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Sentenza

Mettersi davanti al motorino per costringere il conducente a fermarsi è violenza privata.
Mettersi davanti al motorino per costringere il conducente a fermarsi è violenza privata.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 21 marzo – 3 giugno 2013, n. 23945
Presidente Ferrua – Relatore Sabeone

Ritenuto in fatto

1. La Corte di Appello di Catania, con sentenza del 10 maggio 2011 ha confermato la sentenza del Tribunale di Catania, Sezione Distaccata di Adrano del 4 giugno 2008 con la quale C.A.M. era stato condannato per i delitti di violenza privata e minacce nei confronti di P.A.
2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, lamentando:
a) una contraddittorietà della motivazione sul punto della mancata rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale in appello, a cagione della decisività della prova da escutere;
b) una omissione della motivazione circa la richiesta della sospensione condizionale della pena;
c) una violazione di legge circa il mancato proscioglimento ex articolo 129 cod. proc. pen.;
d) una violazione di legge circa la sussistenza dell'elemento oggettivo di entrambi i contestati reati;
e) una violazione di legge per la mancata dichiarazione di prescrizione dei reati.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondati i motivi.
2. In diritto, con riferimento al primo motivo, si osserva come l'articolo 507 cod. proc. pen. conferisca al Giudice un potere e non un dovere di integrazione probatoria.
L'esercizio di tale potere presuppone, poi, la sussistenza dell'assoluta necessità del nuovo mezzo di prova e postula l'apprezzamento e la valutazione al riguardo da parte del Giudice, il quale, ove non eserciti tale potere, non è tenuto a darne espressamente conto, evincendosi implicitamente dall'effettuata valutazione, adeguata e logica, delle risultanze probatorie già acquisite la superfluità di una eventuale integrazione istruttoria (v. da ultimo, Cass. Sez. VI 16 febbraio 2010 n. 24430).
L'iniziativa deve essere, pertanto, “assolutamente necessaria” (sia l'articolo 507 che il 603 del codice di rito per l'appello usano questa espressione) e la prova deve avere carattere di decisività (altrimenti non sarebbe “assolutamente necessaria”), diversamente da quanto avviene nell'esercizio ordinario del potere dispositivo delle parti in cui si richiede soltanto che le prove siano ammissibili e rilevanti.
Tutto ciò premesso in diritto quello che rileva è che il Giudice di merito abbia expressis verbis affermato, con motivazione logica a cagione, del comportamento processuale della difesa in merito alla citazione dei propri testi, la non necessità di escutere la teste C.
Del pari, la pretesa illogicità della motivazione sul punto degli accertamenti istruttori e sulla loro valutazione, risulta contraddetta dalla motivazione dei Giudici del merito che non hanno fondato la responsabilità dell'imputato sulla base delle sole dichiarazioni della parte offesa, come pure sarebbe stato ammissibile sulla scorta dell'affermata attendibilità delle stesse (v. Cass. Sez. Un. 19 luglio 2012 n. 41461), ma le hanno corroborate con le dichiarazioni testimoniali V.
Non si può, in ogni caso, richiedere a questa Corte di legittimità una rilettura dell'esperita attività istruttoria allorquando la stessa sia stata correttamente esaminata e logicamente evidenziata nella motivazione.
3. La mancata concessione della sospensione condizionale della pena risulta giustificata dall'assoluta genericità della doglianza, sollevata con l'atto di appello e ribadita nel presente ricorso, nel quale non si evidenziano quelle situazioni di fatto, che questa Corte non può acclarare, che avrebbero potuto determinare la concessione dell'invocato beneficio.
4. Quanto alla pretesa tardività della querela, nell'impugnata sentenza si da espressamente atto che i fatti furono commessi nella data indicata dalla parte offesa e, quindi, tempestivamente, per cui sarebbe stato onere dell'imputato dimostrare in maniera concretate fattuale una diversa epoca di commissione del reato che, di converso, non è stata data.
In punto di diritto, si osserva, come l'onere della prova della intempestività della querela sia a carico di chi alleghi l'inutile decorso del termine (v. Cass. Sez. V 19 giugno 2009 n. 30801) e che la detta prova non possa basarsi su semplici presunzioni o mere supposizioni (v. Cass. Sez. VI 15 maggio 1998 n. 6567).
La decadenza del diritto a proporre la querela deve, infatti, essere accertata secondo criteri rigorosi e non può ritenersi verificata in base a semplici presunzioni prive di valore probatorio.
È, altresì, opportuno rilevare come la eventuale situazione di incertezza debba essere risolta a favore del querelante (v. Cass. Sez. VI 24 giugno 2003 n. 35122) proprio perché l'onere della prova della intempestività incombe a chi la deduce.
5. Il motivo attinente ad una violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine al reato di violenza privata in danno della parte lesa è manifestamente infondato in quanto la Corte territoriale ha richiamato, da un lato, la ricostruzione degli episodi effettuata dal Giudice di prime cure e, d'altra, parte ha affermato, in maniera del tutto logica, come le asserzioni defensionali non fossero idonee a ribaltare la natura degli accadimenti così come ascritti.
Si afferma, inoltre, nella giurisprudenza di questa Corte come integri gli estremi del delitto di violenza privata la minaccia, ancorché non esplicita, che si concreti in un qualsiasi comportamento o atteggiamento idoneo ad incutere timore ed a suscitare la preoccupazione di un danno ingiusto al fine di ottenere che, mediante la detta intimidazione, il soggetto passivo sia indotto a fare, tollerare o ad omettere qualcosa (v. Cass. Sez. V 26 gennaio 2006 n. 7214 e Sez. II 18 gennaio 2011 n. 3609).
Anche in questo caso la Corte territoriale, con motivazione del tutto logica ed ispirata ai suddetti principi, ha affermato sussistenza del reato non avendo la parte offesa potuto proseguire la sua marcia con il motorino in conseguenza del comportamento dell'imputato, paratosi avanti lo stesso.
6. Analogamente può dirsi in relazione al delitto di minacce aggravate in quanto l'espressione “…avrebbe saputo lui come fargliela pagare cara” appare integrare senza dubbio gli estremi del danno ingiusto idoneo a integrare il contestato reato.
La natura delle espressioni adoperate vale a ritenere integrata la contestata minaccia aggravata, poiché'sul piano sostanziale la gravità della minaccia va accertata avendo riguardo a tutte le modalità della condotta e, in particolare, al tenore delle eventuali espressioni verbali ed al contesto nel quale esse si collocano, onde verificare se, ed in quale grado, essa abbia ingenerato timore o turbamento nella persona offesa (v. Cass. Sez. V 26 settembre 2008 n. 43380).
La Corte territoriale ispirandosi ai suddetti principi ha dato logicamente conto della gravità della minaccia.
7. L'inammissibilità del ricorso impedisce, inoltre, l'esame dell'eventuale prescrizione degli ascritti reati, posta l'ulteriore circostanza della mancata proposizione, nei motivi di appello, della relativa impugnazione (v. Cass. Sez. Un. 22 marzo 2005 n. 23428).

P.T.M.

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Avv. Antonino Sugamele

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