Notizie, Sentenze, Articoli - Avvocato Penalista Trapani

Sentenza

Fingono di essere funzionari della Questura e della Prefettura e dietro il pagamento di 6.000 euro consegnano ad extracomunitari falsi permessi di soggiorno.
Fingono di essere funzionari della Questura e della Prefettura e dietro il pagamento di 6.000 euro consegnano ad extracomunitari falsi permessi di soggiorno.
Cassazione penale  sez. I  27/09/2013 ( ud. 27/09/2013 , dep.18/10/2013 ) 
Numero:    42890
                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                            SEZIONE PRIMA PENALE                         
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. BARDOVAGNI Paolo        -   Presidente   -                     
    Dott. ZAMPETTI   Umberto       -  Consigliere  -                     
    Dott. ROCCHI     Giacomo       -  Consigliere  -                     
    Dott. BONI       Monica   -  rel. Consigliere  -                     
    Dott. MAGI       Raffaello     -  Consigliere  -                     
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                         P.D.G. N. IL (OMISSIS); 
            B.E. N. IL (OMISSIS); 
    avverso  la  sentenza  n.  3368/2011 CORTE APPELLO  di  BRESCIA,  del 
    16/01/2012; 
    visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
    udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 27/09/2013 la  relazione  fatta  dal 
    Consigliere Dott. MONICA BONI; 
    Udito  il  Procuratore Generale in persona del dott. Iacoviello  F.M. 
    che  ha concluso per l'inammissibilità del ricorso della        P. 
    e per il rigetto del ricorso del      B.. 
                     


    Fatto
    RITENUTO IN FATTO

    1. Con sentenza resa il 16 gennaio 2012 la Corte di Appello di Brescia, in parziale riforma della sentenza del G.U.P. del Tribunale di Brescia del 19 luglio 2011, confermata nel resto, che, all'esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, aveva dichiarato P.D.G. ed B.E. responsabili dei reati loro ascritti di truffa continuata ed aggravata, falso in atto pubblico, favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, contraffazione del sigillo di pubblico ufficio e suo utilizzo, sostituzione di persona ed associazione a delinquere, unificati tra loro per continuazione, riqualificava il delitto di cui al capo F) ai sensi dell'art. 416 cod. pen., comma 2, e, esclusa la recidiva, riduceva la pena loro inflitta ad anni due e mesi otto di reclusione ciascuno.

    2. Da entrambe le sentenze di merito, che avevano reso conforme ricostruzione in punto di fatto delle vicende criminose ascritte agli imputati sulla scorta delle denunce sporte dalle persone offese, delle informazioni dalle stesse fornite e dal riconoscimento fotografico degli imputati, emergeva che costoro, venuti in contatto tramite un soggetto straniero a nome R. con sette diversi cittadini indiani, ai quali si erano dichiarati funzionari la P. della Prefettura, il B. ed altro soggetto a nome M. della Questura di (OMISSIS), avevano loro fornito dietro versamento della somma di 6.000-7.000 Euro per ciascuna pratica, dei falsi permessi di soggiorno; in seguito però gli extracomunitari, dubbiosi sulla validità dei documenti ricevuti, avevano sporto denuncia, due di essi avevano anche fotografato nel corso di un incontro D. ed E., le cui immagini ritraevano effettivamente gli imputati, e si erano resi disponibili a registrare un colloquio con costoro, il cui nastro era stato poi consegnato agli investigatori. Gli imputati erano stati anche riconosciuti in fotografia, mentre la perquisizione effettuata presso l'abitazione della P. aveva condotto al rinvenimento di numerosi documenti concernenti pratiche di permesso di soggiorno di cittadini extracomunitari.

    Da tale compendio probatorio era stato dedotto che i due imputati ed altro soggetto a nome M. avessero costituito un'associazione a delinquere finalizzata a commettere truffe, falsi ed a favorire l'immigrazione clandestina di stranieri, ed avessero realizzato i reati fine loro contestati.

    3. Avverso detta pronuncia hanno proposto personalmente separati ricorsi gli imputati.

    3.1 P.D. deduce:

    a) mancanza o illogicità della motivazione in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto valutare circa la possibilità di pronunciare sentenza di proscioglimento ai sensi dell'art. 129 c.p.p..

    b) illogicità della motivazione in ordine alla determinazione della pena irrogata; sebbene la sentenza avesse proceduto all'applicazione della pena su richiesta delle parti, ciò non avrebbe esentato il giudicante dal valutare la correttezza dell'accordo raggiunto, implicante un così grave trattamento punitivo.

    3.2 B.E. ha articolato i seguenti motivi:

    a) erronea applicazione dell'art. 416 c.p.; mancanza e comunque mera apparenza della motivazione circa la sussistenza dell'elemento oggettivo della fattispecie in quanto: a1) non vi era prova del numero minimo di sodali, richiesto per poter configurare la fattispecie associativa, posto che il S. era stato mandato assolto, R. era stato ritenuto un intermediario inconsapevole, mentre tale M. era un soggetto di fantasia, la cui esistenza non era stata mai accertata; a2) non erano stati dimostrati il pactum sceleris e la sua stabilità minima, dal momento che l'attività delittuosa si sarebbe esaurita tra (OMISSIS), aveva riguardato soltanto un numero limitato di cittadini indiani ed era cessata prima delle denunce, sicchè nei fatti poteva riscontrarsi soltanto il concorso di persone in un numero limitato di reati.

    b) Erronea applicazione dell'art. 640 cod. pen.; mancanza e comunque mera apparenza della motivazione circa la sussistenza dell'elemento oggettivo della fattispecie, in quanto le vittime delle condotte illecite non avevano diritto al permesso di soggiorno e ne erano consapevoli, per cui non potevano essere stati ingannati circa la validità e legalità dei documenti ricevuti, avendo saputo trattarsi di atti falsi.

    c) Violazione dell'art. 597 cod. proc. pen., comma 3: a seguito della riqualificazione giuridica del delitto capo C), la Corte di Appello aveva rideterminato la pena in misura superiore al minimo edittale, diversamente da quanto operato dal G.U.P. nel primo grado, nonostante l'assenza di impugnazione da parte dell'accusa e la mancata dimostrazione della propria qualità di promotore.
    Diritto
    CONSIDERATO IN DIRITTO

    Il ricorso proposto da P.D.G. è inammissibile perchè privo di motivi specifici e comunque non correlato alla "ratio decidendi" espressa dalla sentenza impugnata.

    1. In primo luogo va precisato che, diversamente da quanto sostenuto con l'impugnazione, quella pronunciata dalla Corte di Appello di Brescia non è sentenza di applicazione della pena a richiesta delle parti, ma di condanna resa all'esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato. Ciò posto, la pretesa di una motivazione espressa sul mancato proscioglimento della ricorrente è assolutamente sfornita di qualsiasi argomento che indichi l'insussistenza dei fatti di reato, la non ascrivibilità alla sua persona, oppure l'estinzione degli addebiti per una qualsivoglia causa.

    1.1 Parimenti del tutto assertiva e priva di illustrazione è la doglianza circa la severità del trattamento sanzionatorio, che, al contrario, la Corte territoriale ha ritenuto di rideterminare indicando a giustificazione precisi elementi oggettivi circa le modalità dei fatti, il ruolo specifico rivestito dall'imputata, il numero e la gravità dei reati satellite.

    2. Infondato è il primo motivo proposto dal B.. La sentenza impugnata ha diffusamente illustrato le ragioni per le quali ha ritenuto che l'associazione a delinquere fosse stata costituita con l'adesione di almeno quattro partecipanti, ossia i due odierni imputati, tale R., prestatosi a contattare gli extracomunitari con la promessa di far loro avere documenti di soggiorno che ne regolarizzassero la posizione nel territorio italiano, nonchè tale M., un funzionario o pseudo tale della Questura di (OMISSIS), il cui ruolo nelle vicende era stato descritto anche dalla stessa coimputata P.. Inoltre, ha evidenziato come l'accordo raggiunto tra costoro fosse stato impostato per la commissione di un numero indeterminato di reati, secondo modalità standard, già ampiamente collaudate, che implicavano la possibilità di procurarsi titoli contraffatti di soggiorno per stranieri ed un soggetto in grado di fungere da mediatore con gli immigrati irregolari: del resto in sede di perquisizione domiciliare presso l'abitazione della P. era stato rinvenuto ampio materiale documentale concernente questo tipo di attività criminosa, nel cui settore la stessa era ben introdotta, il che consente di superare le obiezioni difensive.

    2.1 Non ha fondamento nemmeno il secondo motivo prospettato dal B.: i giudici di merito hanno già esaminato e respinto con motivazione logica, compiuta e giuridicamente corretta, la doglianza che pretende essere insussistente il delitto di truffa.

    2.1 Hanno al riguardo rivelato che, sebbene gli extracomunitari fossero stati consapevoli di non essere in regola con le norme sulla permanenza di stranieri nel paese, ciò nonostante erano stati vittime di inganno mediante gli artifici posti in essere dagli imputati, i quali avevano fatto loro credere, vantando qualità personali inesistenti o conoscenze presso uffici pubblici, che, mediante il pagamento della somma di denaro pretesa, avrebbero potuto far loro ottenere documenti validi di soggiorno. Che ciò poi in realtà non fosse possibile, non era stato mai chiarito alle vittime, convinte che, pagato quanto preteso, avrebbero potuto sistemare legalmente la loro posizione, rendendola regolare.

    2.2 In punto di diritto, la sentenza impugnata ha richiamato un precedente della giurisprudenza di questa Corte, che si adatta anche al caso in esame e che non viene contrastato con argomenti valutabili in questa sede, laddove si è affermato: "In tema di truffa, quando l'agente si è procurato, inducendo taluno in errore con artifici e raggiri, un ingiusto profitto in danno di altri, il delitto sussiste anche se il soggetto passivo abbia agito per una causa immorale, delittuosa o altrimenti illecita, giacchè non vengono meno l'ingiustizia del profitto e l'altruità del danno, nè vengono meno l'esigenza di tutela del patrimonio e della libertà del consenso dei negozi patrimoniali, che costituisce l'oggettività giuridica del reato. (Fattispecie in cui le parti offese erano state indotte in errore, mediante artifici e raggiri, da un generale dei carabinieri che, assumendo fraudolentemente l'impegno di stabilire un contatto con elementi della malavita allo scopo di ottenere notizie utili per favorire la liberazione di un sequestrato, aveva in tal modo ottenuto dai parenti del rapito la somma di un miliardo di lire)" (Cass. sez. 2, n. 10792 del 23/01/2001, Delfino, rv. 218673; conforme, sez. 3, n. 3452 del 15/12/ 1965, Carella, rv. 100647). A fondamento di tale principio, si è rilevato come, sotto il profilo testuale, la stessa norma di cui all'art. 640 c.p., comma 2, n. 1) punisca quale forma aggravata di truffa, la condotta se commessa "con il pretesto di fare esonerare taluno dal servizio militare", ossia quando il soggetto passivo persegua un obiettivo antigiuridico in relazione all'esenzione da servizio militare, costituente un illecito; inoltre, si sostiene che un'efficace tutela del bene giuridico protetto, ossia il patrimonio altrui e la libertà negoziale, imponga di reprimere quei comportamenti che traggano in inganno la vittima, cagionandole un danno ingiusto, anche se questa sia motivata da fini illeciti.

    2.3 Infine, va esaminato l'ultimo motivo di gravame, incentrato sulla denunciata violazione del divieto di "reformatio in peius". La Corte territoriale, dopo aver escluso di poter ravvisare la fattispecie di cui all'art. 416 cod. pen., comma 1 per la mancata contestazione agli imputati, sia in fatto, che in diritto, del ruolo di promotori del sodalizio illegale cui avevano preso parte, ha diversamente qualificato la condotta partecipativa, rapportandola alla previsione di cui all'art. 416 cod. pen., comma 2; ha quindi autonomamente stabilito la pena per tale ipotesi criminosa, ritenuta più grave tra quelle ravvisate, in misura che, per quanto non attestata sul minimo edittale, è comunque inferiore a quella inflitta dal primo giudice.

    2.3.1 In tal modo ha legittimamente operato la sussunzione del fatto di reato in una diversa norma incriminatrice in conformità al potere- dovere di correggere gli errori di diritto, contenuti nella sentenza gravata, nonchè ai poteri conferiti dall'art. 597 cod. proc. pen., comma 1 senza con ciò eccedere dai limiti di competenza del giudice di primo grado e senza nemmeno violare il principio devolutivo, dal momento che con l'appello dell'imputato B. era stata sottoposta alla sua cognizione, sia la questione dell'esclusione della qualità di promotori dell'associazione, sia quella dell'entità della pena inflitta, stabilita in entità non superiore a quella irrogata dal primo giudice quanto a pena base del calcolo operato per l'unificazione dei reati per continuazione.

    Per le ragioni esposte, il ricorso della P. va dichiarato inammissibile con la sua condanna al pagamento delle spese processuali e, in relazione ai profili di colpa insiti nella proposizione di siffatta impugnazione, di una somma a favore della Cassa delle Ammende, che si reputa equo determinare in Euro 1.000,00;

    il ricorso del B. va, invece, respinto perchè infondato, dal che discende anche la sua condanna al pagamento delle spese processuali.
    PQM
    P.Q.M.

    Dichiara inammissibile il ricorso di P.D.G., che condanna al pagamento delle spese processuali e di Euro 1.000,00 alla Cassa delle Ammende. Rigetta il ricorso di B.E., che condanna al pagamento delle spese processuali.

    Così deciso in Roma, il 27 settembre 2013.

    Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2013
Avv. Antonino Sugamele

Richiedi una Consulenza