In autobus: si siede accanto ad una minore per toccarle la coscia e l'inguine.E' violenza sessuale nella forma consumata, e non tentata, il compimento di atti sessuali che non interessano direttamente i genitali.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 febbraio - 27 giugno 2013, n. 28118
Presidente Teresi – Relatore Andronio
Ritenuto in fatto
1. - Con sentenza del 13 ottobre 2011, la Corte d'appello di Bologna ha confermato, quanto alla ritenuta responsabilità penale e civile per i danni cagionati, riconoscendo la circostanza attenuante della minore gravità del fatto e, conseguentemente, rideterminando la pena in diminuzione, la sentenza del GUP del Tribunale di Rimini del 17 ottobre 2001, resa a seguito di giudizio abbreviato, con la quale l'imputato era stato condannato, per il reato di cui all'art. 609 quater, perché compiva con un minore, di anni 12 di età, atti sessuali consistenti in toccamenti della coscia e dell'inguine, dopo essersi, a tale scopo, seduto sull'autobus accanto a lui, pur in presenza di molti altri posti liberi.
2. - Avverso la sentenza l'imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, deducendo: 1) l'erronea applicazione della norma incriminatrice e la mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, perché non si sarebbe preso in considerazione che il reato avrebbe potuto essere al più ritenuto configurato a livello di tentativo, non essendo stata toccata una zona genitale e neppure erogena, ma solo una coscia, coperta dai pantaloni; 2) l'erronea applicazione degli artt. 132 e 133 cod. pen., perché, anche considerando il delitto nella forma consumata, le caratteristiche del fatto, la personalità dell'imputato e le finalità rieducative della pena avrebbero dovuto indurre il giudice a contenere la pena nei minimi di legge.
Considerato in diritto
3. – Il ricorso è inammissibile.
3.1. - Condividendo l'iter logico-argomentativo seguito dal giudice di primo grado, la Corte d'appello ha, con analitiche e coerenti argomentazioni, affrontato puntualmente i rilievi critici proposti dalla difesa con il primo motivo di doglianza, in particolare rilevando che il fatto, quale emerge dalle precise e circostanziate dichiarazioni della persona offesa, deve essere qualificato come reato consumato, perché gli atti posti in essere erano già idonei a violare la sfera sessuale della stessa persona offesa, avendo invaso la sua corporeità in un distretto assolutamente prossimo ai genitali, che certamente non è neutro sotto il profilo sessuale e che è definibile quale zona erogena. Così ricostruendo la fattispecie, la Corte d'appello ha fatto corretta applicazione di quanto del noto e consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui integra il delitto di violenza sessuale nella forma consumata, e non tentata, il violento compimento di atti sessuali che, pur non interessando la zona genitale della vittima, attingano zone erogene suscettibili di eccitare la concupiscenza sessuale (ex multis, sez. 3, 18 ottobre 2011, n. 41096, Rv. 251316).
Ne deriva la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso.
3.2. - Inammissibile, per genericità, è la censura relativa alla determinazione della pena. Nel formularla, la difesa non mostra, infatti, di tenere conto degli elementi già ampiamente valutati dalla Corte d'appello e correttamente utilizzati quali parametri per la determinazione del trattamento sanzionatorio, quali la giovanissima età della vittima e i precedenti specifici dell'imputato.
4. - Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile. Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, alla declaratoria dell'inammissibilità medesima consegue, a norma dell'art. 616 cod. proc. pen., l'onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 1.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
02-07-2013 01:21
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