Misura cautelare e durata massima della misura. Recupero e sospensione termini. Art. 303 c.p.p.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 10 ottobre - 26 novembre 2013, n. 47072
Presidente Carmenini – Relatore Taddei
Ritenuto in fatto
1.Avverso l'ordinanza indicata in epigrafe, che ha annullato l'ordinanza emessa dalla Corte d'appello di Napoli del 21 gennaio 2013, con la quale veniva rigettata l'istanza di scarcerazione per decorrenza dei termini di fase, avanzata nell'interesse di C.M. , ricorre il Procuratore Distrettuale di Napoli chiedendone l'annullamento e, dopo aver premesso che l'imputata è stata condannata alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione per il delitto di cui all'art. 74 DPR 309/1990, delitto che prevede termini massimi di custodia cautelare, ai sensi dell'art. 303 co. 1 lett. c), pari ad anni uno e mesi sei, che va raddoppiato a norma dell'art. 304 co 6 cod.proc.pen., e per la fase dell'appello anni due, deduce che il Tribunale del riesame,erroneamente ed in contrasto con la decisione della Suprema Corte n. 30759 del 2012, non ha ritenuto che ai termini della custodia cautelare così determinati, andasse aggiunto anche quello di sei mesi,previsto dalla lettera d) dell'art. 303 cod.proc.pen..
Considerato in diritto
2. Il ricorso non può essere accolto.
2.1 Rileva, innanzitutto,che il comma 3 bis dell'art. 303 cod.proc.pen., così come introdotto dalla legge n.4 del 2001, regolamenta la scansione temporale della custodia cautelare dei soli delitti per i quali è stata prevista,in simmetrica analogia, la deroga ai termini di durata massima delle indagini preliminari ai sensi dell'art. 407 comma 2, lett. a) cod.proc.pen..
2.2 Appare, perciò, fondato ritenere che la logica ispiratrice dell'art. 303 comma 3 bis cod.proc.pen. vada individuata nell'intento di favorire una ripartizione del termine di custodia cautelare endofasica, più aderente alle esigenze peculiari e concrete dettate dalla materia trattata, che, per la natura indubbiamente complessa delle richiamate condotte delittuose, di solito si risolve in indagini e verifiche dibattimentali destinate a prolungarsi oltre i tempi più usuali.
Tempi di custodia cautelare, comunque, da contenere negli invalicabili limiti temporali alla durata globale della custodia cautelare, fissati dai comma 4 dell'art. 303 e 6 dell'art. 304 cod.proc.pen., che rappresentano entrambi una ponderata risposta alla necessità di bilanciamento della tutela dell'interesse alla sicurezza sociale con la tutela del diritto individuale alla libertà personale, nel rispetto del principio ispiratore dell'art. 13 della Costituzione.
2.3 Non è poi illogico che non si sia ritenuto necessario prevedere un prolungamento dei termini della custodia cautelare anche per la fase dell'appello, essendo quest'ultima caratterizzata, a differenza della fase del giudizio, dalla natura, contratta e tendenzialmente orale, del rito ; né inopportuna appare la scelta di gravare dell'eventuale necessario recupero del termine, la fase del giudizio di legittimità, nel caso di incapienza di quella che antecede il giudizio di primo grado, se si considera la natura solo orale del rito di legittimità.
2.4 In altre parole, secondo questo Collegio, l'obbiettivo della norma in esame é quello di consentire "de plano", nei dibattimenti resi particolarmente complessi anche dalla peculiare natura dei delitti trattati, la possibilità di un prolungamento del termine di custodia cautelare della precipua fase del giudizio, imputando, ove possibile, tale segmento al termine previsto per la fase precedente non integralmente esaurito ovvero recuperando il periodo di custodia cautelare, negli stessi limiti, dalla fase del giudizio di legittimità che, in tal modo, viene di conseguenza ad esserne ridotto in pari misura. Ancora una volta,va ribadito che la scelta di gravare la fase del giudizio di cassazione appare pienamente giustificata dalla natura essenzialmente orale e rapida del rito, che chiude il processo, mutando la natura di custodia cautelare in esecuzione della pena.
2.5 Ciò posto, questo collegio non ritiene di poter condividere il principio enunciato nella decisione n.30759 del 2012,(peraltro isolata), secondo la quale: "...in tema di durata massima della custodia cautelare, ai sensi dell'art. 304 c.p.p., comma 6, nel computo del doppio del termine di fase della stessa custodia non si deve tener conto dell'aumento fino a sei mesi previsto dall'art. 303 c.p.p., comma 1, lett. b), n. 3 bis), per i procedimenti riguardanti delitti di cui all'art. 407 c.p.p., comma 2, lett. a), alla stregua dell'interpretazione sistematica della norma e della sua ratio ispiratrice...." e che vada invece ribadito il principio, consolidato nella giurisprudenza di legittimità, secondo cui: "In tema di durata della custodia cautelare, l'applicazione del meccanismo di recupero previsto dall'art. 303, comma primo, lett. b), n. 3-bis, cod. proc. pen., che consente il prolungamento dei termini di fase per mezzo dell'imputazione del periodo residuo a fasi diverse, non comporta l'aumento dei termini massimi di custodia fissati dall'art. 304, comma sesto, cod. proc. pen. (per tutte, n. 38671 del 2011 Rv. 250847)".
2.6 Ritiene, perciò, il collegio che,fermo restando che solo per la fase del giudizio di primo grado sia consentito il recupero fino a sei mesi di termini non utilizzati nella fase delle indagini ovvero sia consentita la decurtazione del termine di custodia relativo alla fase del giudizio di legittimità, tale recupero, sempre quantitativamente variabile, perché, in concreto connesso alle effettive esigenze prospettatesi nel caso concreto, proprio per tale sua natura variabile, non può scardinare la regola, costituzionalmente orientata, dei termini massimi della custodia cautelare e, di conseguenza, che l'utilizzo che se ne sia fatto non possa rilevare nel computo globale dei termini massimi della custodia cautelare.
3. Il ricorso, per i motivi che precedono, va, pertanto, rigettato.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
29-11-2013 16:23
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