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Sentenza

L'imputato soffre di dispnea ed astenia profonda. Per la Corte non è causa di legittimo impedimento.
L'imputato soffre di dispnea ed astenia profonda. Per la Corte non è causa di legittimo impedimento.
Cassazione penale  sez. IV   
Data:
    05/11/2013 ( ud. 05/11/2013 , dep.22/11/2013 ) 
Numero:
    46762

                         LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE QUARTA PENALE                        
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. BRUSCO    Carlo Giuseppe -  Presidente   -                     
    Dott. FOTI      Giacomo        -  Consigliere  -                     
    Dott. MASSAFRA  Umberto        -  Consigliere  -                     
    Dott. MARINELLI Felicetta -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. CIAMPI    Francesco Mari -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                   V.G. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la sentenza n. 6516/2012 della CORTE APPELLO di MILANO,  del 
    11/10/2012; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 05/11/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. FELICETTA MARINELLI; 
    Udito  il  Procuratore Generale in persona del Dott. Vincenzo  Geraci 
    che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso; 
    Udito  il difensore del ricorrente Avv. Mongiu Francesco del foro  di 
    Monza che insiste per l'accoglimento del ricorso. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    V.G. è stato ritenuto responsabile dalla Corte di Appello di Milano con sentenza dell'8.02.2011 che, in parziale riforma della sentenza del GUP del Tribunale di Milano del 18.12.2008, lo aveva condannato per il reato di cui all'art. 609 bis c.p., commi 1 e 2, art. 61 c.p., n. 5, 9 e 11 in danno di C. M., concesse le attenuanti generiche prevalenti sulle aggravanti contestate, alla pena di anni due e mesi quattro di reclusione.

    La sopra indicata sentenza è stata annullata dalla Corte di Cassazione, con sentenza del 14.03.2012, limitatamente all'attenuante di cui all'art. 609 bis c.p., comma 3, in quanto questa Corte aveva ritenuto che la sentenza impugnata, nonostante ci fosse stato uno specifico motivo di appello, era completamente carente di motivazione sul punto.

    La Corte d'appello di Milano, con sentenza dell'11.10.2012, decidendo in sede di rinvio dalla Corte di Cassazione, confermava la sentenza del GUP del Tribunale della stessa città del 18.12.2008, appellata dall'imputato V.G., così come parzialmente riformata dalla sentenza della Corte di appello di Milano dell'8.02.2011.

    Il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per i seguenti motivi:

    1) impedimento a comparire dell'imputato.

    Secondo la difesa erroneamente la Corte territoriale aveva rigettato la richiesta del difensore di rinvio dell'udienza dell'11.10.2012 per impedimento a comparire dell'imputato. Secondo la difesa, infatti, la Corte di merito non aveva adeguatamente valutato il fatto che l'imputato, che soffriva delle gravi patologie documentate, versava in una condizione di "dispnea ed astenia profonda" tale da rappresentare un assoluto impedimento a comparire. La Corte territoriale invece, senza disporre una visita fiscale di controllo, si era limitata a fare riferimento alla sola durata del ricovero in ospedale.

    2) Mancata applicazione dell'attenuante di cui all'art. 609 bis c.p., u.c. (caso di minore gravità), che la difesa riteneva sussistente sulla base dell'analisi delle condotte tenute dall'imputato separatamente considerate.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Il primo motivo di ricorso è infondato.

    La Corte di appello di Milano infatti, nell'ordinanza resa all'udienza dell'11.10.2012, ha spiegato, con motivazione assolutamente adeguata, le ragioni per cui non ha ritenuto di accogliere l'istanza di rinvio dal momento che non sussisteva un impedimento assoluto dell'imputato a comparire in udienza, avendo costui subito un intervento che aveva comportato un ricovero in ospedale di pochi giorni.

    Passando poi all'esame del secondo motivo, si osserva che lo stesso è manifestamente infondato.

    La Corte territoriale ha infatti indicato con motivazione congrua e assolutamente condivisibile le ragioni per cui ha ritenuto che non poteva essere riconosciuta la circostanza attenuante della minore gravità del fatto in quanto la condotta posta in essere dall'imputato è stata particolarmente odiosa, avendo egli commesso il fatto abusando delle condizioni di inferiorità fisica della persona offesa. L'imputato conosceva infatti esattamente quale fosse la patologia da cui la persona offesa era affetta, come da lui stesso ammesso ma, ciononostante, ha commesso il reato con modalità tali (all'interno dell'infermeria della caserma) da ostacolare la privata difesa, abusando della qualità soggettiva di militare in servizio presso la predetta caserma con le funzioni di infermiere, violando quindi i doveri inerenti il pubblico servizio ricoperto e su di una persona (addetta alla mensa sottoufficiali della predetta caserma) che prestava colà da molto tempo la sua attività lavorativa.

    La motivazione della sentenza impugnata è assolutamente in linea con quanto statuito dalla giurisprudenza di questa Corte, (cfr., tra le altre, Cass., Sez. 3, Sent. n. 9528 dell'8.06.2000, Rv. 217708, Cass., Sez. 4, Sent. n. 18662 del 12.04.2013, Rv. 255930) secondo cui in tema di violenza sessuale, la circostanza attenuante prevista dall'art. 609 quater c.p. per i casi di minore gravità deve considerarsi applicabile, al pari dell'omologa prevista dall'art. 609 bis c.p., comma 3, in tutte quelle fattispecie in cui, avuto riguardo ai mezzi, alle modalità esecutive ed alle circostanze dell'azione, sia possibile ritenere che la libertà sessuale, personale della vittima sia stata compressa in maniera non grave, ed implica la necessità di una valutazione globale del fatto, non limitata alle sole componenti oggettive del reato, bensì estesa anche a quelle soggettive ed a tutti gli elementi menzionati nell'art. 133 c.p..

    Il ricorso deve essere pertanto rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali.
    PQM
    P.Q.M.

    Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

    In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto: disposto di ufficio.

    Così deciso in Roma, il 5 novembre 2013.

    Depositato in Cancelleria il 22 novembre 2013
Avv. Antonino Sugamele

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