Il collaboratore di giustizia continua a delinquere mentre è sotto il programma di protezione. Legittima la revoca.
Consiglio di Stato, sez. III, sentenza 12 luglio - 29 ottobre 2013, n. 5215
Presidente Lignani – Estensore Dell'Utri
Fatto
A seguito della sottoposizione del signor -OMISSIS- a custodia cautelare in carcere per i delitti di cui agli artt. 81 cpv, 110, 371 ter cod. pen. e 7 d.l. n. 152 del 1991, nell'anno 2010 la Commissione centrale ex art. 10 della legge 15 marzo 1991 n. 82 disponeva la revoca del programma speciale di protezione, nonché della misura del cambiamento delle generalità, a cui il medesimo con i familiari era stato ammesso. In accoglimento del ricorso proposto dall'interessato, tali provvedimenti erano però annullati con sentenza 10 gennaio 2010 n. 200 del TAR Lazio, sede di Roma, sezione I ter, con la quale si riteneva l'insussistenza dei presupposti della disposta revoca obbligatoria e vincolata, giacché la condotta del ricorrente avrebbe potuto, in astratto, giustificare un provvedimento di revoca discrezionale, non trattandosi di violazione degli obblighi di cui all'art. 12, co. 2, lett. b), del d.l. n. 8 del 1991, ossia di “sottoporsi a interrogatori, a esame o ad altro atto di indagine ivi compreso quello che prevede la redazione del verbale illustrativo dei contenuti della collaborazione”.
In esecuzione della pronunzia, con deliberazione 25 gennaio 2012 la Commissione prorogava il programma di protezione sino al 31 marzo 2012, poi con deliberazione 19 aprile 2012 decideva di non prorogare il programma e revocare la misura del cambiamento delle generalità.
Il signor -OMISSIS- ha impugnato anche tali atti. Con sentenza 26 marzo 2013 n. 3084 del predetto TAR (non risultante notificata) il ricorso è stato accolto solo nella parte relativa alla revoca del beneficio del cambiamento di generalità.
Con atto notificato i giorni 26 e 27 aprile 2013 e depositato il 10 maggio seguente l'interessato ha appellato detta sentenza, all'uopo deducendo:
1.- violazione e falsa applicazione degli artt. 9-13 quater l. n. 82 del 1991 e 10-11 d.m. n. 161 del 2004. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La Commissione, dopo aver deliberato una breve proroga del programma, ha disposto di non prorogarlo, senza statuire in merito alla capitalizzazione delle misure di assistenza economica. Al riguardo, con motivazione apodittica il TAR ha ritenuto che non si ravvisano violazioni di legge o profili di eccesso di potere. Di contro, l'Amministrazione ha commesso violazioni macroscopiche poiché in base al combinato disposto dell'art. 13 quater, co. 3, della legge e 10, co. 8, del d.m. il termine di durata delle misure non poteva essere inferiore a sei mesi; comunque, è censurabile il suo modus operandi in quanto i pareri delle Procure nazionale e distrettuale dovevano essere acquisiti almeno un mese prima della scadenza e le valutazioni negative espresse in tali pareri sono smentite dalle risultanze documentali in atti, quali la citazione in data 13 dicembre dell'attuale appellante da parte della stessa DDA di Reggio Calabria, per essere sentito in un procedimento penale come unico collaboratore di giustizia, e la sentenza del GUP del Tribunale di Reggio Calabria, recentemente depositata, con cui gli è stata concessa l'attenuante speciale della collaborazione per la valenza del contributo offerto. Ciò prova che egli non è venuto meno all'obbligo di collaborare e, soprattutto, la permanente sussistenza dell'interesse dello Stato alla collaborazione, sicché i pareri, secondo cui egli sarebbe un collaboratore infedele, appaiono illogici e contraddittori, oltreché non espressi nei termini di legge, quindi la Commissione, anziché richiamarli genericamente, avrebbe dovuto svolgere adeguata istruttoria per acquisire tutti i necessari elementi valutativi concreti, tenuto conto che la Procura distrettuale non aveva corrisposto puntualmente alle richieste della stessa Commissione.
In particolare, ai sensi dell'art. 9, co. 6, del d.m. la Commissione avrebbe dovuto valutare, oltre che il grado e lo stato dei procedimenti penali nei quali le dichiarazioni sono state rese, il tempo trascorso dall'inizio della collaborazione, lo spessore delle condotte di collaborazione, la loro rilevanza e qualità, e soprattutto le situazioni di pericolo determinate dalle reazioni del gruppo criminale a cui si riferiscono le dichiarazioni, con specifico riferimento alla rispettiva forza di intimidazione, costituenti parametro cardine e fondamentale sia della concessione dello speciale programma che della sua modificazione. Valutazioni, queste, invece del tutto omesse, al pari di quella, comparativa, tra la gravità del presunto inadempimento e gli altri interessi coinvolti, quali quello dello Stato ad avvalersi della collaborazione ed all'incolumità dei familiari, essendosi la Commissione limitata ad affermare apoditticamente che non risultava adempiuto l'obbligo primario di collaborare, era venuto meno il parametro di riferimento a cui ancorare il giudizio comparativo e, di qui, anche l'interesse dello Stato alla collaborazione.
2.- Violazione e falsa applicazione dell'art. 10, co. 14 e 15, d.m. n. 161 del 2001 per aver omesso di disporre in merito alla capitalizzazione delle misure di assistenza economica. Contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione.
La capitalizzazione delle misure di assistenza economica risponde alla ratio di favorire il reinserimento sociale del collaboratore e non costituisce dunque, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, una “misura premiale”. Il provvedimento impugnato nulla dispone in proposito, né l'obbligo motivazionale può considerarsi assolto col richiamo al parere contrario della DNA, poiché la Commissione era comunque tenuta a valutare tale aspetto e ad estrinsecare le ragioni di fatto e di diritto per le quali la capitalizzazione non spetterebbe. La sua mancata concessione non si giustifica neppure con il diniego di proroga quale misura sanzionatoria di un “comportamento scorretto”, atteso che ciò è smentito dall'apprezzamento della scelta collaborativa e della sua valenza espresso nella sentenza del GUP n. 631 del 2011 e dante luogo all'applicazione della circostanza attenuante speciale della collaborazione di cui all'art. 8 della legge n. 203 del 1991. Tanto a parte il fatto che l'art. 11 del d.m. non prevede in tali ipotesi il non luogo della capitalizzazione.
Il Ministero dell'interno e la Commissione centrale si sono costituiti formalmente in giudizio, ma non hanno prodotto scritti difensivi.
Diritto
L'appello in esame è infondato.
L'articolato primo motivo concerne la proroga limitata al 31 marzo 2012 delle speciali misure di protezione già applicate all'attuale appellante, signor -OMISSIS-, disposta in data 25 gennaio 2012 dall'apposita Commissione centrale presso il Ministero dell'interno, e la successiva determinazione di non prorogare il programma, contenuta nel provvedimento in data 19 aprile 2012 della stessa Commissione.
Riguardo alla proroga al 31 marzo 2012, di cui il signor -OMISSIS- lamenta il contrasto gli artt. 13 quater, co. 3, del d.l. 15 gennaio 1991 n. 8 (conv. in legge, con modificazioni, dalla l. 15 marzo 1991 n. 82) e 10, co. 8, del regolamento ministeriale 23 aprile 2004 n. 161, secondo i quali il termine di ammissione alle speciali misure di protezione non può essere inferiore a sei mesi, la Sezione osserva che si tratta del formale ripristino del programma scaduto il 31 dicembre 2009 (ma di fatto non interrotto) a soli fini procedimentali, onde rispettare la norma che definisce “a termine” il programma speciale di protezione (citt. art. 13 quater, co. 1, del d.l. e 10. co. 7, del d.m.) nelle more dell'adozione di ulteriori provvedimenti a seguito dell'annullamento giurisdizionale della precedente revoca del programma stesso, dunque al di fuori dell'ambito applicativo della richiamata normativa in tema di ammissione, modifica e verifica periodica delle speciali misure di protezione. La determinazione è infatti basata esclusivamente sull'intervento della sentenza n. 7736/2011 del TAR, senza che in essa siano state svolte valutazioni in ordine alla permanenza dei presupposti di ammissione richieste dal cit. art. 10, co. 11, del d.m. 23 aprile 2004 per la modifica del provvedimento originario mediante fissazione di nuovo termine in sede di proroga propriamente detta, come sopra disciplinata.
Quanto al diniego di proroga, va disattesa la censura secondo cui i pareri resi della DNA e della DDA di Reggio Calabria sarebbero tardivi rispetto al termine di almeno un mese prima della scadenza del programma, stabilito dal medesimo art. 10, co. 9.
La norma invocata prevede che la durata delle misure di protezione applicate sia comunicata all'Autorità proponente “che, almeno un mese prima della scadenza, comunica alla segreteria della Commissione centrale ogni elemento utile per valutare la persistenza dei presupposti che hanno giustificato l'adozione delle misure o del programma speciale di protezione”, laddove è evidente la natura ordinatoria del termine mensile, preordinato a porre in grado la Commissione di determinarsi tempestivamente, ovverosia in modo che non si produca il mantenimento automatico dei precedenti effetti “fino alla data del provvedimento della Commissione”, disposto dal co. 13 del detto art. 10 del regolamento. E, nella specie, per un verso l'attuale appellante non ha ragione di dolersi del detto prolungamento automatico, oltre il 31 marzo e fino all'intervento dell'atto impugnato in primo grado, solo positivo nei suoi riguardi; per altro verso, pur in presenza di un lasso di tempo inferiore al mese, l'Autorità emanante ha preso in esame e valutato i pareri acquisiti.
Oltretutto, il caso in esame rientra nell'ipotesi di carattere in senso lato sanzionatorio della revoca o non proroga delle misure speciali di protezione sia obbligatoria che facoltativa, richiamata dall'art. 11, co. 1, seconda parte, del d.m. n. 161 del 2004, i cui commi seguenti delineano la rispettiva procedura, senza che nella fase consultiva sia più previsto il predetto temine mensile
Pervenendo ora alle questioni sostanziali, deve convenirsi col primo giudice circa la correttezza dell'esercizio del potere discrezionale da parte dell'Amministrazione, mediante esaustive valutazioni che si sottraggono al sindacato – unico consentito – per errori di fatto e vizi ictu oculi rilevabili di illogicità, contraddittorietà, ingiustizia manifesta, arbitrarietà ed irragionevolezza, nella specie appunto non sussistenti.
Invero, dopo la sottoposizione dell'interessato alla custodia cautelare in carcere che aveva provocato l'accennata revoca del programma annullata dal TAR, come segnalato dalla DDA di Reggio Calabria è intervenuta la sentenza di condanna a 3 anni di reclusione per quei delitti (artt. 81 cpv cod. pen.: concorso di reati o reato continuato; 110 cod. pen.: concorso con altri soggetti; 371 ter cod. pen.: dichiarazioni false rese al difensore degli imputati; e 7 d.l. n. 152 del 1991: (aggravante per appartenenza ad associazioni di tipo mafioso o finalità di agevolazione di tali associazioni) in relazione ai quali la stessa DDA ha espresso l'avviso che costituissero “inosservanza degli impegni assunti ai sensi dell'art. 12 lett. d) D.L. nr. 8/91 …” e denotassero “il reinserimento del soggetto nel circuito criminale”. La DNA, nel riportarsi al parere della DDA, ha ritenuto di dover definire il signor -OMISSIS- “un collaboratore infedele ed anzi un ‘collaboratore criminale' avendo egli approfittato del proprio ‘status' per delinquere, violando il principale impegno assunto con la sua collaborazione”.
A sua volta, la Commissione, nel rilevare la presenza dell'elemento nuovo costituito dalla sentenza predetta, ha ritenuto – in sintesi - inconfigurabili ulteriormente i presupposti che avevano giustificato l'adozione del programma, stante l'intervenuta modifica della relativa situazione fattuale e tenuto conto che le condotte danti luogo alla condanna “risultano oggettivamente contrarie ai doveri di lealtà e correttezza assunti con la sottoscrizione del programma”; in particolare violano l'obbligo di non commettere reati rientrante tra i principali previsti dal programma, vertendosi oltretutto in tema di “delitti contro l'amministrazione della giustizia” commessi “con l'aggravante di agevolare un'associazione mafiosa, con ciò determinando la lesione del bene giuridico connesso al funzionamento della giustizia” e, di qui, quand'anche si trattasse di obbligo secondario, lo “sbilanciamento degli interessi in gioco”, nell'ambito del quale quelli lesi da siffatta violazione “nella valutazione comparativa sono da ritenere prevalenti rispetto agli altri interessi, quello dello Stato a conservare la collaborazione e quello del privato alla vita ed all'incolumità personale”. Nella specie, poi, come peraltro da valutazioni della procura competente non suscettibili di diverso apprezzamento da parte della Commissione, è venuto meno il primo parametro poiché “non risulta (…) correttamente adempiuto l'obbligo primario di collaborare”. Inoltre, ha considerato che “nella valutazione complessiva, assume infine rilievo il dato riferito al notevole lasso di tempo trascorso dall'ammissione del -OMISSIS- alle misure (piano provvisorio il 9 ottobre 2001 e programma di protezione il 17 dicembre 2002)”, mentre circa “gli aspetti relativi alle esigenze di sicurezza” sia del collaboratore che dei familiari, ha ritenuto “sulla base degli elementi informativi acquisiti” che “possa risultare adeguata (al “livello di rischio”; come pure precisato: n.d.e.) l'adozione delle misure ordinarie di tutela di competenza dell'Autorità provinciale di pubblica sicurezza”, cui del resto sono affidate anche le misure previste dal programma di protezione e da queste differenziale solo per la diversa fonte attributiva del relativo potere.
Ciò posto, va rilevato che la tipologia dei delitti commessi e della particolare aggravante predetta – il cui grado di gravità e significatività è apprezzamento tipicamente discrezionale, come detto insindacabile nel merito - è già di per se stessa antitetica al concetto stesso di una utile e fedele collaborazione, in assenza della quale recedono gli altri interessi da porre in comparazione. Nondimeno, si è visto che la Commissione si è data carico di valutare altri elementi anche estranei alla condotta, quali il notevole lasso di tempo trascorso dall'ammissione al beneficio ed il grado della tutela della sicurezza occorrente.
Né la citazione per il 13 dicembre 2011 e la sopraggiunta sentenza del GUP del tribunale di Reggio Calabria, con la quale è stata applicata l'attenuante speciale connessa alla scelta collaborativa, contrastano col giudizio sul venir meno dell'interesse attuale dello Stato all'ulteriore collaborazione, tenuto conto che la prima riguarda l'imposizione dell'obbligo di testimoniare, gravante su chiunque, quindi indipendentemente dallo status di collaboratore di giustizia; la seconda si riferisce a fatti e circostanze del passato ed è pertanto ininfluente sul giudizio relativo all'evento ben successivo da cui muove il provvedimento impugnato in primo grado.
Non coglie nel segno neanche il secondo motivo, concernente la mancata attribuzione del beneficio della capitalizzazione.
L'art. 10, co. 14, del d.m. n. 161 del 2004 stabilisce infatti, in caso di modifica o mancata proroga delle speciali misure di protezione, che per agevolare il reinserimento sociale degli interessati il relativo provvedimento “può” prevedere la capitalizzazione, in tutto o in parte, delle misure di assistenza. La formulazione letterale della norma ed il suo inserimento nel contesto del detto art. 10 rendono palese che l'Amministrazione ha facoltà di attribuire l'emolumento, nel vario ammontare disciplinato dal seguente co. 14 in relazione alle rispettive ipotesi, in sostituzione delle medesime misure di assistenza ed in senso – come bene ha rilevato il primo giudice – premiale, quando per le mutate condizioni oggettive attuali sia cessata o diminuita la necessità delle misure di protezione e si giustifichi, pertanto, un ulteriore e finale intervento assistenziale dello Stato finalizzato a favorire il reinserimento sociale o socio-lavorativo dell'interessato. Tale facoltà non è invece prevista quando la cessazione avvenga per cause soggettive imputabili a quest'ultimo ai sensi del co. 1, seconda parte, del citato art. 11, il quale appunto nulla dispone al riguardo; ciò di per sé osta alla stessa possibilità di erogazione di denaro pubblico, non consentita all'Amministrazione in assenza di specifica norma che a tanto l'abiliti, con conseguente insussistenza dell'obbligo di motivazione a tale proposito.
In conclusione, l'appello dev'essere respinto.
Tuttavia, tenuto conto della peculiarità del caso e della mancata attività difensiva di controparte, si ravvisano ragioni affinché possa essere disposta la compensazione delle spese del grado.
Stante la materia trattata, ai sensi dell'art. 52, co. 1, del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 è opportuno disporre d'ufficio che sia apposta a cura della Segreteria della Sezione, sull'originale della presente sentenza, l'annotazione volta a precludere, in caso di riproduzione della pronuncia in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, l'indicazione delle generalità dell'appellante riportati sulla medesima presente sentenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull'appello, come in epigrafe proposto, respinge il medesimo appello.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Ritenuto che sussistano i presupposti di cui all'art. 52, comma 1, del d.lgs. 30 giugno 2003 n. 196, a tutela dei diritti o della dignità della parte interessata, per procedere all'oscuramento delle generalità degli altri dati identificativi di -OMISSIS- -OMISSIS-, manda alla Segreteria di procedere all'annotazione di cui ai commi 1 e 2 della medesima disposizione, nei termini indicati.
14-11-2013 11:32
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