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Sentenza

La titolarità di pensione di invalidità per ritardato sviluppo psichico non esclude l'imputabilità.
La titolarità di pensione di invalidità per ritardato sviluppo psichico non esclude l'imputabilità.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 21 maggio – 3 settembre 2013, n. 36211
Presidente De Roberto – Relatore Carcano

Ritenuto in fatto

1. F.C. impugna la sentenza in epigrafe indicata con la quale è stata in parte confermata la decisione di primo grado che lo condannò per il delitto di maltrattamenti in danno del coniuge A.S. e della figlia minore S. , mediante minacce di morte, violenze percosse e abituale condotta vessatoria.
La Corte d'appello, premesso che l'impugnazione originaria è volta soltanto a censurare la sussistenza dei maltrattamenti nei confronti del figlio minore K. (che peraltro ha determinato l'assoluzione riferibile al capo), ritiene inammissibili i motivi nuovi con i quali si articolano nuove e ulteriori censure dirette a contestare la sussistenza della complessiva condotta illecita e a sostenere la non imputabilità dell'imputato. Ciononostante la Corte d'appello riassume e rivaluta gli elementi posti a fondamento dell'affermazione di responsabilità e gli accertamenti medico - psichiatrici effettuati per accertare l'imputabilità di F.C. .
Ad avviso della Corte d'appello, le dichiarazioni di A.S. , specificamente riscontrate da alcuni vicini di casa esaminati nel corso del giudizio di primo grado, offrono un quadro probatorio coerente e complessivamente tale da dimostrare la condotta abituale di vessazioni fisiche e morali realizzata da F. . L'attendibilità di A.S. , oltre che da quanto riferito da altri testi, trova riscontro anche nelle parole della piccola S. che ha raccontato a D.G.R.A. , amica della mamma, di essere stata aggredita dal padre con una "stretta al collo".
Anche sotto il profilo soggettivo, per il giudice d'appello, F. ha avuto la piena consapevolezza di sottoporre i propri famigliari a subire una condizione di assoggettamento psicologica tale concretizzare sofferenze. I periti, nominati dal giudice di primo grado, hanno escluso che F. fosse affetto da malattie mentale tali da escludere o ridurre la capacità di intendere o di volere.
2. F.C. , propone ricorso personalmente e deduce:
- violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 572 c.p..
Ad avviso del ricorrente non vi è stata una condotta di maltrattamenti, intesa nel senso corretto di comportamento vessatorio abituale protrattosi per lungo tempo, situazione non risultante dalle dichiarazioni dei testi dei quali riporta in ricorso stralci di quanto da loro riferito. Nessuno dei testi esaminati ha riferito di avere assistito a scene di violenze o aggressioni.
La difesa ritiene che manchi la continuità e l'abitualità di atti di aggressione richiesti per la configurazione del delitto di maltrattamenti. Non vi è altresì l'elemento soggettivo che deve avere ad oggetto tutti gli elementi della condotta illecita.
- violazione di legge per erronea applicazione dell'art. 572 c.p. e vizio di motivazione, sotto il profilo della mancanza, contraddittorietà e travisamento del fatto e delle prove.
Al riguardo, il ricorrente ritiene insussistente l'elemento soggettivo del reato che oltre la coscienza e volontà della condotta, richiede la specifica volta di sottoporre i famigliare conviventi a una unitaria condotta lesiva.
F.C. pone in rilievo di essere titolare di pensione di invalidità civile dal lontano 1982 dovuta a "ritardato sviluppo psichico", condizione che esclude e inficia la capacità cognitiva e le prospettive volitive.
Un soggetto disturbato che commette un reato non è meritevole di rimprovero.
È erroneo il giudizio espresso dal medico che ha effettuato perizia psichiatrica e non attendibili risultano le dichiarazioni rese a dibattimento con le quali si confermano tali conclusioni, nonostante abbia ammesso che F.C. risultava da tempo noto al Centro di igiene mentale di (…) perché presentava, oltre alla malattia epilettica, anche i disturbi del comportamento. Tali disturbi, anche da quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità possono essere di tale intensità da ridurre o escludere l'imputabilità.

Considerato in diritto

1. Il ricorso non è volto a rilevare mancanze argomentative e illogicità ictu oculi percepibili, bensì a ottenere un non consentito sindacato su scelte valutative compiutamente giustificate dal giudice di appello, che ha adeguatamente ricostruito la vicenda coniugale.
Il giudice d'appello, come si è esposto in narrativa, ha dialogato con le conclusioni raggiunte dal Tribunale e, dopo una complessiva e accurata valutazione delle prove acquisite, ha condiviso il significato da esse tratto dal Tribunale.
La Corte di merito ha posto in rilievo - si è già detto in narrativa - che il racconto della persona offesa non è smentito da quanto riferito dai testi cui fa riferimento la difesa.
La conclusione cui è pervenuta la sentenza impugnata ha fondamento, dunque, in un quadro probatorio giudicato completo e univoco, e tanto da far ritenere la sussistenza di un precisa determinazione di F. di sottoporre la il coniuge convivente e la figlia a continue vessazioni morali e fisiche di notevole gravità tanto da far emergere in termini incontrovertibili l'abitualità della condotta prevaricatrice e aggressiva.
Anche il profilo dell'imputabilità è stato correttamente considerato in coerenza con gli elementi forniti dalla perizia psichiatrica, i cui contenuti sono stati confermati anche nel corso dell'esame dibattimentale.
In conclusione, a fronte di una plausibile ricostruzione della vicenda, come ampiamente descritta in narrativa, sui precisi riferimenti probatori operati dal giudice d'appello, in questa sede, non è ammessa alcuna incursione nelle risultanze processuali per giungere a diverse ipotesi ricostruttive dei fatti, dovendosi la Corte di legittimità limitare a ripercorrere l'iter argomentativo svolto dal giudice di merito per verificarne la completezza e la insussistenza di vizi logici ictu oculi percepibili, senza possibilità di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali.
La Corte territoriale ha compiutamente esposto le ragioni per le quali ha ritenuto la sussistenza degli elementi richiesti per la configurazione del delitto de quo e le condotte alle quali ha riconosciuto tale illecita connotazione.
3. Il ricorso è, dunque, inammissibile e, a norma dell'art. 616 c.p.p., il ricorrente va condannato, oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene equo determinare in Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende, non ricorrendo le condizioni richieste dalla sentenza della Corte costituzionale 13 giugno 2000, n. 186.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e a quello della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Avv. Antonino Sugamele

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