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Sentenza

Le 46 intercettazioni telefoniche dell'ex parlamentare Pdl Nicola Cosentino: la Camera non doveva negare l'uso delle intercettazioni.
Le 46 intercettazioni telefoniche dell'ex parlamentare Pdl Nicola Cosentino: la Camera non doveva negare l'uso delle intercettazioni.
SENTENZA N. 74
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano
SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria
NAPOLITANO, Giuseppe
FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta
CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio per conflitto di attribuzione
tra poteri dello Stato sorto a seguito della deliberazione
della Camera dei deputati del 22 settembre 2010, che ha negato l'autorizzazione a utilizzare
intercettazioni telefoniche nei confronti di N. C., membro della Camera dei deputati all'epoca dei
fatt
i, richiesta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ai sensi dell'art. 6,
comma 2, della legge 20 giugno 2003, n. 140, nel procedimento penale n. 325/2011 (n. 36856/01
RGNR), promosso dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, prim
a sezione penale, con ricorso
notificato il 21 dicembre 2011, depositato in cancelleria il 20 gennaio 2012, ed iscritto al n. 10 del
registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di merito.
Udito nell'udienza pubblica del 26 febbraio 2013 il Presid
ente Franco Gallo, in luogo e con
l'assenso del Giudice relatore Sabino Cassese.
Ritenuto in fatto
1.
–
Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, prima sezione penale, con ricorso del 6 giugno 2011
(reg. confl. pot. n. 10 del 2011), accogliendo la richi
esta del pubblico ministero, ha sollevato
conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione del 22 settembre 2010
(doc. IV n. 6
-
A), con la quale, in conformità alla proposta adottata a maggioranza dalla Giunta per
le autori
zzazioni, la Camera dei deputati ha negato l'autorizzazione a utilizzare intercettazioni
telefoniche nei confronti di N. C., membro della Camera dei deputati all'epoca dei fatti, richiesta
dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli ai
sensi dell'art. 6, comma 2, della
legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione
nonché in materia di processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).
1.1.
–
Il Tribunale ricorrente premette d
i essere stato investito, dopo l'adozione del decreto di
giudizio immediato del 27 gennaio 2011 da parte del Giudice per le indagini preliminari, di un
procedimento penale nei confronti dell'allora parlamentare N. C., imputato del delitto di cui agli
artt.
110 e 416
-
bis del codice penale, con l'accusa di aver intrecciato rapporti con l'«associazione
armata di stampo mafioso detta “clan dei casalesi” [...] nella prospettiva dello scambio “voti contro
favori”».
1.2.
–
Con ordinanza del 7 gennaio 2010, il Giudi
ce per le indagini preliminari, su istanza della
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Napoli, ha richiesto alla Camera dei deputati, ai
sensi dell'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003, l'autorizzazione all'utilizzazione di
quarantasei co
nversazioni telefoniche, casualmente intercettate, coinvolgenti il parlamentare.
Secondo quanto riportato dal ricorrente, nella domanda di autorizzazione il Giudice per le indagini
preliminari «con ampia e puntuale motivazione [...] dava atto che le interce
ttazioni di cui trattasi
erano state regolarmente autorizzate nei confronti di terzi ed evidenziava il carattere fortuito e
casuale della captazione del parlamentare, escludendo l'ipotesi di elusione dell'obbligo di richiedere
l'autorizzazione preventiva a
i sensi dell'art. 4 della legge n. 140 del 2003». Il medesimo giudice,
«premessa poi una analisi dei concetti normativi di rilevanza e necessità di utilizzazione delle
intercettazioni telefoniche di cui all'art. 6» della citata legge n. 140 del 2003, proce
deva «a una
dettagliata e specifica valutazione del contenuto delle intercettazioni di cui trattasi, concludendo per
la necessità della loro utilizzazione» nell'ambito del procedimento penale nel quale l'allora
parlamentare N.C. è imputato.
1.3.
–
Con del
iberazione del 22 settembre 2010, la Camera dei deputati
–
a seguito dell'esame della
richiesta da parte della Giunta per le autorizzazioni
–
ha negato, ai sensi dell'art. 68, terzo comma,
Cost., l'autorizzazione all'utilizzazione delle predette intercetta
zioni.
1.4.
–
Il Tribunale ricorrente afferma che la delibera della Camera dei deputati sarebbe stata assunta
sulla base di valutazioni che trascendono i limiti del sindacato previsto dall'art. 68, terzo comma,
Cost., con conseguente invasione della sfera
di attribuzioni che l'art. 6, comma 2, della legge n. 140
del 2003 riserverebbe in via esclusiva al giudice penale. Dalla relazione della Giunta per le
autorizzazioni si evincerebbe, infatti, che la Camera dei deputati, nel respingere la richiesta, ha
imp
iegato criteri diversi da quelli previsti dalla legge n. 140 del 2003.
In primo luogo, il ricorrente ritiene «sintomatica di una deviazione dai criteri di legge»
l'affermazione, contenuta nella relazione di maggioranza, secondo cui l'art. 6, comma 2, dell
a legge
n. 140 del 2003 «non detta un criterio, ma rimette la concessione o il diniego dell'autorizzazione ad
una decisione dell'Assemblea», la quale «può scegliere il criterio e dimostrarne, secondo la propria
elaborazione politica e concettuale, la ragio
nevolezza». In senso contrario, il ricorrente richiama la
sentenza n. 188 del 2010, ove la Corte costituzionale avrebbe «nitidamente individuato l'ambito di
valutazione dell'organo parlamentare in materia di intercettazioni coinvolgenti casualmente un
prop
rio membro», circoscrivendo la valutazione di quell'organo alla verifica «che sussistono sia il
requisito, per così dire, “negativo” dell'assenza di ogni intento persecutorio o strumentale della
richiesta, sia quello, per così dire, “positivo” della afferm
ata “necessità” dell'atto, motivata in
termini di non implausibilità».
In secondo luogo, secondo il ricorrente, la Camera dei deputati avrebbe fondato la propria decisione
su una impropria identificazione dei criteri in base ai quali autorizzare l'utilizz
azione delle
intercettazioni e l'arresto. Nella relazione della Giunta si individuerebbe un «nesso» con la
precedente deliberazione
–
con cui la Camera dei deputati aveva negato l'autorizzazione all'arresto
del parlamentare
–
«stretto a tal punto che sareb
be stato contraddittorio decidere diversamente». Per
contro, ad avviso del ricorrente, nelle due ipotesi
–
autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni
e autorizzazione all'arresto
–
il Parlamento sarebbe chiamato a formulare «valutazioni
ontologica
mente diverse ed ancorate al rispetto di criteri e requisiti niente affatto coincidenti».
In terzo luogo, errato sarebbe l'argomento, anch'esso addotto nella relazione, secondo cui le
intercettazioni in questione, riguardando conversazioni avvenute tra l'
allora deputato N. C. e altre
persone tra il 2002 e il 2004, conterrebbero «elementi ormai molto risalenti nel tempo e la cui
idoneità probatoria deve ritenersi in gran parte scemata». Il ricorrente rileva l'eccentricità di tale
argomentazione, affermando
che, «per definizione, l'indizio o l'elemento di prova non è destinato
ad affievolirsi o a scemare, cioè non perde la propria attitudine dimostrativa del fatto, a causa del
trascorrere del tempo» e che una prova, anche se acquisita in epoca risalente, «res
terà pur sempre
una prova», poiché «il codice di rito non assume il trascorrere del tempo come elemento di
valutazione della prova».
In quarto luogo, il diniego dell'autorizzazione risulterebbe fondato su una valutazione non corretta
della correlazione de
lle conversazioni intercettate con gli altri elementi di prova. L'affermazione,
contenuta nella relazione della Giunta per le autorizzazioni, secondo cui il contenuto delle
intercettazioni «non conferisce profili di novità alle risultanze dell'esame che è
già stato svolto a
proposito della richiesta di arresto», andrebbe a reiterare una «impropria sovrapposizione di
valutazioni e giudizi che riguardano sfere procedimentali assolutamente diverse (la valutazione sul
provvedimento cautelare emesso a carico del
parlamentare e quella sulla acquisizione di specifico
atto di indagine coinvolgente il parlamentare)». Inoltre, si introdurrebbe così «un criterio valutativo,
quello attinente i profili di novità dell'indizio o prova, che esorbita dalle competenze dell'or
gano
parlamentare» e che condurrebbe alla «esclusione, certamente arbitraria, di acquisizioni che
arricchiscono, rafforzano, completano o confermano il quadro indiziario esistente». Secondo il
ricorrente, del resto, sarebbe plausibile che «l'acquisizione i
n epoca più recente di elementi di prova
ritenuti indizianti abbia indotto gli inquirenti a recuperare e valorizzare altri elementi acquisiti in
precedenza e a suo tempo giudicati di valenza probatoria neutra o, comunque, non indiziante».
In quinto luogo,
sia la valutazione formulata nella relazione, secondo cui il dato emergente dalle
intercettazioni «non può ritenersi decisivo ai fini della colpevolezza» dell'allora deputato N. C., sia
la conclusione della relazione stessa, circa «la fragilità dell'impia
nto accusatorio», sarebbero
–
ad
avviso del ricorrente
–
indicative del ricorso a «un criterio di valutazione improprio, perché estraneo
alla previsione della legge, che fa riferimento esclusivo alla necessità della acquisizione della
specifica prova a fin
i processuali».
La Camera dei deputati, nel deliberare sull'autorizzazione in base alle richiamate valutazioni,
avrebbe esorbitato dalla proprie attribuzioni ed esercitato poteri che spettano esclusivamente
all'autorità giudiziaria. Il ricorrente chiede,
quindi, che la Corte voglia dichiarare «che non spetta
alla Camera dei deputati negare l'autorizzazione all'utilizzazione processuale delle intercettazioni
telefoniche secondo un criterio all'uopo discrezionalmente prescelto, né in base ai criteri che
pres
iedono all'autorizzazione all'arresto ovvero in base all'epoca di esecuzione delle
intercettazioni, alla ravvisata mancanza di novità o di decisività del relativo apporto probatorio e
neppure in base alla ritenuta fragilità dell'impianto accusatorio», e, c
onseguentemente, che la Corte
annulli la deliberazione adottata dalla Camera dei deputati in data 22 settembre 2010.
2.
–
Il conflitto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte, ai sensi dell'art. 37 della legge 11
marzo 1953, n. 87, con ordinanza n.
327 del 2011.
A seguito di essa, il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere ha notificato il ricorso e l'ordinanza alla
Camera dei deputati e al Senato della Repubblica in data 14 dicembre 2011, e ha depositato tali atti,
con la prova dell'avvenuta notific
azione, il 2 gennaio 2012.
3.
–
La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica non si sono costituiti in giudizio.
Considerato in diritto
1.
–
Con ricorso del 6 giugno 2011 (reg. confl. pot. n. 10 del 2011), il Tribunale di Santa Maria
Capua Vete
re, prima sezione penale, accogliendo la richiesta del pubblico ministero, ha sollevato
–
nell'ambito di un procedimento penale innanzi ad esso pendente nei confronti dell'allora
parlamentare N. C., imputato del delitto di cui agli artt. 110 e 416
-
bis del
codice penale
–
conflitto
di attribuzione tra poteri dello Stato in riferimento alla deliberazione del 22 settembre 2010 (doc. IV
n. 6
-
A), con la quale la Camera dei deputati ha negato l'autorizzazione a utilizzare quarantasei
conversazioni telefoniche, ca
sualmente intercettate, coinvolgenti il suddetto parlamentare.
L'autorizzazione è stata chiesta con ordinanza del 7 gennaio 2010 dal Giudice per le indagini
preliminari del Tribunale di Napoli, ai sensi dell'art. 6, comma 2, della legge 20 giugno 2003, n.
140 (Disposizioni per l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione nonché in materia di processi
penali nei confronti delle alte cariche dello Stato).
Il Tribunale ricorrente deduce che la Camera dei deputati, nel negare l'autorizzazione, avrebbe
esor
bitato dai limiti delle proprie attribuzioni, stabiliti dall'art. 68 della Costituzione, in quanto la
relativa delibera sarebbe stata assunta alla stregua di criteri discrezionalmente scelti volta per volta e
sulla base di valutazioni sul merito degli atti
di indagine che l'art. 6, comma 2, della legge n. 140
del 2003 attribuirebbe in via esclusiva al giudice penale. Il ricorrente chiede, quindi, che la Corte
voglia dichiarare «che non spetta alla Camera dei deputati negare l'autorizzazione all'utilizzazion
e
processuale delle intercettazioni telefoniche secondo un criterio all'uopo discrezionalmente
prescelto, né in base ai criteri che presiedono all'autorizzazione all'arresto ovvero in base all'epoca
di esecuzione delle intercettazioni, alla ravvisata manca
nza di novità o di decisività del relativo
apporto probatorio e neppure in base alla ritenuta fragilità dell'impianto accusatorio», e,
conseguentemente, annullare la deliberazione adottata dalla Camera dei deputati in data 22
settembre 2010.
2.
–
In via p
reliminare, va ribadita l'ammissibilità del conflitto, già dichiarata con l'ordinanza n.
327 del 2011, poiché ne sussistono i requisiti oggettivi e soggettivi. Anche a seguito della
cessazione di N. C. dalla carica di parlamentare, avvenuta il 15 marzo 201
3, resta ferma la
legittimazione della Camera dei deputati (cui apparteneva l'imputato all'epoca dei fatti) ad essere
parte del presente conflitto, quale organo competente a dichiarare in modo definitivo la propria
volontà in ordine all'applicabilità dell'
art. 68, terzo comma, della Costituzione (ordinanze n. 25 e n.
13 del 2013, nonché sentenza n. 263 del 2003).
3.
–
Occorre innanzitutto stabilire se spetti al Parlamento negare l'autorizzazione all'utilizzazione
processuale di una intercettazione «fortuit
a» o «casuale» nei confronti di un suo membro in base a
criteri discrezionalmente scelti volta per volta.
3.1.
–
Nelle «considerazioni di metodo» formulate nella relazione presentata alla Presidenza della
Camera dei deputati l'8 gennaio 2010 (doc. IV n. 6
-
A) ed approvata dall'Assemblea con la
deliberazione del 22 settembre 2010 impugnata, la Giunta per le autorizzazioni afferma che l'art. 6,
comma 2, della legge n. 140 del 2003
–
nell'assegnare al Parlamento il potere di autorizzare
l'utilizzazione delle c
onversazioni, cui abbia preso parte un suo membro, che risulti quindi
indirettamente e casualmente intercettato
–
«non detta un criterio, ma rimette la concessione o il
diniego dell'autorizzazione ad una decisione dell'Assemblea», la quale, quindi, «può sc
egliere il
criterio e dimostrarne, secondo la propria elaborazione politica e concettuale, la ragionevolezza».
Questa interpretazione dell'art. 6 della legge n. 140 del 2003 non può essere accolta.
Si osserva, innanzitutto, che l'art. 6, al pari delle al
tre disposizioni sulle immunità e prerogative a
tutela della funzione parlamentare, deroga al principio di parità di trattamento davanti alla
giurisdizione
–
principio che è «alle origini della formazione dello Stato di diritto» (sentenze n. 262
del 2009 e
n. 24 del 2004)
–
e deve, quindi, «essere interpretat[o] nel senso più aderente al testo
normativo» (sentenza n. 390 del 2007). Tale esigenza è stata rafforzata dalla riforma dell'art. 68
Cost., avvenuta con legge costituzionale 29 ottobre 1993, n. 3, che
ha sostituito l'originaria
autorizzazione a procedere nei confronti dei membri del Parlamento con un sistema basato su
specifiche autorizzazioni ad acta. Nell'attuale sistema delle immunità e delle prerogative
parlamentari, «non più l'intero procedimento,
ma solo tali atti sono considerati idonei a incidere
sulla libertà e l'indipendenza della funzione parlamentare», e «queste sono suscettibili di sacrificio
nei limiti in cui il compimento in concreto di taluno di essi
–
in relazione alla sua attitudine ti
pica
–
corrisponda alle specifiche esigenze procedimentali e, in particolare, investigative» (sentenza n. 188
del 2010).
L'art. 68 Cost., inoltre, protegge l'attività parlamentare dalle interferenze giudiziarie a condizione
che queste
–
oltre a pregiudica
re «la funzionalità, l'integrità di composizione (nel caso delle misure
de libertate) e la piena autonomia decisionale» dell'Assemblea
–
siano anche «illegittime», ossia
impiegate «con scopi persecutori, di condizionamento, o comunque estranei alle effetti
ve esigenze
della giurisdizione», identificandosi il bene protetto «con l'esigenza di assicurare il corretto
esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento, e non con gli interessi
sostanziali di questi ultimi (riservatezza, o
nore, libertà personale), in ipotesi pregiudicati dal
compimento dell'atto» (sentenza n. 390 del 2007).
3.2.
–
L'art. 6 della legge n. 140 del 2003 stabilisce che il corretto esercizio del potere
giurisdizionale nei confronti dei membri delle Camere va va
lutato in base al criterio della
«necessità» processuale. Tale criterio
–
deciso con legge dal Parlamento stesso
–
ha una duplice
valenza: opera come condizione per l'utilizzazione delle intercettazioni nel corso del processo e
come limite dell'attività de
ll'autorità giudiziaria nei confronti dei parlamentari. Ne consegue che
soltanto qualora la richiesta di autorizzazione avanzata dal Giudice per le indagini preliminari abbia
ad oggetto intercettazioni fortuite la cui utilizzazione non risponda al richiama
to criterio di
«necessità», l'esercizio del potere giudiziario andrebbe ritenuto illegittimo e riveli l'intento
persecutorio della richiesta. L'apprezzamento di un simile intento da parte del Parlamento
presuppone
–
ed è logicamente conseguente a
–
un giud
izio negativo circa la sussistenza del
requisito di «necessità». È, dunque, esclusa la possibilità che la Camera alla quale appartiene il
parlamentare le cui conversazioni siano state intercettate decida su una richiesta di autorizzazione
avanzata ai sensi
dell'art. 6 della legge n. 140 del 2003 alla stregua di criteri discrezionalmente
scelti caso per caso o comunque diversi da quello indicato dallo stesso Parlamento in sede
legislativa, nei limiti di cui all'art. 68 Cost.
4.
–
Ciò stabilito in termini ge
nerali, ai fini del presente conflitto, occorre individuare gli ambiti di
valutazione che, rispetto al requisito della necessità, competono, rispettivamente, al giudice
richiedente e alla Camera di appartenenza del parlamentare.
4.1.
–
In base all'art. 6,
comma 2, della legge n. 140 del 2003, il Giudice per le indagini preliminari
chiede l'autorizzazione all'utilizzazione di intercettazioni o tabulati nei confronti del parlamentare
qualora lo
«ritenga necessario». Su questa base, la Corte ha precisato che
«la valutazione circa la
sussistenza, in concreto, di tale “necessità” spetta indubbiamente all'autorità giudiziaria
richiedente», la quale è peraltro tenuta «a determinare in modo specifico i connotati del
provvedimento e a dare adeguato conto delle rela
tive ragioni, con motivazione non implausibile,
nella richiesta di autorizzazione ad eseguirlo, così da porre la Camera competente in condizione di
apprezzarne compiutamente i requisiti di legalità costituzionale» (sent. n. 188 del 2010).
L'art. 6 della l
egge n. 140 del 2003 non assegna al Parlamento un potere di riesame di dati
processuali già valutati dall'autorità giudiziaria. Consente, tuttavia, alle Camere di verificare che la
richiesta di autorizzazione sia coerente con l'impianto accusatorio e che n
on sia, dunque,
pretestuosa. A tal fine, la Camera alla quale appartiene il parlamentare le cui conversazioni siano
state captate deve accertare che il giudice abbia indicato gli elementi su cui la richiesta si fonda
–
ovvero, «da un lato, le specifiche em
ergenze probatorie fino a quel momento disponibili e,
dall'altro, la loro attitudine a fare sorgere la “necessità” di quanto si chiede di autorizzare»
–
e che
la asserita necessità dell'atto sia «motivata in termini di non implausibilità» (sentenza n. 188
del
2010).
4.2.
–
La richiesta di autorizzazione avanzata dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale
di Napoli appare conforme ai principi e ai criteri enunciati.
La «rilevanza e necessità» delle quarantasei conversazioni telefoniche oggetto d
ella richiesta,
casualmente captate su utenze appartenenti a terze persone, sono motivate sia in ordine alla mancata
distruzione dei verbali e delle registrazioni relativi a quelle conversazioni (distruzione che l'art. 6,
comma 1, della legge n. 140 del 20
03 prescrive qualora esse siano ritenute «irrilevanti»), sia in
ordine alla richiesta di autorizzazione formulata ai sensi del comma 2 del medesimo articolo.
Le intercettazioni di cui si chiede l'utilizzazione
–
secondo il Giudice per le indagini prelimin
ari
–
nel loro insieme «attestano contatti e frequentazioni» tra l'allora deputato N. C. «e soggetti dei quali
è stato accertato [...] il contributo rilevante e consapevole prestato al clan dei casalesi e a sodalizi a
questo collegati». In particolare, alcun
e conversazioni servirebbero ad avvalorare il ruolo di N. C.
«nel conferimento degli incarichi all'interno delle compagini consortili interessate dall'indagine
[...]; il suo peso nella composizione del Consiglio di amministrazione della Ecoquattro s.p.a. [...]
;
il suo intervento per la composizione di un contenzioso tra il Consorzio CE4 e la Ecocampania dei
fratelli Ferraro», costituendo così conferme dirette della ricostruzione compiuta nell'ordinanza
cautelare. Altre conversazioni fornirebbero «un riscontro d
iretto di interventi del parlamentare in
questioni probatoriamente rilevanti nelle quali egli era stato finora chiamato in causa da
collaboratori di giustizia, soggetti indagati e/o imputati per gli stessi fatti, conversazioni tra terzi».
Simili riscontri
–
sempre ad avviso del giudice richiedente
–
appaiono rilevanti sia sotto il profilo
accusatorio, non potendosi negare «che di un tale consolidamento cognitivo vi sia sempre bisogno
quando si debba valutare l'affidabilità di fonti cognitive del genere sop
ra indicato»; sia sotto il
profilo difensivo, perché «le interlocuzioni dirette del parlamentare sulle questioni indicate possono
costituire la base per interpretazioni o prospettazioni alternative, indiscutibilmente utili alla piena
comprensione delle vic
ende» e in quanto «dal loro contenuto il parlamentare indagato e i suoi
difensori potrebbero trarre, una volta che queste siano rese processualmente utilizzabili, argomenti
difensivi altrimenti preclusi».
Sulla base di tali considerazioni e di una puntual
e disamina del valore probatorio delle singole
intercettazioni, il Giudice per le indagini preliminari si è espresso «nel senso della rilevanza e
necessità di tutte le conversazioni indicate» e, «ritenuta rilevante e necessaria l'utilizzazione
processuale»
delle medesime, ha chiesto alla Camera dei deputati di autorizzarla, con ciò
conformandosi al dettato dell'art. 6 della legge n. 140 del 2003 e, in particolare, all'obbligo di
indicare gli elementi e le ragioni di necessità posti a fondamento della richie
sta.
4.3.
–
Nell'apprezzare i requisiti di legalità costituzionale della richiesta di autorizzazione
all'utilizzazione delle intercettazioni e, segnatamente, il requisito della necessità, la Camera
–
come
si è anticipato
–
non può sostituirsi al Giudice p
er le indagini preliminari nella «valutazione circa la
sussistenza, in concreto, di tale “necessità”», giacché questa «spetta indubbiamente all'autorità
giudiziaria richiedente», ma deve valutare la coerenza tra la richiesta e l'impianto accusatorio e, in
particolare, se l'addotta necessità sia stata «motivata in termini di non implausibilità» (sent. n. 188
del 2010).
Alla luce di tale criterio, la censura prospettata dal ricorrente merita accoglimento.
Nella deliberazione parlamentare impugnata, la motiv
azione formulata dal Giudice per le indagini
preliminari per giustificare la necessità di acquisire le intercettazioni non è in alcun modo
esaminata. Il diniego dell'autorizzazione è fondato, infatti, oltre che sull'erronea premessa «di
metodo», sopra rich
iamata, secondo cui l'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 rimetterebbe
alla Camera di appartenenza la scelta del criterio di decisione, sui seguenti argomenti: che
esisterebbe un «nesso» con la precedente deliberazione
–
con la quale la Camera dei
deputati aveva
negato l'autorizzazione all'arresto del parlamentare
–
«stretto a tal punto che sarebbe stato
contraddittorio decidere diversamente»; che le intercettazioni in questione, riguardando
conversazioni avvenute tra l'allora deputato N.C. e altre
persone tra il 2002 e il 2004, conterrebbero
«elementi ormai molto risalenti nel tempo e la cui idoneità probatoria deve ritenersi in gran parte
scemata»; che il contenuto delle intercettazioni «non conferisce profili di novità alle risultanze
dell'esame
che è già stato svolto a proposito della richiesta di arresto»; che il dato emergente dalle
intercettazioni «non può ritenersi decisivo ai fini della colpevolezza»; che, conseguentemente,
sarebbe evidente «la fragilità dell'impianto accusatorio».
Tali arg
omenti hanno soltanto una remota attinenza con il requisito della necessità e, comunque,
non concernono la plausibilità o la sufficienza della motivazione a riguardo addotta dal giudice
richiedente. I richiamati argomenti sono volti, piuttosto, a negare
–
peraltro, in modo assiomatico
–
rilievo decisivo al valore probatorio delle comunicazioni intercettate, ma, come la Corte ha già
avuto modo di chiarire, «impropria sarebbe una pretesa di limitare l'autorizzazione solo alle prove
cui sia attribuibile il car
attere della “decisività”, al cui concetto non può essere ridotto e circoscritto
quello di “necessità”» (sentenza n. 188 del 2010).
La deliberazione della Camera dei deputati risulta, perciò, essere stata assunta sulla base di
valutazioni che trascendono
i limiti del sindacato previsto dall'art. 68, terzo comma, Cost. e
interferiscono con le attribuzioni che l'art. 6, comma 2, della legge n. 140 del 2003 assegna in via
esclusiva al giudice penale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
a) dichiara
che non spettava alla Camera dei deputati negare, con deliberazione del 22 settembre
2010, l'autorizzazione, richiesta dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, a
utilizzare quarantasei intercettazioni telefoniche nei confronti di N.
C., membro della Camera dei
deputati all'epoca dei fatti, nell'ambito del procedimento penale n. 325/2011 (n. 36856/01 RGNR)
nel quale il predetto parlamentare risulta imputato;
b) annulla la deliberazione adottata dalla Camera dei deputati in data 22 se
ttembre 2010.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22 aprile
2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Sabino CASSESE, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 aprile 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
Avv. Antonino Sugamele

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