione del precetto penale e all'interno di essa va ricercato il significato della disposizione, ne discende che la "inabilità al lavoro" dei figli maggiorenni è condizione imprescindibile per la configurabilità del reato previsto dall'art. 570, comma secondo, n. 2 c.p..
"Inabile al lavoro" è la persona che abbia una "totale e permanente inabilità lavorativa" ex art. 2 e 12 legge n. 118 del 1971. Mentre, la persona cui sia riscontrata una "invalidità" che comporti una riduzione permanente della "capacità lavorativa" inferiore o pari al 74% non può essere annoverata tra gli "inabili al lavoro" (artt. 2 e 13 Legge 118 del 1971 e art. 9 d.lgs. 509 del 1988. In tal caso, la violazione dell'obbligo di corrispondere al figlio maggiorenne un eventuale assegno di mantenimento integra un illecito civile.
2. Nel nostro caso, come precisato nella sentenza impugnata, L.P.S. è stata riconosciuta una "invalidità" con una "riduzione della capacità lavorativa del 46%".
Pertanto, il reato di violazione dell'obbligo di prestare i mezzi di sussistenza è configurabile sino al raggiungimento della maggiore età e non anche per il periodo successivo, la cui violazione integra, là dove sussistano le condizioni, un illecito civile.
S..L.P. ha compiuto diciotto anni il (OMISSIS) , data in cui è cessata la continuazione. Ciò comporta che la sentenza impugnata va annullata senza rinvio per il periodo successivo al (OMISSIS) , perché il fatto non sussiste.
2.1. Anche per il periodo anteriore al compimento della maggiore età, la sentenza impugnata va annullata senza rinvio, perché il reato è estinto per prescrizione.
S..L.P. ha compiuto 18 anni il (OMISSIS) , e il Procuratore della Repubblica di Roma ha esercitato l'azione penale il 21 gennaio 2005 - come precisato nella sentenza di primo grado e accertato da questa Corte - cui spetta l'accesso agli atti per la verifica dei fatti processuali ~ e ciò comporta che il 28 gennaio 2004, il reato si è estinto per prescrizione. Infatti, in applicazione dell'art. 157 c.p., nel testo anteriore alla novella del 2005, il tempo di prescrizione - in mancanza di altro anteriore atto interruttivo ex art. 160 c.p. - il "tempo necessario a prescrivere" è fissato in cinque anni a decorrere dal tempus commissi delicti (nel nostro caso il 28 gennaio 2008, data in cui è cessata la permanenza) "per i reati puniti con pena inferiore a cinque anni"; il reato di cui all'art. 570 comma 2 n. 2 c.p. è annoverabile tra questi ultimi perché punito con la pena della reclusione fino a un anno.
3. L'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, per estinzione del reato per prescrizione, verificatasi il (OMISSIS) ed in epoca anteriore alla sentenza di condanna di primo grado, comporta ex art. 578 c.p.p. la revoca delle statuizioni civili da estendere alla condotta relativa periodo successivo per la quale, si è già detto al p.2, vi è stata assoluzione perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché, in relazione alla condotta posta in essere fino al (OMISSIS) , il reato è estinto per prescrizione e, in relazione alla condotta successiva, perché il fatto non sussiste. Revoca le statuizioni civili.
01-06-2013 12:06
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