Extracomunitario tenta di rapire una bambina, ma la madre lo blocca dopoa aver percorso qualche metro verso l’uscita della spiaggia. Arrestato,
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 29 maggio - 25 luglio 2013, n. 32472
Presidente Ferrua – Relatore Lignola
Ritenuto in fatto
1. Con sentenza del 26 agosto 2011, il Tribunale di Rimini, all'esito di giudizio abbreviato richiesto nell'ambito di un giudizio direttissimo, riteneva M.A. responsabile del delitto di sequestro di persona in danno di un minore, per aver afferrato una bambina di tre anni che giocava sulla spiaggia, subito allontanandosi verso l'uscita, con passo affrettato.
1.1 La Corte d'appello di Bologna, con sentenza del 9 maggio 2012, riqualificava il fatto come tentativo, determinando la pena nella misura di tre anni di reclusione.
2. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, personalmente, articolando quattro motivi:
2.1 - Violazione dell'articolo 606 comma 1, lettera C, con riferimento all'articolo 450, comma 5, e 97, comma 4, cod. proc. pen., per l'omessa notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza per il giudizio direttissimo al difensore di fiducia nominato dall'imputato. Anche se il M. , fin dall'arresto, aveva nominato quale proprio difensore di fiducia l'avvocato Angelo Russo, gli avvisi sono stati dati al difensore d'ufficio nominato dal pubblico ministero, attesa la non reperibilità di quello di fiducia indicato dall'imputato. A giudizio del ricorrente, ciò ha determinato una nullità di ordine generale, che non poteva essere sanata dal difensore d'ufficio, partecipando al rito direttissimo.
2.2 - Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera B ed E cod. proc. pen., con riferimento all'articolo 605 cod. pen., poiché la condotta descritta non ha evidenziato in alcun modo la coercizione fisica nei confronti della bimba, né la privazione della sua libertà personale, tanto che la minore non manifestò in alcun modo un dissenso o una resistenza fisica, neanche piangendo.
2.3 - Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera B ed E cod. proc. pen., con riferimento all'articolo 56 cod. pen., poiché a giudizio del ricorrente gli atti posti in essere dall'imputato sono privi del requisito della univocità, non avendo in alcun modo posto in pericolo il bene giuridico tutelato dalla norma: l'azione si è svolto su una spiaggia pubblica, all'ora di pranzo, in piena estate e le forze dell'ordine sono state avvertite dopo oltre un'ora dall'accaduto, tempo durante il quale l'imputato è rimasto indisturbato sul luogo dei fatti.
2.4 - Violazione dell'articolo 606, comma 1, lettera E cod. proc. pen., con riferimento alla quantificazione della pena ed all'esclusione delle circostanze attenuanti generiche: a fronte di una pena edittale oscillante da uno ad otto anni, risultante dalla combinazione degli articoli 605 e 56 cod. pen., la pena è stata fissata in quattro anni e sei mesi di reclusione, senza alcuna motivazione, né è stato giustificato il diniego delle attenuanti generiche.
Considerato in diritto
1. Il ricorso proposto dall'imputato è infondato e pertanto va rigettato.
1.1 Prima di procedere all'esame dei singoli motivi, giova rammentare l'orientamento della giurisprudenza di legittimità con riguardo al rapporto fra le sentenza di merito di primo e secondo grado. Si è costantemente affermato che, allorché dette sentenze concordino nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, esse si integrano vicendevolmente e la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente formando un unico complesso corpo argomentativo (Sez. 1, n. 8368 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906; Sez. 2, n. 5606 del 10/01/2007, Conversa, Rv. 236181).
1.2 Sempre in tema di integrazione fra le conformi sentenze di primo e secondo grado, se l'appellante si limita alla riproposizione di questioni di fatto già esaminate e correttamente risolte dal primo giudice, oppure di questioni generiche e superflue, palesemente inconsistenti, è consentita la motivazione per relationem da parte del giudice dell'impugnazione; quando invece le soluzioni adottate dal giudice di primo grado siano state specificamente censurate dall'appellante con motivi nuovi non riproposti, sussiste il vizio di motivazione sindacabile ai sensi dell'art. 606 cod. proc. pen., comma 1, lett. E), se il giudice del gravame si limita a respingere tali censure richiamando la censurata motivazione in termini apodittici o meramente ripetitivi senza farsi carico di argomentare sulla inadeguatezza o inconsistenza dei motivi di appello (Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Baretti, Rv. 239735).
2. Fatte questa doverose premesse, può affermarsi l'infondatezza del primo motivo di ricorso, relativo all'omessa notifica dell'avviso di fissazione dell'udienza al difensore di fiducia; sul punto la Corte territoriale ha chiarito che il pubblico ministero, una volta reso edotto dalla polizia giudiziaria che il difensore di fiducia nominato dall'arrestato non era reperibile né all'utenza telefonica dello studio, né a quella cellulare, trovandosi all'estero, ha correttamente proceduto alla nomina di un difensore d'ufficio, al quale ha notificato l'avviso di fissazione dell'udienza di celebrazione del giudizio direttissimo.
2.1 Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che la validità dell'avviso eseguito con il mezzo del telefono al difensore di fiducia deve essere verificata alla luce della disciplina risultante dal combinato disposto degli artt. 449, 390, comma 2, e 391, comma 2, c.p.p., dato che, dovendo svolgersi l'udienza di convalida ed il contestuale giudizio direttissimo entro quarantotto ore dall'arresto, l'avviso al difensore di fiducia o di ufficio e la designazione di un sostituto ex art. 97, comma 4, in caso di mancato reperimento del primo, devono essere eseguiti in conformità delle prescrizioni dei citati artt. 390 e 391 c.p.p.. Hanno puntualizzato, quindi, che per l'esecuzione dell'avviso al difensore di fiducia nominato dall'imputato non è prescritta l'osservanza delle disposizioni che regolano la particolare forma di notificazione prevista dagli artt. 149 c.p.p. e 55 disp. att. e che l'avviso stesso può essere dato con mezzi atipici di comunicazione, purché adeguati rispetto al conseguimento della funzione conoscitiva che ad essi è propria. (Sez. U, n. 39414 del 30/10/2002 Rv. 222554).
2.2 Nel caso di specie la polizia giudiziaria accertò che l'avv. Angelo Russo, nominato dall'imputato, si trovava all'estero; il pubblico ministero, dopo aver tentato di contattare il difensore sia presso l'utenza dello studio legale, sia presso quella mobile personale, provvide a nominare un difensore d'ufficio, al quale notificò l'avviso di fissazione dell'udienza. Poiché tutte queste circostanze sono pacifiche e non contestate dal ricorrente, deve ritenersi che, in relazione all'urgenza di provvedere alla presentazione dell'arrestato all'udienza per la convalida e per il contestuale giudizio direttissimo, l'organo di accusa abbia correttamente proceduto, nel rispetto dell'articolo 97, comma 3, cod. proc. pen., allo scopo di garantire l'effettività del diritto di difesa, dettata alla direttiva 105 della delega legislativa per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale, approvata con legge 16 febbraio 1987, numero 81, che sarebbe stata invece frustrata da un mero e puramente formale tentativo di notifica al difensore - sicuramente irraggiungibile - magari attraverso una comunicazione a mezzo telefax.
2.3 Alla prima udienza era poi concesso un termine a difesa di quattro giorni, ai sensi dell'articolo 558, comma 7, all'esito del quale imputato personalmente, con l'assistenza del difensore, chiedeva definirsi il processo con il rito abbreviato.
3. Il secondo motivo di ricorso, con il quale si deduce errata applicazione dell'articolo 605 cod. pen., è infondato, poiché la Corte territoriale ha accertato che, la bambina fu materialmente sollevata terra e privata della libertà di movimento per uno o due minuti, finché la madre non intervenne prontamente, strappandogliela dalle braccia; pertanto non può sostenersi che non vi sia stata coercizione fisica, anche per la mancanza di resistenza o di manifestazione di un dissenso (per esempio, attraverso il pianto) da parte della bambina, poiché è evidente, come ben chiarito dalla decisione di primo grado, che la piccola Agnese è stata posta nell'assoluta impossibilità di muoversi secondo una propria libera scelta, ove si consideri che era senz'altro connaturata alla tenerissima età (soli tre anni) una limitata capacità sia di opporsi alla violenza, sia di recuperare la propria libertà di movimento.
3.1 Correttamente, però, la fattispecie concreta è stata qualificata come tentativo di sequestro di persona, potendosi qualificare come momentanea e fugace la privazione della libertà della vittima, per un tempo talmente breve da vanificare immediatamente l'evento.
3.2 Come è noto il sequestro di persona è un reato necessariamente permanente, che è strutturato in modo tale da esigere che la condotta si protragga in un arco di tempo apprezzabile nel tempo. La norma incriminatrice, punendo "chiunque priva taluno della libertà personale", tipizza un evento (privazione della libertà) che, per sussistere, deve essere qualificabile come "privazione"; secondo gli arresti della giurisprudenza più recente, la durata dello stato di privazione della libertà può anche essere breve, ma deve essere quanto meno "giuridicamente apprezzabile" (Sez. 5, n. 28509 del 13/04/2010, D.S., Rv. 247884; Sez. 5, n. 6488 del 24/01/2005, Di Flavi©, Rv. 231422). Allorché la privazione della libertà si sia verificata per un periodo di tempo pressoché irrilevante, come nel caso di specie, deve ravvisarsi la fattispecie tentata.
4. Anche il terzo motivo di ricorso, con il quale si contesta l'univocità degli atti posti in essere dall'imputato, ai sensi dell'art. 56 cod. pen., è infondato. Ai fini della punibilità del tentativo rileva l'idoneità causale degli atti compiuti al conseguimento dell'obiettivo delittuoso nonché l'univocità della loro destinazione, da apprezzarsi con valutazione "ex ante" in rapporto alle circostanze di fatto ed alle modalità della condotta (Sez. 5, n. 36422 del 17/05/2011, Bellone, Rv. A50932). La "direzione non equivoca" indica non un parametro probatorio, bensì un criterio di essenza e deve essere intesa come una caratteristica oggettiva della condotta (Sez. 1, n. 9411 del 07/01/2010, Musso, Rv. 246620), nel senso che gli atti posti in essere devono di per sé rivelare l'intenzione dell'agente. L'univocità, intesa come criterio di essenza, impone che, una volta acquisita tale prova, sia effettuata una seconda verifica al fine di stabilire se gli atti posti in essere, valutati nella loro oggettività per il contesto nel quale si inseriscono, per la loro natura e la loro essenza, siano in grado di rivelare, secondo le norme di esperienza e secondo l'id quod plerumque accidit, l'intenzione, il fine perseguito dall'agente (Cass., sez. 1, n. 40058 del 24/09/2008, Cristello, rv. 241649).
4.1 La dinamica dei fatti, come descritta nelle sentenze di merito, consente di riconoscere l'univocità degli atti, poiché, una volta sollevata la piccola da terra, l'imputato si è diretto verso l'uscita della spiaggia, con passo affrettato, ed ha continuato a trattenerla anche dopo essere stato raggiunto dalla madre.
4.2 Né possono esservi dubbi in ordine all'elemento soggettivo del reato, poiché, secondo quanto riferito dalla madre e riportato nella sentenza del Tribunale di Rimini, alle rimostranze della donna egli disse: "io portare via".
5. L'ultimo motivo di ricorso, con il quale si deduce vizio di motivazione in ordine al diniego delle attenuanti generiche ed alla quantificazione della pena è inammissibile, poiché dedotto per la prima volta in sede di legittimità, mancando qualsiasi riferimento in punto di pena sia nell'atto di appello datato 2 novembre 2011, sia nei motivi aggiunti del 19 aprile 2012. Secondo l'orientamento costante di questa Corte (Sez. U, n. 15 del 30/06/1999, Piepoli, Rv. 213981) secondo cui la denuncia di violazioni di legge non dedotte con i motivi di appello costituisce causa di inammissibilità originaria dell'impugnazione. Il parametro dei poteri di cognizione del giudice di legittimità è delineato dall'art. 609, comma 1, cod. proc. pen., il quale ribadisce in forma esplicita un principio già enuclearle dal sistema, e cioè la commisurazione della cognizione di detto giudice ai motivi di ricorso proposti. Detti motivi - contrassegnati dall'inderogabile "indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto" che sorreggono ogni atto d'impugnazione (artt. 581, 1 co, lett. e) e 591, 1 co., lett. c) cod. proc. pen.) - sono funzionali alla delimitazione dell'oggetto della decisione impugnata ed all'indicazione delle relative questioni, con modalità specifiche al ricorso per cassazione. La disposizione in esame deve infatti essere letta in correlazione con quella dell'art. 606, comma 3, nella parte in cui prevede la non deducibilità in cassazione delle questioni non prospettate nei motivi di appello. Il combinato disposto delle due norme impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, e, come rileva la più recente dottrina, costituisce un rimedio contro il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale. Buon senso e
5.1 In ogni caso la pena, non considerando la riduzione per il rito, è determinata in misura pari al medio edittale di quattro anni e sei mesi di reclusione, secondo il metodo "diretto" o "sintetico" seguito dal ricorrente (ossia senza operare la diminuzione sulla pena fissata per la corrispondente ipotesi di delitto consumato, ma considerando la forbice da uno ad otto anni di reclusione per il delitto tentato, risultante dalla combinazione dell'articolo 605, comma 3, con l'articolo 56, cod. pen., metodo considerato corretto, al pari di quello bifasico, da questa Corte; Sez. 1, n. 37562 del 16/05/2001, Botto, in nome Rv. 220189) ed appare adeguato il riferimento alla gravità dell'atto ed all'intenso allarme sociale provocato da simili azioni nella collettività, oltre al movente di pedofilia e di incontenibile desiderio di soddisfare pulsioni sessuali ricostruito nella sentenza di primo grado e richiamato dalla Corte territoriale, motivazione che sorregge in maniera convincente anche il diniego delle attenuanti generiche.
6 - In conclusione il ricorso è infondato e la sentenza della Corte di appello di Bologna dev'essere confermata. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigata il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.
6.1 Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
6.2 Va disposto l'oscuramento dei dati identificativi, essendo la vittima del reato una minorenne.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'art. 52 d. lgs. n. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
26-07-2013 17:21
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